Libia. La guerra di Sarkozy: una storia di petrolio

di Pino Nicotri
Pubblicato il 22 Marzo 2011 - 01:23 OLTRE 6 MESI FA

Mi permetto di dissentire dall’entusiasmo generale per i bombardamenti contro Gheddafy e non solo perché non è chiaro – tanto per cambiare – se avvengono su decisione Onu o su forzatura franco-anglo-americana della decisione Onu.

Un po’ di memoria e qualche riflessione in più non guastano.

Prima di lanciare i suoi bombardieri il presidente francese Sarkozy, già disposto ad agire anche da solo, senza mandato Onu o Nato, ha voluto annunciare al mondo: “La Francia si assume le proprie responsabilità di fronte alla Storia”. La Storia però non è smemorata.

La Francia di fronte alla Storia ha già la responsabilità dell’invasione napoleonica dell’Egitto e del sanguinoso sfruttamento coloniale non solo dell’Algeria vicina di casa della Libia. E se vogliamo allungare la lista, dobbiamo metterci la Tunisia, altri pezzi d’Africa, l’Indocina, perfino la Polinesia dove ogni tanto la gente si ribella e dà fuoco a tutto: è successo ancora poco tempo fa.

In tempi più recenti, la Francia di fronte alla Storia ha la grave responsabilità della tragedia del Biafra, la cui secessione dalla Nigeria a fine anni ’60 fu foraggiata da Parigi per poter mettere le mani sul petrolio di quelle terre, come il delta del Niger insegna ancora oggi. Prima della lunga guerra civile per il Biafra, con il solito per noi irrilevante contorno di qualche milione di morti , la Nigeria era un Paese in via di forte sviluppo grazie al suo petrolio. Dopo la guerra per il Biafra la Nigeria è diventata terra di emigrazione di donne venute a migliaia anche in Italia per vendere sesso a basso costo.

Visto che Sarkozy evoca la Storia è bene essere precisi, completi, ed evitare di barare. Duole dovere sospettare che il presidente francese abbia fretta di far fuori Gheddafy per evitare che questi renda di pubblico dominio, come un suo figlio ha imprudentemente minacciato di fare, i documenti comprovanti che per la sua scalata alla presidenza della Francia ha accettato finanziamenti sottobanco proprio dai libici.

Berlusconi fa la guerra contro i magistrati a base di parole e leggi su misura, ma finora non ha ammazzato nessuno né invaso terre altrui, e dove ha inviato soldati, Iraq e Afganistan, lo ha fatto solo come appoggio di serie B e comunque trascurabile. Benché probabilmente ricattabile, anche da Gheddafi si presume, per via del bunga bunga e dintorni, nonché per i traffici petroliferi con la Russia e la stessa Libia, Berlusconi almeno fino ad ora non s’è ancora sognato di scatenare una guerra vera, con bombardamenti e morti ammazzati. E nonostante l’entusiasmo non solo di Massimo D’Alema, il disco verde dell’Osservatore Romano e i primi applausi del ministro degli Esteri Franco Frattini, il governo Berlusconi sta prendendo velocemente e bene le distanze dallo strafare francese e angloamericano contro la Libia.

Detto questo, dalla brutta faccenda libica può trarre vantaggio anche il nostro capo del Governo, che con una guerra in atto scatenata da altri Stati europei può cercare di schivare meglio i processi e indicare i magistrati addirittura come nemici della Patria. Grazie al precipitare della crisi libica, per rintuzzare certi pericoli non c’è nessun bisogno di altre magari più pericolose e dannose forme di distrazione dell’opinione pubblica. Le bombe per i berlusconiani  arrivano sotto forma di missili o attentati “libici”, e più in generake “islamici”.

La Francia però di piccioni con la fava dell’intervento militare ne prende più d’uno. Tre, per l’esattezza. Primo piccione: lanciandosi in avanti prima di tutti all’assalto della Libia Sarkozy favorisce la sua Total, già favorita con la tragedia del Biafra. Secondo piccione: la Francia la mette in quel posto alla nostra Eni, che dalla Libia prende il 26% del nostro fabbisogno petrolifero. Terzo piccione, che tutti negherebbero: acuendo le difficoltà economiche dell’Italia – e anche quelle politiche tramite il diluvio di nuovi arrivi di disperati, che spingerà la Lega fino magari a un qualche punto di rottura – la Francia e la Germania possono sperare più concretamente di cacciarci dalla Comunità Europea, almeno dalla moneta unica, perché siamo un peso economico e una mina politica vagante data la incapacità di fare le riforme necessarie e la capacità dei poteri parassiti di restare al comando fottendosene del debito pubblico.

Berlusconi tempo fa per fare un piacere a Israele e agli Usa e a chissà quali altri suoi amici, ha fatto interrompere ogni rapporto con l’Iran, che non solo ci fornisce petrolio non meno della Libia, ma ci ha anche dato belle concessioni petrolifere. Ora però grazie al marito di Carla Bruni rischiamo di trovarci non solo senza il petrolio iraniano, ma anche senza quello libico: in totale, rischia di sparire oltre il 50% dei nostri rifornimenti petroliferi! In altre parole, una possibile tragedia. Oltre al pericolo di disastro militare o terroristico anche in casa nostra.

“Chi pensa che la guerra è bella e che valga più della pace, è storpio di mente”: lo ha detto Cartesio, francese e fondatore del pensiero moderno, scientifico. Evidentemente Sarkozy pur essendo francese non ha letto Cartesio. Non lo hanno letto neppure tutti i laudatori interessati che intonano il solito coro della “guerra giusta”. Con la loro logica di fatto da guerra santa danno ragione a chi per esempio volesse la guerra a Israele o invadere la cosiddetta Padania per dar man forte alle Camicie Verdi desiderose di secessione dall’Italia. Ognuno infatti di ciò che è giusto ha un suo concetto, una sua visione. Ciò che è giusto per noi può essere ingiusto per altri, e viceversa. Ovviamente.

A parte il francese Cartesio, il nordafricano Annibale quando incontrò Scipione prima dello scontro finale gli fece notare che “le guerre si sa sempre come cominciano, ma mai come finiscono”. Verità dimostrata su vasta scala anche dalla prima e seconda guerra mondiale, più quelle venute dopo fino all’invasione dell’Afganistan e dell’Iraq. Che bisogno c’è di una ulteriore dimostrazione in Libia?