Primo maggio, due giugno, 25 aprile: i predatori della festa nemica e lo sbadiglio del bue

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 17 Agosto 2011 - 14:45 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Parco buoi” chiamano in Borsa la platea dei piccoli azionisti e piccoli risparmiatori che in fondo subiscono tutto ciò che altri fanno accadere alle quotazioni dei titoli. “Popolo bue” era crude e spocchiosa definizione con cui si denominava la “massa” che, anche in democrazia, poco sa e pochissimo vuole sapere della cosa pubblica. Sono formule gravate da un semplicismo snob, altezzose sulla bocca di chi le pronuncia. Ma non è facile definire altrimenti l’assuefazione indolente con cui si sta accogliendo l’appallottamento e il lancio nel cestino come carta straccia del Primo Maggio, del 25 Aprile e del Due di Giugno. Assuefazione che ha davvero qualcosa della “bovina” stanchezza, lentezza e indifferenza.

Provate a immaginare la reazione degli americani di fronte alla cancellazione o spostamento in calendario del 4 di luglio festa dell’Indipendenza. Si solleverebbe il paese, democratici, repubblicani, Tea party compresi. Perché il 4 luglio è identità americana, carne viva della nazione in ogni suo singolo componente. Provate a immaginare la reazione dei francesi di fronte alla cancellazione o spostamento in calendario del 14 luglio, anniversario della Revolution. Si solleverebbe il paese e nessun governo mai a Parigi oserebbe simile profanazione della storia nazionale. Il due di giugno in Italia è, forse è ormai il caso di dire sarebbe, la nostra identità. Festa della Repubblica, Repubblica italiana. Alzare le spalle alla sua rimozione è sbattersene di una identità non sentita e non vissuta come tale. Per colpa e volontà dei leghisti che si sentono padani e non italiani e che, anche al governo, al due giugno più che spallucce fanno pernacchia? Un paese, un popolo con identità avrebbe sommerso la pernacchia leghista con una gigantesca e ammonitrice risata. E si sarebbe tenuta cara la sua festa, della sua Repubblica. Ma per gli italiani la Repubblica deve essere ormai diventata res publica, cioè nella nostra versione, cosa pubblica, cioè di nessuno. Non si spiega altrimenti lo sbadiglio del bue.

E il 25 aprile? Non è mai piaciuto ai fascisti e si capisce: fu la loro sconfitta, è la loro vergogna. Ma il 25 aprile è storia d’Italia, una data della nostra storia. Ai fascisti che ogni 25 aprile si vedono ricordare chi sono stati e in fondo chi sono si sono aggiunti negli ultimi anni quelli di destra che fascisti non sono. E questa destra da tempo mugugnava contro il 25 aprile festa “comunista”. Come se i francesi di destra mugugnassero contro la presa della Bastiglia e l’abbattimento della monarchia imputabile e intestabile solo a Robespierre. Rimuovere il 25 aprile è celebrare la festa dell’astio contro la Resistenza, i partigiani, la storia d’Italia per come è stata.

E infine il Primo di Maggio: quella non è identità e nemmeno storia, è festa “rossa”. Infatti in tutte le dittature del mondo non si celebra, infatti è una traccia, fino a ieri indelebile, di un’altra storia: quella del movimento operaio internazionale. Rimuoverla come festa di parte e partigiana è come se chi non è credente volesse per questo rimuovere la festa della Immacolata Concezione. Perchè mai un paese deve fermare per un giorno il suo lavoro e la sua produzione per festeggiare il mito religioso di una donna che concepì restando immacolata? Per rispetto di una cultura si dice. Bene, allora ci sono culture che vanno stroncate e altre omaggiate?

Si vuole che le feste laiche da abolire o spostare in calendario siano un prezzo da pagare all’incremento del Pil languente. Se è così, fosse così, se davvero si volevano tre giorni in più, 21 ore di lavoro in più all’anno si poteva allungare di quattro/cinque minuti l’orario di lavoro di ognuno degli altri giorni. Ma non è così: Primo Maggio, 25 Aprile e Due di Giugno sono le vittime dei Predatori della Festa Nemica. I Sacconi che ancora smania per vendicarsi dei comunisti che “abbatterono Craxi”, i Bossi che mostrano il dito medio al suono dell’inno nazionale italiano, i La Russa che vogliono i fascisti di Salò uguali ai partigiani, solo più sfortunati e “penalizzati” dalla storia e dalle armi che li hanno piegati. Miserie umane e politiche che hanno la meglio, senza neanche combattere, sulla storia, sull’identità, sulla cultura. Nel generale sbadiglio del bue.