Irpef che cala non commuove, partiti e paese campano d’altro

di Lucio Fero
Pubblicato il 17 Ottobre 2012 - 15:13 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Nel paese che da anni è concorde ed unanime nel dichiararsi strozzato dalle aliquote Irpef l’allentamento, minimo ma allentamento, del nodo scorsoio non produce né respiro né sollievo e neanche consenso. Produce invece opposizione, sfavore, sfiducia. Dicono che i ministri del governo siano rimasti stupiti, in effetti il fenomeno è singolare. Però si spiega, eccome se si spiega solo a pensarci un po’ e a fare un po’ di conti. E si spiega con il fatto che partiti e paese campano d’altro che di venti o cinquanta euro o fossero anche cento in più o in meno sullo stipendio a fine mese. Partiti e paese campano di 700 e passa miliardi di spesa pubblica, un po’ di Irpef in meno gli fa un baffo.

L’Irpef in meno sono cinque miliardi, cinque miliardi in meno di tasse. Ma è furibonda la Cgil, contrario il Pd, indifferente e ostile il Pdl, glaciale Confindustria. Cgil e Pd, e anche tutti gli altri per la verità, non tollerano il taglio retroattivo al 2012 degli sconti fiscali mentre il calo dell’Irpef parte da gennaio 2013. Ma il taglio agli sconti fiscali, leggi detrazioni e deduzioni, a sua volta tagliato nelle parti in cui riguardava dipendenti pubblici e assistenza ai disabili, conta, vale poco più di un miliardo di tasse in più. Su queste cifre, cinque miliardi di tasse in meno, un miliardo di tasse in più, nessuno discute o contesta. Fa quattro a uno per la squadra anti tasse ma non fa sorridere nessuno, non la sinistra politica, non i sindacati, con l’eccezione di Raffaele Bonanni  della Cisl, non la destra politica, non i partiti, non il Parlamento. Perché quella della retroattività è una ferita, uno schiaffo e su questo non ci piove. Ma perché uno schiaffo fa più effetto di cinque carezze?

Dice che le carezze saranno anche cinque, quanti i miliardi in meno di Irpef. Però da luglio se ne riprendono fino a fine anno circa tre aumentando l’Iva. E quindi ammettiamo anche che alla fine sia più o meno pari e patta: cinque miliardi in meno di Irpef, tre in più di Iva, uno in più di sconto fiscale tagliato. Pari, ma non si era detto che era necessario, sacrosanto, utile, addirittura giusto ed equo cominciare a trasferire un po’ il peso delle tasse dalle buste paga e pensioni ritenute alla fonte ai consumi? Si era detto, ma appena si è fatto appena un po’,    si sono arrabbiati e turbati più o meno tutti: i partiti, soprattutto il Pdl, Confcommercio e via andare.

Bersani non ci sta perché, tra l’altro, gli insegnanti di scuola superiore dovrebbero lavorare qualche ora di più in settimana recuperando in termini di giorni di ferie. E questo, come si vede, è per il Pd proprio bestemmia, per il Pd e i sindacati della scuola. Quindi Bersani non ci sta e non parliamo della Camusso e della Cgil. Non ci sta quel che resta del Pdl che non vuole aumentare l’Iva. Non ci sta nessuno, neanche la pubblica opinione che, “sondaggiata”, vive la manovra di autunno come un più tasse e non come un meno tasse, almeno un po’ e dove si deve, e neanche come un pareggio che però equamente comincia a redistribuire.

Il calo, minimo, dell’Irpef fino a ieri invocato da un paese intero, appena diventa fatto e non orazione resta orfano. Non commuove partiti politici, sindacati e nemmeno la gente. E, siccome non sono tutti matti, i partiti, i sindacati e la gente, una ragione c’è. La spesa pubblica in Italia è pari a 700 miliardi e oltre ogni anno. Trecento circa di questi miliardi sono spesa sociale, cioè pensioni e Welfare. Una parte del sistema politico presidia questi trecento miliardi e se tagli qualcosa da qui per dare al salario questa parte del sistema politico non ci sta. Questa parte politica è soprattutto la sinistra. Gli altri 400 miliardi di spesa sono presidiati e smistati da tutto il sistema politico, nazionale e locale. Sono la ragione sociale della politica e il “materassone” sociale che di fatto sviluppa e alla peggio integra il reddito di milioni di persone. Se togli qualcosa da qui per darla al salario, l’intero sistema politico e delle rappresentanze di interessi non ci sta.

E non ci sta neanche la gente. Ha di fronte partiti e sindacati e soprattutto una pluridecennali pedagogia sociale che invita, spinge, muove ad esigere uno stipendio magari piccolo ma sottratto alle intemperie di qualunque tipo. Oppure una rendita esagerata e arraffata. In entrambi i casi il garante ultimo dello stipendio o della rendita sono quel montagnone di 700 e passa miliardi di spesa pubblica. Se abbassi la vetta, di altrettanto limi la garanzia. E allora vuoi mettere, confrontare venti, cinquanta o cento euro in meno al mese di Irpef con 1500/2000 per tutta la vita o con ventimila, sempre al mese, fino a che dura? Non c’è gara, neanche nella testa della gente. E questo spiega molto della arcana produttività che non c’è più…