Il Papa, il maggiordomo e il “fallimento” della marcia per la Orlandi

Pubblicato il 27 Maggio 2012 - 19:24 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il Papa ha parlato in pubblico del caso-terremoto del “corvo”, ultimo mistero del Vaticano. Ma non ha parlato, forse per mancanza di tempo, di altri ultimi e recenti misteri che affliggono la città santa.

Ancora avvolta nel giallo rimane la “strage” delle guardie svizzere, avvenuta il 4 maggio 1998, quando il papa era Wojtyla: la versione ufficiale fu che la guardia Cedric Tornay, delusa per un mancato encomio a fine servizio militare, uccise il suo comandante Alois Esterman e la di lui consorte Gladis Meza.

La madre di Cedric, Mouguette Baudat, ha però raccolto elementi per dimostrare che la versione ufficiale è falsa, e lo ha fatto una decina d’anni fa e da allora chiede in continuazione la riapertura delle indagini e di essere ricevuta dal papa, prima Wojtyla e ora Ratzinger ma nessuno sembra interessato a riaprirebbe il dossier, dentro e fuori il Vaticano. Le ripetute suppliche della signora Baudat sembra rimangano regolarmente inevase.

A mio giudizio il mistero della guardie svizzere rimane più inquietante e grave di quello ormai stranoto di Emanuela Orlandi, anche se non c’è dubbio che la scomparsa di una ragazza di 16 anni nel cuore di Roma, a pochi passi da casa e dal Vaticano ha tutti i caratteri per appassionare il pubblico ancora trent’anni dopo.

Supportato dall’ex sindaco di Roma ed ex vice primo ministro Walter Veltroni, dal programma di Raitre “Chi l’ha visto?”, da una raccolta di firme online e da un gruppo su Facebook con oltre 14.000 aderenti, l’anno scorso Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha iniziato a organizzare una pressione crescente, che ha visto anche vari tentativi di dimostrazioni di protesta in piazza a partire dallo scorso 18 dicembre.

L’ultimo tentativo è stato fatto domenica 27 maggio. L’appuntamento al Campidoglio alle 10 di mattina per quella che voleva essere la Marcia per la Verità e la Giustizia in questo Paese ha raccolto meno di 100 persone, compreso Veltroni e il sindaco di Roma Gianni Alemanno.

Dopo un loro fervorino, e con Alemanno rimasto prudentemente in Campidoglio, i marciatori hanno preso atto di essere davvero pochi e si sono divisi in gruppetti per andare alla spicciolata in piazza S. Pietro e innalzare qualche striscione e cartello di protesta quando il papa si fosse affacciato alla finestra per l’usuale preghiera dell’Angelus.

Quella che avrebbe dovuto essere la Marcia era però autorizzata solo fino a Castel S. Angelo, motivo per cui all’imbocco di viale della Conciliazione, che porta dritto in piazza S. Pietro, i marciatori mancati hanno dovuto consegnare striscioni e cartelli alla polizia e procedere ancor più alla spicciolata. A sentir loro, lo sdegno per il mancato cenno anche questa volta di Ratzinger a Emanuela li ha spinti a scandire il nome della ragazza e la parola “ver-go-gna”, ma non se n’è accorto nessuno.

Come che sia, il Papa che ha preso la parola per parlare del furto delle lettere ha taciuto di nuovo anche su un caso che, per quanto ormai vecchio e un po’ troppo ambiguo, dovrebbe essere più importante di un pacco di carte. Specie per un Papa visto che in quanto tale è anche capo dello Stato del Vaticano e che Emanuela era per l’appunto cittadina vaticana, vale a dire una sua cittadina.

Forse perché tedesco, Ratzinger si è mostrato di polso più fermo della magistratura italiana, che sulla base di una telefonata anonima di 7 anni fa a “Chi l’ha visto?” ha invece ceduto alle pretese televisive arrivando a sventrare i sotterranei di una basilica, a violarne l’antico cimitero e in particolare una bara, scardinata per squadernare i resti di un morto e frugare perfino sotto i suoi pantaloni e nei liquidi prodotti dal cadavere e sedimentati nel corso dei 22 anni di chiusura ermetica. Un epilogo macabro, impensabile in qualunque altro Stato civile.

Il papa ha taciuto, l’onorevole Veltroni invece ha perso una buona occasione per tacere. “Sarebbe bello se il papa alla preghiera dell’Angelus dicesse una parola di conforto per il dolore della famiglia Orlandi”, ci ha infatti tenuto a dichiarare.

A parte il fatto che di parole e conforti per gli Orlandi sono stati assai prodighi sia papa Wojtyla che papa Ratzinger, sarebbe bello se Veltroni anziché insegnare anche ai pontefici cosa dire e fare dicesse lui qualche parola di conforto per le famiglie delle migliaia di giovani cittadini italiani che, pur non chiamandosi Orlandi, sono scomparsi dal 1983 fino ad oggi. Qualche parola di conforto e magari anche qualche aiuto concreto da parte del mondo politico e istituzionale. Al posto del solito disinteresse non solo veltroniano rotto solo da qualche caso buono per aumentare l’audience.

Forse ha perso una buona occasione per tacere anche Pietro Orlandi. Il suo precipitarsi a dichiarare che lui il maggiordomo Paolo Gabriele lo conosce benissimo, è un suo amico e quindi è impossibile sia colpevole, è la tipica riproposizione del solito vizio non solo vaticano: gli amici miei sono sempre innocenti, i miei nemici o presunti tali sono invece sempre colpevoli. Se poi alla dichiarazione di Pietro Orlandi uniamo il fatto che il maggiordomo abita nella stessa palazzina vaticana dove abitavano gli Orlandi tutti e dove abita ancora la signora Maria Pezzano, madre di Pietro, di Emanuela e di altre tre figlie, allora non si può fare a meno di sorprenderci ancor più.