Pensioni: contributo solidarietà contro Costituzione? Corte Conti Veneto e Campania

di Pierluigi Roesler Franz
Pubblicato il 30 Aprile 2015 - 08:14 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni: contributo solidarietà contro Costituzione? Corte Conti Veneto e Campania

Pensioni: contributo solidarietà contro Costituzione? Corte Conti Veneto e Campania

ROMA – Anche per la Corte dei Conti del Veneto e per la Corte dei Conti della Campania viola la Costituzione il contributo di solidarietà deciso dal Governo Letta nel 2013 e valido 3 anni dal 2014 (sulla scia dell’esempio di Berlusconi/Tremonti e di Mario Monti).

Il taglio, sotto forma di contributo imposto, si applica alle pensioni superiori ai 91 mila 250 euro lordi l’anno.

Sono due ordinanze distinte, che nascono da due diverse cause mosse contro Presidenza del Consiglio dei ministri e INPS quella della Campania e contro Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero del lavoro e INPS (ex INPDAP) quella del Veneto.

Riportiamo il testo integrale di entrambe, perché nulla rende lo stato delle cose meglio delle parole dei giudici amministrativi che hanno deciso di rimettere il giudizio sul sopruso subito dai pensionati all’unica autorità in Italia capace di tutelare gli interessi dei cittadini.

Reg. ord. n. 65 del 2015
Ordinanza del Corte dei conti – Sez. giurisdizionale di per la Regione Veneto del 16/02/2015
Notifica del 25/02/2015
Tra: Abate Francesco ed altri 106 C/ Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero del lavoro e INPS (ex INPDAP)
Altre parti: Belloni Maurizio ed altri 5

Oggetto:
Bilancio e contabilità pubblica – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) – Interventi in materia previdenziale – Trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria complessivamente superiore a quattordici volte il trattamento minimo INPS – Assoggettamento ad un contributo di solidarietà a decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un periodo di tre anni – Violazione del principio di solidarietà sociale – Lesione del principio di uguaglianza per irragionevolezza – Violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione (anche differita) – Lesione dei principi di capacità contributiva e di progressività.
Norme impugnate
Num. Art. Co. Nesso
legge 27/12/2013 147 1 486 (collegamento a Normattiva)

Parametri costituzionali
Num. Art. Co. Nesso
Costituzione 2 (collegamento a Normattiva)
Costituzione 3 (collegamento a Normattiva)
Costituzione 36 (collegamento a Normattiva)
Costituzione 53 (collegamento a Normattiva)

N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2015
Ordinanza del 16 febbraio 2015 della Corte dei conti – Sez. giurisdizionale per la Regione Veneto sul ricorso proposto da Abate Francesco ed altri contro Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero del lavoro e INPS (ex INPDAP). Bilancio e contabilita’ pubblica – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2014) – Interventi in materia previdenziale – Trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria complessivamente superiore a quattordici volte il trattamento minimo INPS – Assoggettamento ad un contributo di solidarieta’ a decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un periodo di tre anni – Violazione del principio di solidarieta’ sociale – Lesione del principio di uguaglianza per irragionevolezza – Violazione del principio di proporzionalita’ ed adeguatezza della retribuzione (anche differita) – Lesione dei principi di capacita’ contributiva e di progressivita’. – Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 486. – Costituzione, artt. 2, 3, 36 e 53. (GU 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n.17 del 29-4-2015)

LA CORTE DEI CONTI

Sezione giurisdizionale per il Veneto

Il Giudice Unico delle pensioni

Udite, alla pubblica udienza del 16 gennaio 2014, le parti
costituite;
Visti gli atti e i documenti della causa;
ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n.
29797 del registro di Segreteria, proposto da Francesco Abate,
Antonio Alessandri, Antonio Ambrosini, Renato Balduin, Arrigo
Battocchia, Maurizio Belloni, Umberto Bocus, Giovanni Bonadonna,
Mario Giovanni Bonandini, Francesco Botner, Guglielmo Breda, Paolo
Cadrobbi, Massimo Cappellin, Modesto Carli, Francesco Carmignoto,
Giuseppe Caroli, Luigi Casagrande, Michelangelo Ciminale, Carlo
Crivellare, Paolo Colleselli, Gaetano Consolaro, Nicola Conte,
Federico Corbara, Loris Costantini, Giovanni Crestanello, Dario
Curtarello, Dalla Villa Walter, Carmelo D’Amico, Angela D’Amico,
Davide D’Amico, Giovan Battista De Dominicis, Rosario De Lisio,
Roberto De Stefani, Gianfranco Denes, Carlo Di Bello, Filiberto
Donzelli, Fabio Fabi, Mario Fabiani, Melchiorre Fallica, Adriano
Fante, Eugenio Fantuz, Carlo Favaretti, Mario Ferretti, Bruno Finco,
Francesco Frasson, Paolo Frasson, Vittorio Gasparella, Maria
Giacobbo, Giovanni Giampaglia, Giacomo Gortenuti, Lucio Innecco,
Francesco Lippiello, Francesco Luciani, Sandro Magagnotto, Ferruccio
Magello, Carlo Maniscalco, Franco Mantero, Alessandro Marcolin,
Giuliano Menaldo, Roberto Mencarelli, Antonio Menetto, Antonio
Michelon, Claudio Mongiat, Romano Morra, Giovanni Motton, Luciano
Musi, Renato Musola, Vito Ninfa, Arturo Orsini, Vittore Pagan,
Antonio Pagnan, Mariangela Palu’, Giovanni Patrassi, Giampiero
Perrino, Walter Peruzzo, Achille Pessina, Carlo Pianon, Enrico Pino,
Giambeppi Antonio Pizzi, Cesare Polico, Paolo Pristinger, Massimo
Rea, Giuseppe Realdi, Giorgio Rigatelli, Michele Romano, Onofrio
Sergio Sala, Franco Saija, Gaspare Sammartano, Furio Sandei, Federico
Sartori, Carlo Scapin, Vincenzo Schiavone, Dario Siciliano, Giuseppe
Signorelli, Giuseppe Simini, Giuliano Soffiati, Antonio Soliman,
Paolo Stritoni, Giorgio Svaluto Moreolo, Oreste Terranova, Federico
Tremolada, Carlo Valfre’, Riccardo Vangelista, Sergio Zamboni,
Giovanni Zoccali, Carlo Cosma Zorzi Meneguzzo, e Ugo Zurlo, tutti
rappresentati e difesi dal Prof. Avv. Vittorio Angiolini (c.f.
NGLVTR55C26L833G, fax 02/796409, PEC.
vittorio.angiolini@cert.ordineavvocatimilano.it) e dall’Avv.
Mariagrazia Romeo (c.t. RMOMGR66E67F537K, fax 041/5224190, P.E.C.
mariagrazia.romeo@venezia.pecavvocati.it), con domicilio eletto
presso quest’ultima in Venezia, S. Croce 205, contro
– Ministero Economia e Finanze, in persona del Ministro pro
tempore, come rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato;
– Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in persona del
Ministro pro tempore, come rappresentato e difeso dall’Avvocatura
dello Stato;
– INPS – ex INPDAP, in persona del legale rappresentante pro
tempore,
per il riconoscimento e la tutela, previa idonea cautela, del
diritto del ricorrenti a percepire la pensione integralmente, senza
le decurtazioni relative al trattamento superiore a quattordici volte
il trattamento minimo INPS, disposte per un periodo di tre anni, a
far data dal 1° gennaio 2014, dall’art. 1, comma 486 della l. 27
dicembre 2013 n. 147; con ogni conseguente pronuncia, anche di
condanna, quanto agli obblighi dell’Amministrazione.

Premesso

Con ricorso depositato in data 04/6/2014, i ricorrenti, essendo
ex magistrati, professori universitari, ufficiali delle forze armate
o dirigenti dello Stato, della regione ovvero di altri enti pubblici
o privati (Francesco Luciani, Michelangelo Ciminale), risultano
titolari di pensione, a totale o parziale carico dello Stato, con un
trattamento complessivamente superiore a quattordici volte il
trattamento minimo INPS e conseguentemente rientrano nell’ambito
applicativo del disposto dell’art. 1, comma 486, della legge n.
147/2013, a norma del quale “a decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un
periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici
corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie
complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo
INPS, e’ dovuto un contributo di solidarieta’ a favore delle gestioni
previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente
il predetto importo lordo annuo fino all’importo lordo annuo di venti
volte il trattamento minimo INPS, nonche’ pari al 12 per cento per la
parte eccedente l’importo lordo annuo di venti volte il trattamento
minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l’importo lordo
annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS. Ai fini
dell’applicazione della predetta trattenuta e’ preso a riferimento il
trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato”.
Sempre secondo il comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del
2013, il suddetto “contributo di solidarieta’” e’ acquisito “dalle
competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di
concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191”, e
dunque puo’ essere destinato anche al finanziamento dei benefici
specialmente stabiliti dal legislatore per i lavoratori il cui
pensionamento e’ stato ritardato e sottoposto condizioni deteriori
dall’entrata in vigore della recente legislazione pensionistica (cd.
“esodati”).
In particolare, i ricorrenti lamentano l’incostituzionalita’
della disposizioni sotto molteplici profili:
1) Violazione e falsa applicazione del giudicato
costituzionale, ex artt. 136 e 137 Cost., in quanto la disposizione
de qua sostanzialmente riproduce analoga norma di legge (l’art. 18,
comma 22-bis, del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, come conv. con l. 15
luglio 2011 n. 111, e s.mm.), gia’ dichiarata incostituzionale dalla
Consulta con sentenza n. 116 del 3-5 giugno 2013. In particolare,
nella suddetta pronunzia, la Corte costituzionale, richiamando
precedenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze n. 223/2012 e n.
241/2012), ha qualificato l’intervento sedicente perequativo come di
natura sostanzialmente tributaria, in quanto “integra una
decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico,
con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che
presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa
Corte per caratterizzare il prelievo come tributario (ex plurimis,
sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335, n. 102 e n. 64 del
2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005)”. Conseguentemente, la Corte
ha stigmatizzato il contrasto della disposizione rispetto al
principio costituzionale di universalita’ dell’imposizione e di
correlazione alla “capacita’ contributiva”, e quindi
l’irragionevolezza della sua deroga “avendo riguardo, quindi, non
tanto alla disparita’ di trattamento fra dipendenti o fra dipendenti
e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi od imprenditori,
quanto piuttosto a quella fra cittadini”, tenuto conto che “i redditi
derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro
origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri
redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53
Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate
categorie di redditi da lavoro” e che anzi questi godono nel nostro
ordinamento di “particolare tutela”, anche in quanto aventi natura di
retribuzione differita”.
Orbene, sostengono le parti ricorrenti, la recente disposizione
riproduce, per forma, sostanza ed effetti, quella gia’ ritenuta
incostituzionale dalla Consulta, applicandosi a tutti i “trattamenti
pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza
obbligatorie”, trattandosi di un “contributo”, avendo una durata
triennale ma con effetti definitivi, essendo strutturato in forma
analoga alla precedente ed infine essendo destinato a confluire,
anziche’ “all’entrata del bilancio dello Stato” (come il precedente),
alle casse dell’ente previdenziale pubblico, il quale peraltro potra’
solo eventualmente (“anche”) utilizzarlo per finanziare interventi di
sostegno ai lavoratori c.d. “esodati”.
Parte ricorrente ritiene dunque palese la violazione del
giudicato costituzionale, tanto piu’ in quanto la giurisprudenza
della Consulta ritiene che questo sia violato “non solo quando il
legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di
quella gia’ ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la
nuova disciplina miri a “perseguire e raggiungere, anche se
indirettamente”, “esiti corrispondenti” (cosi’ Corte Cost., sent. n.
245 del 2012; ma v. anche e gia’ le sentt. n. 223 del 1983, n. 88 del
1966 e n. 73 del 1963).
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 38
Cost., anche sotto il profilo della lesione del legittimo
affidamento.
Parte attrice ritiene altresi’ violati i principi costituzionali
di cui agli articoli 2 e 3 della costituzione, nella misura in cui
impongono il rispetto della “tutela dell’affidamento legittimamente
sorto nei soggetti interessati all’applicazione della norma”
precedentemente in vigore (cosi’, in ultimo, la sent. della Consulta
n. 160 del 2013), principio valido a fortiori (alla luce dei principi
di cui agli articoli 36 – retribuzione “proporzionata alla quantita’
e qualita’” delle prestazioni – e 38, comma 2 – obbligo di assicurare
ai pensionati “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita”) allorche’
si tratti di un diritto a “gia’ riconosciute prestazioni
pensionistiche” su cui il titolare legittimamente facesse affidamento
ed il cui regime venga modificato in senso deteriore dal legislatore
(v., di recente, Corte cost., sent. n. 69 del 2014).
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 38 e 53
Cost., anche sotto il profilo della violazione della parita’ di
trattamento tra situazioni reddituali tra loro omologabili.
Tenuto conto della ritenuta ricorrenza degli elementi tipici del
tributo secondo la menzionata sentenza della Consulta n. 223/2012
(“la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a
procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del
soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di
un rapporto sinallagmatico”….; le risorse connesse ad un
presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta
decurtazione sono destinate a sovvenire pubbliche spese”, secondo
parte attrice la misura in questione violerebbe il principio di
“universalita’ dell’imposizione” ex artt. 3 e 53 Cost., in quanto non
si comprenderebbero le ragioni per le quali detta imposizione debba
gravare non gia’ su tutti i percettori di reddito ma soltanto su
detti pensionati, che peraltro (ammesso e non concesso che gli
importi vengano destinati agli “esodati”) “non hanno avuto la benche’
minima parte” in detta vicenda.
Inoltre, parte attrice evidenzia ulteriori irragionevolezza della
misura ex artt. 3 e 53 della Carta, in quanto:
a) i redditi da pensione, piuttosto che esser considerati in
modo privilegiato in ragione della loro funzione costituzionale di
assicurare ai pensionati i “mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita” (art. 38, comma 2 Cost.), risultano assoggettati ad un
trattamento deteriore rispetto ad altri redditi;
b) il comma 590 dell’ art. 1 della l. n. 147 del 2013, nel
confermare il trattamento di cui all’art. 2, comma 2, del d.l. 13
agosto 2011 n. 138 (contributo di solidarieta’ del 3% sui redditi per
l’importo eccedente gli euro 300.000,00), ha previsto che “Ai fin,
della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano
anche i trattamenti pensionistici di cui al comma 486, fermo restando
che su tali trattamenti il contributo di solidarieta’ di cui al primo
periodo non e’ dovuto”. Detta norma, secondo parte attrice, introduce
un ulteriore fattore di “irragionevolezza” e sproporzione, anche nel
trattamento di soggetti tutti egualmente pensionati, a seconda che il
loro reddito, pur con lo stesso ammontare complessivo, derivi in
misura maggiore o minore dal trattamento pensionistico, anziche’ da
altri cespiti, in quanto chi raggiunga un reddito superiore ad euro
300.000,00 derivante esclusivamente o prevalentemente da pensione
sara’ soggetto ad un contributo di solidarieta’ di importo superiore
rispetto a chi consegua detto reddito esclusivamente o
prevalentemente da fonti diverse.
Con breve memoria in atti al 18 luglio 2014 si e’ costituita
l’Avvocatura di Stato per il Ministero del lavoro, testualmente
limitandosi a “contestare quanto avversamente dedotto in fatto e in
diritto” e a “chiedere che il ricorso sia rigettato perche’
inammissibile, improponibile, irricevibile, improcedibile, infondato
nel merito, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese”.
Si e’ altresi’ costituito l’INPS, con memoria depositata in data
6/8/2014, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione di
questa Corte relativamente ai seguenti soggetti:
1) CIMINALE Michelangelo (n. 18), in quanto titolare di
trattamento pensionistico erogato dall’INPS (categoria VO) gestione
privata nonche’ dal Fondo pensioni credito bergamasco, ma non di
pensione pubblica;
2) D’AMICO Angela (n. 29), in quanto beneficiaria di due
pensioni INPS gestione privata (VO e PI) ma non di pensione pubblica;
3) LUCIANI Francesco (n. 53), poiche’ beneficiario di
pensione INPS gestione privata (VO) ma non di pensione pubblica;
4) SANDEI Furio (n. 89), in quanto beneficiario di pensione
INPS gestione privata (VO; che peraltro non risulti gravata di alcuna
ritenuta ex lege 147/2013) e di una pensione erogata dall’ENPAM ma
non di pensione pubblica;
5) SICILIANO Dario (n. 93), in quanto beneficiario di due
pensioni INPS gestione privata (Va e VOAUT) ma non di pensione
pubblica.
Inoltre, l’Inps ha eccepito il proprio difetto di legittimazione
passiva con riguardo alla posizione di PINO Enrico (n. 78), in quanto
trattamento pensionistico viene corrisposto direttamente dal
Ministero della difesa.
L’istituto previdenziale ha altresi’ eccepito la carenza di
interesse a ricorrere e/o la manifesta infondatezza della pretesa con
riguardo alle posizioni di CRIVELLARO Carlo (n. 19) e MOREOLO Svaluto
Giorgio (n. 99), in quanto titolari di trattamenti pensionistici non
incisi da alcuna ritenuta, nonche’ con riferimento alla posizione di
PERUZZO Walter (n. 75), in quanto non titolare di alcun trattamento
pensionistico erogato dall’INPS, e anzi in servizio attivo iscritto
alla gestione parasubordinati.
Nel merito, l’Istituto previdenziale ha sostenuto la legittimita’
del prelievo operato e la manifesta infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale prospettata da parte attrice, avuto
riguardo alle peculiarita’ della norma che la diversificherebbero
recisamente dalla disposizione gia’ dichiarata incostituzionale dalla
Consulta con la sentenza n. 116/2013.
Nella norma oggi in esame, secondo parte resistente, non
sarebbero infatti riscontrabili i gia’ delineati tre elementi
indefettibili della fattispecie tributaria.
In dettaglio, il contributo di solidarieta’ ex lege n. 147/2013
avrebbe “natura transitoria” e non “definitiva”, ma soprattutto ad
escludere la natura tributaria del contributo vi sarebbe la
finalizzazione dei risparmi di spesa ottenuti che vengono “acquisiti
dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine
di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191
del presente articolo”; secondo la prospettazione dell’Istituto
previdenziale, si tratterebbe dunque, diversamente del contributo
sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici introdotto dall’art. 9,
comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 gia’ dichiarato incostituzionale con
la recente sentenza n. 223/2012, di un contributo destinato
eminentemente a garantire risparmi di gettito finalizzati a precipui
interventi, individuati dal legislatore, e non a beneficio della
fiscalita’ generale.
Anche le ulteriori censure inerenti la ritenuta violazione
dell’art. 3 della Costituzione non sarebbero fondate, secondo
l’istituto previdenziale, in quanto il prelievo in questione, a
differenza del contributo sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici
introdotto dall’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, vede come
destinatari l’intera platea dei titolari di trattamenti
pensionistici, anche integrativi, rimanendone escluse esclusivamente
le prestazioni assistenziali (rispetto alle quali, d’altronde,
risulterebbe difficile ipotizzare il superamento degli importi
previsti dal co. 22-bis, ratione mensurae), gli assegni straordinari
di sostegno al reddito, le pensioni erogate alle vittime del
terrorismo e le rendite dell’INAIL.
Con ordinanza n. del 26/9/2014, questa Corte ha rigettato
l’istanza cautelare proposta dai ricorrenti in quanto non e’
risultata affatto provata (anzi, neppure si sono riscontrate
allegazioni in merito) la sussistenza, per alcuno dei ricorrenti, del
periculum in mora, tanto piu’ che si tratta nella specie di soggetti
aventi diritto a trattamenti pensionistici elevati (almeno euro
90.000,00 annui) sul quali per giunta il contributo verrebbe a
gravare in percentuale limitatamente all’eccedenza.
Da ultimo, con memoria in atti al 23 dicembre 2014, l’Avvocatura
dello Stato di Venezia ha chiesto il rigetto del ricorso sostenendo
la manifesta infondatezza del prospettata questione di legittimita’
costituzionale, tenuto conto della specifica finalizzazione del
contributo al riequilibrio del sistema previdenziale (ex art. 2
Cost.), in un frangente storico segnato dalla necessita’ di
salvaguardare l’equilibrio della finanza pubblica (cfr. Corte cost.
sent. nn. 299/1999 e 223/2012).
In particolare, la difesa erariale ha richiamato l’ordinanza
della Consulta n. 22/2003 (in termini, ord. n. 160/2007), che ha
dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita’
costituzionale posta con riferimento all’art. 37 della legge 23
dicembre 1999, n. 488 (norma che prevedeva un prelievo coattivo del
2%, a decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni,
sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti
gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente
superiori al massimale annuo previsto dall’art. 2, comma 18, della
legge 8 agosto 1995, n. 335), in quanto “la scelta del legislatore e’
stata operata in attuazione del principi solidaristici sanciti
dall’art. 2 della Costituzione attraverso l’imposizione di una
ulteriore prestazione patrimoniale gravante solo su alcuni
trattamenti previdenziali che superino un certo importo stabilito
dalla legge”.
L’avvocatura erariale ha altresi’ evidenziato come la norma in
esame non contempli un prelievo di natura tributaria (obbligazione
generica di contribuzione alle pubbliche spese), ma preveda
sostanzialmente “una forma di riequilibrio dell’importo dei
trattamenti all’interno dello stesso sistema pensionistico”, in
quanto le somme prelevate dalla generalita’ dei pensionati “vengono
acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie” e non
alla fiscalita’ generale.
Per giunta, ha concluso l’Avvocatura dello Stato, “ammesso e non
concesso che tali previsioni abbiano carattere tributario – come
ritenuto dalla Corte Cost. in relazione ai precedenti prelievi di
solidarieta’ del 2010 e del 2011 – cio’ non determinerebbe per cio’
solo la loro illegittimita’ costituzionale – correndo l’obbligo di
vagliarne la costituzionalita’ alla luce dei principi di cui agli
artt. 2, 3 e 53 della Costituzione”, e che nella specie il prelievo
sarebbe ragionevole in quanto la disposizione “colpisce soltanto
trattamenti previdenziali in ragione della sua esclusiva destinazione
al finanziamento di altri trattamenti previdenziali e, dall’altro,
non appare censurabile, sotto il profilo del difetto della capacita’
contributiva, essendo imposta su trattamenti che – per la loro
entita’ – sicuramente rappresentano un indice di forza economica”.
Con ulteriore memoria in atti al 31 dicembre 2014, i ricorrenti
hanno replicato alle argomentazioni avanzate dall’avvocatura di
Stato, evidenziando la natura definitiva del prelievo (pur
temporaneo), richiamando in tema le considerazioni espresse dalla
Consulta nelle sentenze n. 116/2013 e 223/2012, nella quale si legge,
tra l’altro, che il prelievo triennale “va “oltre il periodo reso
necessario dalle esigenze di riequilibrio di bilancio”.
Quanto alla tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la
confluenza dei fondi nelle casse delle gestioni previdenziali
obbligatorie escluderebbe la natura tributaria del prelievo, i
ricorrenti hanno evidenziato che “le somme impiegate in gestioni
previdenziali obbligatorie” sono ben “spese pubbliche, in quanto
concorrenti alle finalita’ tipicamente pubblicistiche dell’art. 38
Cost.” e ricomprese quali componenti degli equilibri generali della
finanza pubblica.
Anzi la stessa giurisprudenza costituzionale, ha argomentato
parte attrice, ha evidenziato, in materia di ammissibilita’ dei
referendum, il collegamento tra azione di bilancio e prelievi su
trattamenti pensionistici (sentenza n. 2/1994), giungendo altresi’ a
qualificare i prelievi sui trattamenti pensionistici, sebbene
effettuati solo in funzione della spesa previdenziale, come destinati
a sovvenire a pubbliche spese e, quindi, come aventi natura di
prelievi forzosi a carattere tributario (sentenza n. 119/1981). Tanto
piu’ che, nella specie, “il legislatore, chirurgicamente, si guarda
dal parlare della loro destinazione per la spesa e, tantomeno, ne
assicura la destinazione vincolata ai trattamenti pensionistici …”
potendo “essere concretamente impiegate, dalle medesime gestioni
previdenziali, per finalita’ altre e tutte diverse da quella,
tipicamente solidaristica, di finanziare pensioni “nuove” o di
accrescere trattamenti pensionistici meno consistenti di quelli
colpiti ….. come quelli inerenti a prestazioni prettamente
assistenziali o, perfino, per quelli inerenti semplicemente al
mantenere ed ampliare l’organizzazione degli istituti di previdenza”.
Tanto piu’ che, ha concluso parte ricorrente, il legislatore
segue una politica di mobilizzazione nell’allocazione delle risorse
per la spesa cosicche’ la stessa dichiarata destinazione finale del
prelievo alle gestioni previdenziali non risulta del tutto
intangibile; si adduce in proposito l’esemplificazione normativa
tradotta nell’art. 1, comma 9, della legge n. 228/2012, a norma del
quale le somme destinate alle spese per l’attivita’ di patronato,
poste a carico della contribuzione previdenziale obbligatoria sino
dalla L. n. 152/2001, concorrono, proprio a partire dal 2014, “al
raggiungimento degli obiettivi del obiettivi di finanza pubblica di
cui all’art. 7 del decreto-legge 4 luglio 2012 n. 95” (come conv. in
l. n. 135 del 2012).
Con ulteriore memoria in atti al 9 gennaio 2015, I’Inps ha
ulteriormente argomentato in tema, eccependo innanzitutto il difetto
di giurisdizione relativamente ai convenuti Ciminale Angelo, D’amico
Angela, Luciano Francesco, Sandei Furia e Siciliano Dario, in quanto
non beneficiari di pensioni pubbliche, il proprio difetto di
legittimazione passiva con riguardo al sig. Pino Enrico, in quanto
beneficiario di pensione direttamente corrisposta dal ministero della
difesa, nonche’ la carenza di interesse a ricorre ex art. 100 c.p.c.
con riguardo ai ricorrenti Perruzzo Walter (in quanto non
beneficiario di pensione e “pare” in servizio attivo iscritto alla
gestione parasubordinati), Crivellaro Carlo e Moreolo Svaluto Giorgio
(in quanto non risulta alcun trattamento pensionistico erogato
dall’Inps). Nel merito, l’Istituto previdenziale ha ulteriormente
argomentato in ordine alla natura non tributaria della norma, tenuto
conto della transitorieta’ del prelievo, e della sua destinazione “a
precipui interventi, individuati dal legislatore e non a beneficio
della fiscalita’ generale”, finalita’ fondata sui principi
costituzionale ex artt. 2 e 38 Cost (ordinanze c. cost. nn. 22/2003 e
160/2007), come emerso anche in sede di lavori parlamentari.
In proposito, l’Istituto previdenziale, ha menzionato una recente
sentenza (n. 14/2014) della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale
del Trentino Alto Adige – Bolzano, che ha dichiarato la manifesta
infondatezza di identica questione di costituzionalita’ sollevata in
giudizio analogo al presente

Considerato

[1] I ricorrenti chiedono a questa Corte di “dichiarare e
riconoscere il diritto a percepire il trattamento pensionistico in
atto, senza le decurtazioni relative al trattamento superiore a
quattordici volte il trattamento minimo INPS, disposte per un periodo
di tre anni, a far data dal 1° gennaio 2014, dall’art. 1, comma 486
della I. 27 dicembre 2013 n. 147”, previa remissione della questione
alla Corte costituzionale per l’esame di costituzionalita’ di
quest’ultima norma. Sulla domanda proposta dai ricorrenti sussiste la
giurisdizione di questa Corte (in disparte la questione posta
dall’Inps sulle domande dei sigg.ri CIMINALE Michelangelo, D’AMICO
Angela, LUCIANI Francesco, SANDEI Furio e SICILIANO Dario, riservata
alla trattazione successiva all’incidente di costituzionalita’), in
quanto il petitum sostanziale, da individuare in ragione della
intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (causa petendi)
dai ricorrenti – ovvero l’oggetto della domanda sulla cui base va
determinata, a norma dell’art. 386 cod. proc. civ. la giurisdizione –
concerne il riconoscimento del diritto alla corresponsione del
trattamento pensionistico maturato, senza dunque le decurtazioni
“disposte per un periodo di tre anni, a far data dal 1° gennaio 2014,
dall’art. 1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013 n. 147″. Infatti,
secondo univoca giurisprudenza delle sezioni Unite della Corte di
Cassazione, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di
pensioni (ai sensi degli artt. 13 e 62 del R.D. n. 1214 del 1933) ha
carattere esclusivo, in quanto affidata ai criterio di collegamento
costituito dalla materia, onde in essa sono comprese tutte le
controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento
identificativo del petitum sostanziale, ovvero sia comunque in
questione la misura della prestazione previdenziale (ex aliis, Cass.
civ. Sez. Unite, Sent. n. 8324 del 2010). Ne’ peraltro appare
suscettibile di inficiare detta affermazione giurisprudenziale la
circostanza che detto contributo perequativo rivesta (in tesi) natura
tributaria, in quanto il rapporto tra enti previdenziali e
beneficiari dei trattamenti pensionistici rimane di natura
previdenziale e non certo tributario, il quale ultimo di norma si
caratterizza, diversamente dal caso di specie, per la presenza di un
soggetto investito di potestas impositiva e di un provvedimento
espressione di tale potere (Sentenza Cass. n. 15031/2009). D’altra
parte, come peraltro affermato dalla Sezioni Unite della Corte di
cassazione nella sentenza n. 2064 del 2011, «le controversie relative
all’indebito pagamento dei tributi seguono la regola della
devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario
soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti dal d.lgs.
n. 546 del 1992, art. 19 e, di conseguenza, il convenuto in senso
formale sia uno dei soggetti indicati nell’art. 10, d.lgs. n. 546 del
d.lgs. n. 546 del 1992”.
[2] Ad avviso di questa Corte, la questione risulta rilevante ai
fini del decidere ex art. 23 secondo comma della legge n. 87 del
1953, stante l’impossibilita’ di delibare la domanda attorea
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita’
costituzionale» dell’art. 1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013
n. 147.
Infatti, poiche’ le parti ricorrenti chiedono il riconoscimento
del diritto al trattamento previdenziale maturato nella sua
integralita’ e dunque al netto delle decurtazioni previste dalla
disposizione di legge teste’ menzionata, questa Corte si trova
nell’oggettiva impossibilita’ di definire il giudizio prescindendo
dagli esiti dell’esame della questione di costituzionalita’ dell’art.
1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, norma pacificamente
applicabile ed invero autoritativamente applicata al trattamento
pensionistico dei ricorrenti, tenuto altresi’ presente che la
disposizione, stante l’univoco e cogente tenore letterale che la
connota, non si presta a diversa ricostruzione interpretativa (c.d.
costituzionalmente orientata) che possa altrimenti consentire una
compiuta delibazione del petitum.
[3] Quanto alla valutazione di non manifesta infondatezza della
questione di costituzionalita’ ex art. 23 secondo comma della legge
n. 87 del 1953, occorre premettere che l’art. 1, comma 486 della
legge 27 dicembre 2013 n. 147 testualmente prevede che: “A decorrere
dal 1° gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei
trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di
previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici
volte il trattamento minimo INPS, e’ dovuto un contributo di
solidarieta’ a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari
al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo
fino all’importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo
INPS, nonche’ pari al 12 per cento per la parte eccedente l’importo
lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per
cento per la parte eccedente l’importo lordo annuo di trenta volte il
trattamento minimo INPS. Ai fini dell’applicazione della predetta
trattenuta e’ preso a riferimento il trattamento pensionistico
complessivo lordo per l’anno considerato ……. Le somme trattenute
vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali
obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli
interventi di cui al comma 191 del presente articolo”.
Detta ultima disposizione fa riferimento ad interventi a favore
dei lavoratori c.d, esodati, individuati dall’art. 1, comma 231,
lett. b, della legge n. 228 del 2012.
Orbene, ad avviso di questa Corte, si rivelano non manifestamente
infondate le censure di incostituzionalita’ sollecitate e
articolatamente argomentate dalle parti ricorrenti, con riguardo agli
articoli 2, 3, 36 (considerata la natura di “retribuzione differita”
del trattamento pensionistico) e 53 della Carta Costituzionale, tanto
piu’ avuto riguardo alla recente giurisprudenza del Giudice delle
leggi (sentenze nn. 116/2013, 241/2012 e 223/2012), per le ragioni di
seguito esposte.
[4] Deve premettersi che questa Corte non ignora che la
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 446/2002) ha
chiarito che “In materia previdenziale [..] de[bba] tenersi anche
conto del principio, […], secondo cui il legislatore puo’ – al fine
[…] di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa
previdenziale – ridurre trattamenti pensionistici gia’ in atto.
(sentenze n. 417 e n. 361 del 1996, n. 240 del 1994, n. 822 del
1988)”, con la conseguenza che” […] il diritto ad una pensione
legittimamente attribuita (in concreto e non potenzialmente) – se non
puo’ essere eliminato del tutto da una regolamentazione retroattiva
che renda indebita l’erogazione della prestazione (sentenze n. 211
del 1997 e n. 419 del 1999) – ben puo’ subire gli effetti di
discipline piu’ restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi
sopravvenute”, ma a condizione che detti interventi non trasmodino in
“regolamenti irrazionali” che frustrino “l’affidamento del cittadino
nella sicurezza giuridica”, peggiorando “senza un’inderogabile
esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento
pensionistico in precedenza spettante”(c. Cost. sent. n. 822/1988).
Tuttavia, si osserva in proposito innanzitutto, con riserva di
successivi approfondimenti, come la norma in esame presenti, ad
avviso di questo giudice e anche a prescindere dalla sua
ricostruzione in termini di prelievo tributario, rilevanti
problematiche di ragionevolezza, avuto riguardo in particolare alla
constatazione che il contributo de quo, che pure incide
autoritativamente sul reddito da pensione gia’ maturato ex lege, per
un verso non viene finalizzato all’effettuazione di prestazioni
previdenziali/assistenziali puntualmente individuate e nei contempo
viene acquisito indistintamente da ciascuna delle diverse gestioni
previdenziali obbligatorie indipendentemente da ogni riferimento alle
dinamiche dei rispettivi equilibri finanziari, e dunque anche da
quelle che risultano in una situazione di equilibrio o addirittura di
avanzo (in tema, si confronti la disposizione, sui si veda posti di
cui all’art. 1, comma 488 della medesima legge di stabilita’). Si
rileva altresi’ che nella norma in esame, come piu’ approfonditamente
si sosterra’ nel prosieguo, manca qualsivoglia logica di correlazione
tra an e quantum del contributo (compreso il suo orizzonte temporale
triennale) e dinamiche finanziarie/prestazionali complessive del
sistema previdenziale.
In questo quadro, non appaiono manifestamente infondati, ad
avviso di questo giudice, i dubbi di costituzionalita’ avanzati dalle
parti ricorrenti con riguardo alla irragionevole lesione dei diritti
soggettivi pensionistici maturati ex lege e del legittimo affidamento
sulla stabilita’ del trattamento previdenziale, con riguardo dunque
ai principi costituzionali di cui agli articoli 2, 36 (stante la
natura di retribuzione differita del trattamento previdenziale), e 3
della Carta fondamentale, quest’ultimo assunto dalla giurisprudenza
costituzionale (da ultimo, sentenza, n. 160/2013) a presidio del
legittimo affidamento verso situazioni giuridiche consolidate.
[4.1.] Peraltro, alla luce della ormai consolidata giurisprudenza
del Giudice delle leggi, questa Corte dubita che il contributo di
solidarieta’ previsto dalla norma de qua, per come conformato dal
legislatore, rivesta esclusivamente natura di prestazione
patrimoniale imposta ex art. 23 Cost. e non anche, al di la’ del
nomen furis utilizzato, di prelievo di natura tributaria ex art. 53
della Carta.
In tema, pare appena il caso di osservare come, secondo la ormai
consolidata giurisprudenza costituzionale (ex aliis, sentenza n. 223
del 2012), “indipendentemente dal nomen iuris attribuitole dal
legislatore, al fine di valutare se una decurtazione patrimoniale
definitiva integri un tributo, occorre interpretare la disciplina
sostanziale che la prevede alla luce dei criteri indicati dalla
giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti la nozione
unitaria di tributo: cioe’ la doverosita’ della prestazione, in
mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti, nonche’ il
collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in relazione
ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis, sentenze n.
141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del
2005). Un tributo consiste, quindi, in un «prelievo coattivo che e’
finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e’ posto a carico di
un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita’
contributiva» (sentenza n. 102 del 2008); indice che deve esprimere
l’idoneita’ di tale soggetto all’obbligazione tributaria (sentenze n.
91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965, n. 45
del 1964)”.
Orbene, in disparte la diversa quaestio della natura giuridica
dei c.d. contributi previdenziali (in ordine ai quali, pur nella
diversificazione delle impostazioni ricostruttive, prevale in
dottrina e giurisprudenza – di recente, Cass., sez. III pen., sent.
n. 20845/2011 -, la qualificazione in termini tributari), la norma in
esame espressamente prevede una prestazione patrimoniale autoritativa
(cfr. artt. 23 e 53 Cost.) “isolata” (ovvero avulsa da qualsivoglia
rapporto sinallagmatico), gravante (esclusivamente) su redditi
derivanti da trattamento previdenziale obbligatorio, per come
maturati secundum legem a seguito di contribuzione obbligatoria in
costanza di rapporto di lavoro.
Detta prestazione patrimoniale imposta, pur congegnata come
temporanea (tre anni a decorrere dall’1 gennaio 2014), presenta per
giunta inequivocabilmente (contrariamente a quanto sostenuto
dall’Inps e dall’Avvocatura dello Stato nelle memorie prodotte) il
carattere della definitivita’, ovvero della irretrattabile ablazione
a vantaggio del patrimonio delle gestioni previdenziali obbligatorie.
[4.2] In questo orizzonte ricostruttivo, non appaiono ex adverso
persuasive le argomentazioni rese in giudizio dall’Istituto
previdenziale e dall’Avvocatura dello Stato fondate sulla diversita’
del beneficiario dei contributi (le gestioni previdenziali e non lo
Stato), per un insieme di ragioni, di seguito specificate.
a) Secondo la dottrina tributarista, tanto piu’ alla luce della
recente riforma del titolo V della Costituzione (lo Stato e’ divenuto
una, seppur fondamentale, componente della Repubblica, nell’ambito
della quale si e’ registrata una implementazione poliarchica della
potesta’ impositiva, pur rimanendo ferma la riserva relativa di legge
prevista dall’art. 23 della Carta), in presenza di un prelievo
coattivo avulso da un rapporto sinallagmatico, la qualificazione in
termini tributari non puo’ ritenersi inficiata dalla circostanza che
le somme vengano acquisite non dallo Stato ma da un diverso soggetto
giuridico del settore pubblico (sulla natura pubblicistica degli enti
previdenziali privatizzati e comunque dell’attivita’ istituzionale di
obbligatoria previdenza e assistenza, si vedano Cds., sentenze n.
6014/2012 e n. 182/2006; C. Conti, Sez. contr. enti, n. 59/1996;
Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze n. 13398/2007 e
n. 19497/2008:, Corte costituzionale, sentenza 248/1997).
b) In questo senso, peraltro, si e’ puntualmente pronunziata la
stessa Corte costituzionale in alcune sentenze, pur non
particolarmente recenti. In dettaglio, la Consulta, nella sentenza n.
11 del 1995, ha sostenuto che “gli elementi basilari per la
qualificazione di una legge come tributaria sono costituiti dalla
ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente
pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il
fabbisogno finanziario dell’ente medesimo”. Analogamente, nella
sentenza n. 37 del 1997 la Corte costituzionale ha affermato che
“nella fattispecie, invero, risultano sussistenti entrambi gli
elementi indicati da altra giurisprudenza di questa Corte costituiti
dalla ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente
pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il
fabbisogno finanziario”.
c) Ma soprattutto, la Carta fondamentale testualmente individua
il soggetto giuridico deputato ad assicurare le necessarie
prestazioni previdenziali e assistenziali, tanto piu’ per la gestione
previdenziale obbligatoria, esclusivamente nello Stato, che, a tal
fine, “predispone” o “integra” “organi o istituti” (art. 38, comma 4,
Cost.), quali il convenuto Inps, peraltro ente strumentale dello
Stato. D’altra parte, l’Istituto nazionale della previdenza sociale,
fin dalla sua istituzione, ha usufruito di trasferimenti statali
(art. 59 del R.D.L. 4-10-1935 n. 1827), ed e’ tuttora stabilmente
finanziato anche da fondi statali, evidentemente principalmente con
riguardo alle gestioni previdenziali obbligatorie. In proposito,
possono essere sinteticamente richiamati i tre sistemi di
finanziamento statale delle gestioni previdenziali Inps previsti
ormai a regime in quanto sistematicamente richiamati dalle leggi di
stabilita’ (da ultimo, art. 1, comma 2, della legge n. 147/2013 e
art. 2 della legge di stabilita’ per il 2015 n. 190/2014) di cui agli
articoli 37, comma 3, lettera c), della legge 9 marzo 1989, n. 88, e
successive modificazioni, 59, comma 34, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449, e successive modificazioni, e 2, comma 4, della legge 12
novembre 2011, n. 183, norma quest’ultima che prevede che “AI fine di
garantire il pagamento dei trattamenti pensionistici e’ stabilito un
apporto dello Stato a favore della gestione di cui al comma 1. Tale
apporto e’ erogato su base trimestrale, subordinatamente alla
verifica delle effettive necessita’ finanziarie della dtata gestione,
riferite al singolo esercizio finanziario”.
Da ultimo, si osserva incidentalmente che detto obbligo statale
di contribuzione alla gestione previdenziale, lungi dal risolversi in
un’affermazione legislativa puramente teorica, ha assunto in rebus
carattere di effettivita’ finanziaria e di sostanziale permanenza,
anche in ragione dell’andamento della gestione finanziaria dell’Inps
(per rimanere all’ultimo consuntivo approvato – ma non si tratta di
trend gestionale di breve periodo -, l’Istituto nel 2013 ha fatto
registrare un disavanzo di competenza di 8.724 milioni di euro, con
una perdita di esercizio di 12.217 milioni di euro).
[4.3] Parimenti, non appaiono ex adverso persuasive le
argomentazioni rese dall’Istituto previdenziale e dall’Avvocatura
dello Stato a sostegno della peculiarita’ della norma di legge
esaminata, fondate essenzialmente sulla destinazione finalistica dei
contributi, in quanto “acquisiti dalle competenti gestioni
previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al
finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente
articolo”; diversamente dalle fattispecie astratte esaminate dalla
menzionata recente giurisprudenza costituzionale, secondo le parti
resistenti si tratterebbe, piu’ puntualmente, di un’ablazione
funzionale a garantire risorse finanziarie non tanto a beneficio
della fiscalita’ generale, ma funzionali ad interventi specificamente
individuati dal legislatore e ispirati ad un principio di
solidarieta’, per cosi’ dire, endo-previdenziale.
In proposito, questa Corte non ignora come si rinvengano nella
giurisprudenza della Consulta alcuni precedenti in materia, seppure
non univoci, nei quali il valore costituzionale della solidarieta’
endo-previdenziale (artt. 2 e 38 della Carta) ha ricevuto specifica
valorizzazione.
In dettaglio e con riferimento a prestazioni patrimoniali imposte
sui redditi da pensione, se nella sentenza n. 119 del 1981 la
Consulta ritenne violato il principio di eguaglianza in relazione
alla capacita’ contributiva perche’ i pensionati (cui, a partire dal
1968, era richiesto un contributo progressivo a favore del Fondo
sociale) erano invero colpiti “in misura ingiustificatamente e
notevolmente maggiore” rispetto ai percettori di altri redditi e ai
lavoratori subordinati, nell’ordinanza di inammissibilita’ n. 22 del
2003 (in termini, ord. n. 160/2007) la Corte costituzionale ha
dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488,
disattendendo la censura di irragionevolezza fondata sull’asserita
natura tributaria del contributo, “laddove la contestata scelta
discrezionale del legislatore e’ stata operata in attuazione dei
principi solidaristici sanciti dall’art. 2 della Costituzione,
attraverso l’imposizione di un’ulteriore prestazione patrimoniale
gravante solo su alcuni trattamenti previdenziali obbligatori che
superino un certo importo stabilito dalla legge, al fine di
concorrere al finanziamento dello stesso sistema previdenziale”.
Tuttavia, appare significativo rilevare, in proposito, come il
combinato disposto degli articoli 37 della legge n. 488/1999 (norma
scrutinata dall’ordinanza di inammissibilita’ n. 22 del 2003) e 69,
comma 9, della legge n. 388/2000 prevedesse la confluenza di detti
contributi in uno specifico fondo obbligatoriamente finalizzato alla
copertura previdenziale di specifici ambiti prestazionali, ovvero dei
lavori discontinui, dei lavoratori autonomi e co.co.co, nonche’ per
il finanziamento di periodi di tempo non coperti da contribuzione.
Orbene, premesso il riferimento alla non univoca giurisprudenza
costituzionale in materia, deve, ad avviso di questo giudice, esser
sottoposta a puntuale verifica controfattuale la stessa asserita
finalita’ solidaristica esclusivamente endo-previdenziale, ex artt. 2
e 38 Cost., del contributo in esame.
In merito, questa Corte, alla luce dei dati normativi e
finanziari di sistema, dubita che il contributo de quo, non a caso
inserito nella legge di stabilita’ per il 2014, sia effettivamente
finalizzato non tanto a contribuire a ridurre il debito pubblico o
comunque a contrastare la situazione finanziaria complessiva dei
Paese, ma a perequare in funzione solidaristica il sistema
previdenziale, per un insieme di ragioni di seguito specificate.
a) Innanzitutto, giova evidenziare come la norma non costituisca
espressione di una ridefinizione, rigorosamente supportata da analisi
di matrice statistico/assicurativa, del sistema di previdenza sociale
(cfr. legge 8 agosto 1995, n. 335), ovvero anche solo di alcune sue
componenti, ispirata a finalita’ solidaristiche (ad esempio,
intergenerazionali o di altra natura tra settori diversi del
welfare), limitandosi a introdurre un obbligo temporaneo di
contribuzione in percentuale sulle pensioni piu’ elevate determinato
in maniera evidentemente atecnica sul terreno statistico/attuariale
endoprevidenziale; in buona sostanza, non si comprende, innanzitutto
sul terreno tecnico-finanziario e degli equilibri complessivi del
sistema previdenziale e delle gestioni obbligatorie, perche’ – cioe’
con quali prospettive di equilibrio/redistribuzione
previdenziale/assistenziale – prelievo sia stato introdotto e
limitatamente ad un triennio, per quali ragioni debba operare a
partire da un reddito di circa euro 90.000,00 annui e perche’ sia
stato determinato nelle percentuali previste per i diversi scaglioni.
Anzi, nella norma in questione manca del tutto ogni correlazione
con prospettive e dinamiche degli equilibri finanziari del sistema
previdenziale (del resto, come si vedra’, connessi a quelli generali)
e finanche delle gestioni previdenziali obbligatorie, diversamente da
altra disposizione relativa sempre al settore previdenziale contenuta
(arti, comma 488 e normativa ivi richiamata) nella medesima legge di
stabilita’ (cfr. Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza n.
53/2015 sulla inconciliabilita’ tra natura temporanea dei contributi
e funzionalizzazione agli equilibri finanziari di lungo periodo).
Diversamente da quest’ultima disposizione (a prescindere dalle
problematiche interpretative sul suo ambito applicativo), infatti, la
norma in esame disegna una prestazione patrimoniale imposta che
opera, in via generale e astratta, per tutte le gestioni
previdenziali obbligatorie a prescindere dalle diverse concrete
dinamiche dei rispettivi equilibri finanziari (anche per quelle in
equilibrio o addirittura in avanzo) e avendo per converso a parametro
di commisurazione esclusivamente il livello del reddito dei
pensionati.
b) Come emerge in maniera evidente dall’esame dei lavori
preparatori parlamentari, che pure sottolineano – come eccepito
dall’Inps – come il Governo abbia evidenziato la confluenza dei
contributi nelle gestioni previdenziali obbligatorie al fine di
argomentare l’infondatezza delle sollevate (gia’ in sede di lavori
parlamentari) problematiche di costituzionalita’ sulla norma, la
logica ispiratrice dell’intervento normativo ictu ocull risiede
essenzialmente in valutazioni di finanza pubblica generale.
In particolare, il prospetto riepilogativo riferito al testo
licenziato dal Senato testualmente pone in primario rilievo, non gia’
gli effetti sulle dinamiche finanziarie/prestazionali delle diverse
gestioni obbligatorie o anche del complessivo sistema
previdenziale/assistenziale, ma essenzialmente le inferenze
dell’ablazione patrimoniale sui saldi di finanza pubblica (saldo
netto da finanziare, fabbisogno e indebitamento netto), secondo la
seguente tabella (testualmente riportata):

Parte di provvedimento in formato grafico
E ancora, la relazione tecnica al testo licenziato dal Senato,
oltre a descrivere le norme, espone sostanzialmente parametri
finanziari generali, concludendo che dalle disposizioni in esame
(considerati il numero dei soggetti coinvolti, il loro reddito e le
relative aliquote fiscali) derivano le seguenti economie:

(milioni di euro)

===============================================================
| | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 |
+===============+=========+===========+===========+===========+
|Al lordo | | | | |
|effetti fiscali| 93 | 93 | 93 | 0 |
+—————+———+———–+———–+———–+
|Al netto | | | | |
|effetti fiscali| 52 | 52 | 52 | 0 |
+—————+———+———–+———–+———–+

E appare altresi’ significativo evidenziare come il medesimo
approccio espositivo/ricostruttivo, del resto del tutto coerente con
la natura del testo normativo (legge c.d. di stabilita’), viene
parimenti seguito nei lavori parlamentari sia (come e’ scontato che
sia) con riferimento al contributo di solidarieta’ su redditi
complessivi superiori a 300.000 euro (comma 590) (1) che con
riferimento all’obbligo di restituzione (comma 287) dei contributi di
solidarieta’ sulle pensioni (2) gia’ prelevati e dichiarati
incostituzionali dalla Consulta con la sentenza n. 116/2013.

c) Analogamente, la norma in esame (diversamente dall’art. 37
della legge n. 488/1999, scrutinato dalla gia’ richiamata ordinanza
della Consulta n. 22/2003), non prevede alcun puntuale vincolo
finalistico nell’impiego delle somme, come peraltro emerso anche nel
corso dei lavori preparatori (servizio studi della Camera). Lo stesso
generico riferimento al lavoratori c.d. esodati, oltre a non esser
vincolante quanto alla destinazione dei contributi (come testualmente
evidenziato, in maniera inequivocabile, dall’impiego della
congiunzione “anche”), non viene adeguatamente sostanziato dalla
individuazione di specifiche prestazioni previdenziali (cosa si
assicura ed a quante persone) da garantire a detta platea di
soggetti.

Parte di provvedimento in formato grafico
Piu’ in generale, occorre in buona sostanza evidenziare che alla
previsione delle prestazioni patrimoniali imposte il legislatore non
associa inderogabilmente, con finalita’ solidaristiche interne al
sistema previdenziale, alcuna individuazione di “ulteriori o diverse”
prestazioni da garantire mediante l’impiego di dette risorse,
limitandosi ad un intervento finanziario di pura “cassa” nel quadro
delle complessive dinamiche della finanza pubblica, conseguentemente
del tutto “fungibile” rispetto all'”ordinario” sistema di
finanziamento statale delle gestioni previdenziali (prelievo
tributario e trasferimenti agli enti previdenziali).
A tal proposito, non appare ultroneo evidenziare come
l’immediatamente successivo comma 487 dell’art. 1 della legge di
stabilita’ per il 2014, espressamente preveda che “i risparmi
derivanti dalle misure di contenimento della spesa adottate, sulla
base dei principi di cui al comma 486, dagli organi costituzionali,
dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano,
nell’esercizio della propria autonomia sono versati all’entrata del
bilancio dello Stato per essere destinati al Fondo di cui al comma
48” (di garanzia per le piccole e medie imprese, etc..).
[4.4] L’insieme delle considerazioni ricostruttive svolte
contribuisce, in sostanza, a disegnare il quadro di uno strumento
normativa, quello dell’obbligo di contribuzione ex art. 1, comma 486,
della legge n. 147/2013, giuridicamente e assiologicamente (artt. 2 e
38 Cost) “distante” da autentiche finalita’ solidaristiche
endo-previdenziali, avuto riguardo alla sua neutralita’
giuridico-economica rispetto alla consistenza quali-quantitativa
delle prestazioni previdenziali concretamente assicurate, all’assenza
di correlazione (nell’an e nel quantum del prelievo) con le concrete
dinamiche finanziarie delle varie gestioni previdenziali obbligatorie
nonche’ alla sua parametrazione con esclusivo riguardo al reddito
(capacita’ contributiva) dei pensionati e avendo a riferimento le
dinamiche complessive della finanza pubblica; dinamiche rispetto alle
quali emerge la sostanziale sovrapponibilitta’/fungibilita’ del
contributo, nell’ottica del policy maker finanziario e quoad effectum
in aerarium (comprese le finanze degli enti previdenziali), rispetto
al prelievo tributario e al sistema di trasferimento di fondi statali
alle gestioni previdenziali.
[4.5] Ricostruita in questi termini la natura della prestazione
patrimoniale imposta de qua, questo giudice ritiene sostanzialmente
nella specie trasponibili, a sostegno della non manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita’ per violazione
degli articoli 3 (eguaglianza/ragionevolezza) e 53 (correlazione alla
capacita’ contributiva e progressivita’) della Carta fondamentale, le
argomentazioni addotte dalla recente giurisprudenza costituzionale,
con particolare riguardo per la sentenza n. 116 del 2013.
Cio’ anche a prescindere dalla diversa qualificazione della
fattispecie in termini di vera e propria violazione del giudicato
costituzionale, pur avanzata da parte della dottrina e sollecitata
anche dalle parti ricorrenti sulla scorta di rigorosa giurisprudenza
costituzionale (C. cost., sentenze n. 73/1963 e n. 88/1966, che parla
di violazione del’art. 136 nell’ipotesi che una legge “persegue e
raggiunge, anche se indirettamente, lo stesso risultato” di una norma
gia’ dichiarata incostituzionale), ma difficile da condividere (come
rilevato da altra opinio dottrinaria) in ragione, oltre che delle
invero residuali (nel senso teste’ precisato) peculiarita’ della
disposizione sub iudice, del suo differente orizzonte temporale di
efficacia.
Ad ogni modo, ai fini del riscontro di costituzionalita’ della
norma de qua, si osserva che la prestazione patrimoniale imposta ictu
oculi incide esclusivamente su una determinata categoria di
cittadini, ovvero i titolari di trattamenti pensionistici erogati da
enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, mentre la rimanente
generalita’ dei consociati di eguale capacita’ contributiva (tertium
comparationis, come tale individuato dalla stessa Consulta nella
sentenza n. 116/2013 nel prelievo del 3 per cento sui redditi annui
superiori a 300.000 euro ex l’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011,
reiterato dall’art. 1 comma 590 della medesima legge n. 147/2013) non
risulta astretta da analogo prelievo tributario.
Infatti, detta evidente disparita’ di trattamento appare viepiu’
confermata (ulteriore testimonianza dell’evidente “affinita’
contributiva” degli istituti) dai legislatore, nella medesima legge
di stabilita’ (art. 1, comma 590), anche in materia di proroga del
contributo di solidarieta’ del 3 per cento relativo a redditi di
importo notevolmente elevato (superiore a 300.000,00 euro), per i
quali per un verso si prevede che “ai fini della verifica del
superamento del limite rilevano anche i trattamenti pensionistici di
cui al comma 486”, e nel contempo si dispone che “su tali trattamenti
il contributo di solidarieta’ di cui al primo periodo non e’ dovuto”,
in quanto sottoposti al piu’ elevato contributo di solidarieta’
specifico per i redditi da pensione. Con l’irragionevole esito di
sottoporre ad un trattamento radicalmente deteriore i redditi da
pensione rispetto a quelli da diversa fonte ovvero anche misti, anche
nell’ambito di un range reddituale particolarmente elevato.
Eppure, come sottolineato dal giudice delle leggi (da ultimo,
sentenza n. 116 del 2013) “i redditi derivanti dai trattamenti
pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa
e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai
fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente
trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro”.
Questa Corte non ignora come, secondo consolidata giurisprudenza
costituzionale, «la Costituzione non impone affatto una tassazione
fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali
per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un
indefettibile raccordo con la capacita’ contributiva, in un quadro di
sistema informato a criteri di progressivita’, come svolgimento
ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di
eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta’ ed eguaglianza dei
cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta’ politica,
economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n.
341 del 2000, richiamata dalla sentenza n. 116 del 2013).
Lo scrutinio di costituzionalita’ si risolve dunque in un
“giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso
abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al
fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta
con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta’
dell’entita’ dell’imposizione (sentenza n. 111 del 1997)”.
Proprio in applicazione dei menzionati principi, emerge nella
specie, cosi come gia’ in passato ravvisato dalla Consulta, “un
giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta’ del diverso trattamento
riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato
di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu’ favorevole
per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di
eguaglianza dei cittadini e di solidarieta’ economica, anche
modulando diversamente un universale intervento impositivo». Se da un
lato l’eccezionalita’ della situazione economica che lo Stato deve
affrontare e’ suscettibile di consentire il ricorso a strumenti
eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento
degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione
di cui tutti cittadini necessitano, dall’altro cio’ non puo’ e non
deve determinare ancora una volta un’obliterazione dei fondamentali
canoni di uguaglianza, sui quali si fonda l’ordinamento
costituzionale” (cosi’ ancora la sentenza della Corte costituzionale
n. 116 del 2013).
Tanto piu’ che, ha argomentato la Consulta nel precedente
ripetutamente richiamato, la giurisprudenza costituzionale “ha
ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di
retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004,
ordinanza n. 166 del 2006); sicche’ il maggior prelievo tributario
rispetto ad altre categorie risulta con piu’ evidenza
discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati
nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia’ rese da
cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai
quali non risulta piu’ possibile neppure ridisegnare sul piano
sinallagmatico il rapporto di lavoro”.
Per quanto suesposto, riservata ogni altra decisione all’esito
del giudizio innanzi alla Consulta, deve essere conseguentemente
disposta la remissione degli atti alla Corte costituzionale e la
sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 134 della Costituzione,
dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e
dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale regionale per il
Veneto, Giudice Unico delle Pensioni,
a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la sollevata
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 486 della
l. 27 dicembre 2013 n. 147, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36 e
53 della Costituzione, secondo quanto specificato in motivazione;
b) dispone, a cura della Cancelleria, l’immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale, nonche’ la notifica della
presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio
dei ministri nonche’ la comunicazione della stessa ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento;
c) sospende il giudizio in corso.
Cosi’ deciso in Venezia, nella camera di consiglio all’esito
della pubblica udienza del 16 gennaio 2015.

Il Giudice unico delle pensioni: Natale Longo

Reg. ord. n. 91 del 2015
Ordinanza del Corte dei conti – Sez. giurisdizionale per la Regione Campania del 23/03/2015
Notifica del 24/03/2015
Tra: Staro Salvatore C/ Presidente del Consiglio dei ministri e INPS

Oggetto:
Bilancio e contabilità pubblica – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) – Interventi in materia previdenziale – Trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria complessivamente superiore a quattordici volte il trattamento minimo INPS – Assoggettamento ad un contributo di solidarietà a decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un periodo di tre anni
Norme impugnate
Num. Art. Co. Nesso
legge 27/12/2013 147 1 486 (collegamento a Normattiva)

Parametri costituzionali
Num. Art. Co. Nesso
Costituzione 2 (collegamento a Normattiva)
Costituzione 3 (collegamento a Normattiva)
Costituzione 53 (collegamento a Normattiva)