Preiti, Giangrande…”Lei perdona? Cosa prova?”…Dio perdoni chi lo domanda

di Lucio Fero
Pubblicato il 2 Maggio 2013 - 13:51| Aggiornato il 4 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Giornalista, non importa chi, a Martina Giangrande, figlia del Carabiniere cui Luigi Preiti ha sparato in faccia, ha voluto domandare: “Lei perdona?”. Giornalista, non importa chi, ha ritenuto che questa fosse la questione capitale, questo fosse il suo mandato: informare il suo microfono e il mondo se la figlia di un uomo in ospedale con rischio di restare paralizzato a vita perdona o no. Giornalista, non importa chi, ha pensato (?) che questo fosse “il titolo” da guadagnare, quello che valesse l’inerpicata sopra e oltre la compostezza, la serietà delle parole che la smemorata Martina aveva pronunciato fino a quel momento. Infatti Martina, la smemorata, non aveva chiarito alla stampa se perdonava o no.

Giornalista, non importa chi, chiedendo quel “lei perdona”, ha mostrato pochezza d’animo e di intelletto. Incapacità, inabilità ad entrare in sintonia con il contesto sia di valori che di emozioni e sentimenti del momento, della situazione di cui era testimone. E incapacità, inabilità a concepire altro che non un riflesso pavloviano nel domandare, quel riflesso autistico più che automatico per cui il o la cronista “debbono” sapere se la vittima o il parente della vittima “perdona” . Giornalista, non importa chi, per cui imploriamo un qualche divino perdono. Qualche divinità delle professioni perdoni, perché giornalista, non importa chi, non sa quello che fa.

Giornalista, non importa chi, decide di mandare in onda l’intervista al figlio di Luigi Preiti: undici anni. Qualcuno filma, qualcuno regista ma soprattutto, non importa chi, manda in onda. Non è solo azzardo e neanche tanto scandalo. E’ incosciente e inconscia routine, quella che routinariamente ha portato la stampa in Gran Bretagna a intercettare telefoni e a farsi letteralmente “le vite degli altri”. Una routine che è anche qui, anche qui in Italia. Che dio, una qualche divinità delle professioni, perdoni chi è stato accecato e non più distingue mezzi e fini, scopi e scoop.

Giornalista, non importa chi, sempre trovi che domanda all’accusato o condannato per omicidio o alla moglie o al marito dell’ammazzato niente meno che “Cosa prova?”. Un giorno qualcuno dei carnefici e o delle vittime dovrebbe rispondere a tono chiedendo a sua volta: “Cosa prova lei a far domande così cretine?”. Ma non succede per dio, una qualunque divinità indulgente e misericordiosa delle professioni, perdona anche questa. Chissà cosa prova mentre perdona questo ideal-tipo di giornalista.

Giornalista, non importa chi, rincorre, pedina, ansima al seguito di chiunque parlamentare, qualunque parlamentare esca dal portone di Montecitorio. In diretta, compiaciuta e voluta diretta, giornalista implora: “Ci dica qualcosa”. E poi ancora: “Qualcosa, solo qualcosa per favore”. E poi ancora: “Qualcosa, qualunque cosa…ci dica”. Giornalista, non importa chi, che umilia quel che fa mentre lo fa. Che dio, una distratta e rassegnato e sindacalmente sensibile divinità  delle professioni perdoni. Un dio giusto e normale della professione non potrebbe perdonare i “Cosa prova?”, i “Lei perdona?” e i “Ci dica qualcosa”.