Senatori: Pd 143, Pdl 109, Monti 33, Grillo 15..Purgatorio per partiti e governi

di Riccardo Galli
Pubblicato il 17 Gennaio 2013 - 15:45 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il centrosinistra, meglio dire l’alleanza dei Progressisti, arriverà primo nella corsa elettorale, prenderà il premio di maggioranza alla Camera ma non avrà la maggioranza al Senato. Siederanno a Palazzo Madama 143 senatori targati Pd, Sel e compagni; 109 del Pdl; 33 appartenenti all’area Monti; una quindicina di M5S, insomma di Grillo, e altrettanti se li divideranno le rimanenti forze politiche. A quaranta giorni dal voto è questa la fotografia che regalano i sondaggi della prossima composizione del Senato, la seconda Camera del Parlamento italiano. E, poiché i governi devono avere la fiducia delle due Camere, il Senato che si annuncia somiglia a un Purgatorio per tutti, senza nemmeno riuscire ad essere Inferno o Paradiso per nessuno.

I sondaggi si sa sono fallibili, e ancor più noto è come molte cose possano cambiare in un mese e mezzo di campagna elettorale ma, al momento, tutte o quasi le previsioni concordano nel dire che al Senato non ci sarà una maggioranza. Di conseguenza se vorranno formare un governo i Progressisti di Bersani e Vendola dovranno cercare voti proprio al Senato. Voti che solo Mario Monti potrà eventualmente dare. Facciamo i conti, l’aritmetica del Senato spiega molto della campagna elettorale.

Maggioranza al Senato vuol dire 158 senatori, possono i 109 di cui oggi è accreditato Berlusconi diventare 50 di più? Per quanto si possa credere nella rimonta, per quanto la si voglia immaginare impetuosa, la risposta è no: a 159 Berlusconi e alleati non ci arrivano. Si può alleare Berlusconi con i suoi 109 con qualcun altro per fare appunto 158? Con i 33 di Monti Berlusconi non può certo allearsi, Monti e Berlusconi chiedono voti l’un contro l’altro e comunque a 158 neanche insieme ci arrivano. Si può Berlusconi alleare con i 15 di Grillo e la pattuglia di Ingroia? Alleanze impossibili, anzi più che impossibili. Quindi al Senato una maggioranza dove ci sia Berlusconi non c’è. Quindi la campagna elettorale di Berlusconi è uno contro tutti e più si picchia e sfascia meglio è, non c’è nessuna alleanza e nessun governo da costruire, l’obiettivo è rendere difficile, magari impossibile, il governare altrui.

E Bersani e Vendola con i loro 143 senatori con chi possono allearsi per far 158? Con i 15 di Grillo? Neanche a parlarne. Con la pattuglia di Ingroia? Non bastano e, come direbbe Di Pietro, non “ci azzeccano”. L’unica alleanza possibile è appunto quella con i 33 senatori di Monti e Casini. Quindi la campagna elettorale di Bersani e Monti, deve essere, un reciproco colpirsi ma non demolirsi. Qualcuno scrive già di un patto, per ora patto immaginario perché Bersani si taglierebbe un braccio per fare a meno del patto, per averli di suo i 158 senatori. E poi perché nessun patto può mai essere nemmeno pensato se prima non si sa se Bersani ne ha 143 o 133 e se Monti ne ha 30 o 40…Il problema del patto, se e quando verrà, è che non sarebbe una festa per entrambi, soprattutto per Bersani. Ne verrebbe fuori un governo faticoso e ondivago, un ponte che pericolosamente oscilla poggiato come sarebbe su due piloni lontanissimi e asimmetrici: Vendola e Monti.

Altri governi possibili? E quali, quello Grillo-Ingroia che fa neanche quaranta senatori? E quando anche fosse questo governo a maggioranza Bersani, Vendola, Monti, questo instabile governo vivrebbe nell’ambiente ostile di un Senato dove a fare gli anti Europa, anti tasse, anti tutto sarebbero in 140 e più su 315. Un eterno Purgatorio appunto.

L’appuntamento elettorale è ancora relativamente lontano. Da qui a fine febbraio, quando si apriranno le urne, molte cose possono ancora cambiare: Silvio Berlusconi potrebbe interrompere o comunque ridimensionare la sua rimonta, il Pd potrebbe tornare a convincere puntando magari sul voto utile, Mario Monti e i suoi potrebbero rivelarsi meno convincenti di quello che si crede e Grillo, che sta iniziando il suo tour elettorale, potrebbe continuar a perder consensi come potrebbe al contrario riconquistarne. Molte cose potrebbero accadere, alcune probabili altre al limite dell’impossibile, ma sono tutte circostanze almeno per ora collocate nel regno delle possibilità.

I numeri, concreti come possono essere quelli frutto dei sondaggi pre elettorali, sono ad oggi l’unico termometro, l’unico dato reale su cui si può ragionare. E questi numeri dicono che per governare Pierluigi Bersani avrà bisogno di Monti. Ma dicono anche che Nichi Vendola avrà bisogno di Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini. E proprio qui si annidano le difficoltà e le criticità. Bersani e Monti, con relativi elettorati,  sono già abbastanza distanti. “I colonnelli”, i segretari dei partiti minori dei due schieramenti lo sono ancor di più, fino a poter scommettere che si  metteranno di traverso ad eventuale accordo di governo chiedendo ciascuno ciò che l’altro non può dare. Vendola e Sel hanno promesso: mai con Monti, “noi e lui siamo alternativi”. Posizione analoga espressa dal duo Fini – Casini che in coro hanno ribadito che loro mai e poi mai faranno parte di un governo che comprende anche Vendola.

“Mai”, specialmente in politica, è un concetto quantomai variabile e assolutamente non definitivo al contrario di quello che si potrebbe credere. E in sei settimane quel “mai” potrebbe trasfigurare in un “forse”, un “vedremo”, un “parliamo dei contenuti”. Anche perché se così non fosse, e dando per buoni i risultati dei sondaggi, è davvero difficile immaginare che legislatura sarà. Qualcuno avrà il coraggio di dire al paese andiamo a votare di nuovo? Chi si prenderebbe questa responsabilità quando già ora la Bce avverte che l’incettezza politica italiana allontana gli investitori e i risparmiatori? Chi se lo accollerebbe il conto di un paio di decine di miliardi come effetto collaterale di elezioni bis?

Un Senato con Fini e Vendola alleati sarebbe certo sorprendente, perfino choccante. Ma è oggi immaginabile. Senza questo strano matrimonio Bersani, per governare, si dovrebbe alleare con Grillo e tutti i partiti orfani di coalizione presenti a palazzo Madama. E se è difficile vedere il segretario di Sel a braccetto con l’attuale premier, praticamente impossibile è immaginare Beppe Grillo spalla di un governo, lui che non fa altro che ripetere che chiunque governi il Movimento 5 Stelle sarà sempre e comunque all’opposizione.

Ancora più impensabile sarebbe poi una maggioranza senza Pd. E non solo perché il partito di Bersani sarà, a meno di eventi clamorosi, il primo partito del Paese, ma soprattutto perché la maggioranza alla Camera sembra non essere in discussione. Qui chi arriva primo ha il premio di maggioranza pari al 55% dei deputati. Non come al Senato dove arrivare primi nei consensi nazionali non conta perché il premio in senatori viene attribuito Regione per Regione e quindi puoi anche avere più voti complessivi in Italia, ma se non arrivi primo in Lombardia, Sicilia, Campania…

E allora l’unica via aritmeticamente possibile sembra essere quella di un governo Bersani / Monti. Possibile aritmeticamente, politicamente molto meno possibile di quanto appaia. Governo che non dispiacerebbe a mercati ed Europa, a patto però che si fondi su basi solide e non sia invece il prodotto e l’artefice al tempo stesso di estenuanti trattative per ogni decisione. Ma un governo che vedrebbe sempre su di sé l’ombra dell’interrogativo “quanto reggerà?”. Di certo non il miglior viatico per un esecutivo che si dovrebbe preparare a guidare l’Italia verso la ripresa, ma una ripresa bisognosa di riforme e di certezze politiche.

Si è detto, si è auspicato, e forse si è anche provato a cambiare l’attuale legge elettorale, il Porcellum, padre e colpevole di questi paradossi politici per cui il vincitore delle elezioni potrebbe ritrovarsi senza maggioranza e quindi impossibilitato a formare un governo. Ripete di continuo Silvio Berlusconi che il nostro Paese ha bisogno di governabilità, di leggi che la garantiscono. Meno di 48 ore fa ha detto ai microfoni di RadioRai che “la nostra Costituzione non è affatto la più bella del mondo, lo era forse 60 anni fa, ma che ora ha bisogno di una riforma per garantire la governabilità come accade negli altri paesi europei”. Lo va ripetendo ovunque e da tempo il Cavaliere, ma la legge elettorale dal suo governo varata, e da nessuno modificata, rischia di regalare ancora una volta all’Italia un Parlamento non in grado di governare. Cioè? Cioè elezioni inutili, il massimo dramma possibile in democrazia.