Regionali Lombardia: no di Ambrosoli, tra vedove e orfani

di Pino Nicotri
Pubblicato il 29 Ottobre 2012 - 08:08| Aggiornato il 20 Aprile 2022 OLTRE 6 MESI FA

L’avvocato Umberto Ambrosoli ha rifiutato l’offerta fattagli dal PD di candidarsi a presidente della Regione Lombardia. Un gesto inaspettato e assai diverso dall’usuale accettare candidature elettorali da parte dei figli e delle vedove di eroi civili o di vittime della mafia o del terrorismo.

Umberto Ambrosoli è figlio di Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese fatto uccidere il 12 luglio 1979  dal banchiere Michele Sindona perché in qualità di curatore fallimentare della sua Banca Privata Italiana non aveva voluto piegarsi, nonostante le pressioni di politici a quel tempo potenti come Giulio Andreotti, alle pretese di salvarla a tutti i costi, occultandone le gravissime magagne.

La città di Milano a ricordo di questo eroe civile ha intitolato al suo nome una piazza. Il figlio ha seguito le orme del padre diventando avvocato anche lui, ma ha preferito andare a vivere lontano da Milano, nelle Marche. Ed ha sempre evitato di usare la figura paterna per farsi pubblicità o trarre vantaggi di qualunque tipo. L’anno scorso – in qualità di consulente editoriale della casa editrice Baldini Castoldi Dalai – gli proposi di scrivere un libro sulla figura di suo padre e della sua vita da bambino con lui, ma rifiutò e mi propose invece di scrivere un libro sui problemi della sua professione e più in generale della giustizia in Italia oggi. Proposta purtroppo non andata in porto per disinteresse dell’editore.

Ben diverso, come è noto, il comportamento di Nando Dalla Chiesa, figlio dell’ex generale e vice comandante dei carabinieri nonché prefetto di Palermo Carlo Alberto Della Chiesa, massacrato il 3 settembre 1982 dalla mafia in Sicilia assieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo.

Il 2 dicembre di tre anni dopo Dalla Chiesa figlio fonda a Milano il movimento della Società civile, con l’illusione che la società civile fosse migliore dei propri politici, ma utile gradino per approdare in parlamento prima alla Camera per la Rete di Leoluca Orlando, poi con la Federazione dei Verdi, infine al Senato con la lista de L’Asinello nel collegio Genova Bargagli.

Vano nel 1993 il tentativo di diventare sindaco di Milano e nel 1999 di diventare deputato europeo per il Sole che ride. Il personalismo, i condizionamenti della figura paterna e la mancanza di lungimiranza politica sono evidenziate, tra l’altro, dal fatto che il 23 ottobre 1988 per inimicizia verso il senatore a vita ed ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ritenuto senza prove corresponsabile politico della fine del padre, Nando Dalla Chiesa ha negato la fiducia al governo D’Alema I che l’aveva chiesta alla Camera.

Dopo Nando Dalla Chiesa è stato il turno di Carol Jene Beebe, vedova di Ezio Tarantelli, economista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1985, e di Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino massacrato con un’autobomba a Palermo il 19 luglio 1992. Seguendo la strategia veltroniana di utilizzare in chiave politico elettorale la popolarità dei familiari delle vittime della mafia e del terrorismo, la vedova Tarantelli viene candidata ed eletta nel 1987 al parlamento come indipendente del Partito Comunista Italiano, mentre la storia della sorella Borsellino è più complessa.

I partiti di centrosinistra, superando ogni settarismo, sono passati sopra il fatto che suo fratello Paolo fosse un simpatizzante del neofascista Movimento Sociale Italiano (Msi) e l’hanno candidata nel 2006 a governatore della regione, la Sinistra Arcobaleno l’ha candidata nel 2008 al parlamento e il PD l’ha fatta eleggere al parlamento europeo nel 2009. La carriera politica di fatto si è conclusa il 4 marzo 2012 quando Rita Borsellino ha perso le primarie del centrosinistra per la scelta del sindaco di Palermo.

Ancora nella lista di parlamentari di sinistra per vedovanza Rosa Maria, vedova di Nicola Calipari (il funzionario del Sismi morto mentre di notte cercava di forzare un posto di blocco americano a Bagdad portando all’aeroporto la giornalista Giuliana Sgrena) e Olga, vedova di Massimo D’Antona, giurista ucciso dalle nuove Br perché studiava la riforma del mercato del lavoro in Italia.

Se a Milano Ambrosoli figlio pochi giorni fa ha declinato l’offerta del PD a candidarsi per la presidenza della Regione Lombardia, alle amministrative del 2009 ha invece accettato di entrare in politica con la lista civica di Filippo Penati, che tentava senza successo di restare presidente della Provincia di Milano, la giovane Benedetta Tobagi, figlia del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi ucciso il 28 maggio 1980 dai terroristi della Brigata XXVIII marzo.

Dopo una breve esperienza come consigliere provinciale, Tobagi figlia è stata nominata “in quota PD” addirittura nel consiglio d’amministrazione della Rai, su designazione di Pierluigi Bersani. Eppure non aveva certo l’esperienza per esempio di un’altra figlia di vittima del terrorismo rosso, la padovana Silvia Giralucci, giornalista della sede Rai di Venezia e figlia di Graziano Giralucci, ucciso a meno di 30 anni a Padova da una commando di Prima Linea nella sede del Movimento Sociale Italiano.

E proprio perché il padre era un militante dell’Msi Silvia ha avuto, al contrario della figlia di Tobagi, un’infanzia e un’adolescenza assolutamente priva di solidarietà istituzionali di qualunque tipo e povera anche di solidarietà umana dei conoscenti e dei padovani in genere. Il suo ingresso nel giornalismo e alla Rai di Venezia se l’è sudato tutto e nessuno le ha regalato nulla, tanto meno le ha offerto candidature di un qualche tipo.

A suscitare perplessità sulla strategia di cooptazione dei “parenti di” da parte dei partiti più o meno di sinistra non è certo solo il diverso trattamento tra la figlia di Tobagi e quella di Giralucci, a prescindere dall’apporto politico reale, in fatto di idee e programmi, recato in dote dai prescelti e che non entra in gioco in queste valutazioni.

Si è però tentati di passare dalla perplessità allo sdegno se si osserva che alle migliaia di vedove, orfani, fratelli e sorelle degli oltre 1.100 caduti sul lavoro ogni anno – anche questi eroi civili, ma di nessun peso, chiacchiere a parte – non solo non vengono offerte candidature politiche o poltrone in consigli d’amministrazione, ma neppure il dovuto conforto reale e concreto né facilitazioni di sorta da parte delle istituzioni. Tutti costoro devono anzi vedersela da soli con le improvvise difficoltà della vita: a partire da pensioni spesso da fame.

Infine: ai congiunti delle vittime del terrorismo e della grande criminalità organizzata lo Stato elargisce a mo’ di risarcimento fino a 200.000 euro ( http://www.vittimeterrorismo.it/). Perché invece per i congiunti di chi viene ucciso dal lavoro per l’incuria del padronato non è previsto nulla di simile? Perché questi congiunti, oltre a non essere mai candidati a nulla, devono vedersela da soli col datore di lavoro in lunghi, estenuanti e non gratuiti processi civili?

Evidentemente ci sono anche in questo campo figli di un Dio minore. E figli di nessuno.