Preferenze, da schifezza e veleno del voto a antidoto di sinistra e grillino

di Riccardo Galli
Pubblicato il 13 Novembre 2014 - 16:07 OLTRE 6 MESI FA
Italicum, accordo sulle preferenze

Italicum, nell’accordo anche le preferenze

ROMA – Poco meno di 25 anni. Tanto è servito alle preferenze per passare dall’essere considerate, per dirla alla Eduardo De Filippo, “la schifezza, della schifezza. della schifezza, della schifezza, della schifezza”, a diventare sinonimo di democrazia, invocate dalla sinistra semplice e anche dalla sinistra più sinistra che c’è: E amate dal popolo di Beppe Grillo. Così trasversalmente amate da essere rispuntate nell’ultima versione dell’Italicum. Le preferenze che oggi viaggiano nell’immaginario collettivo evocato dalla politica come “gli elettori che scelgono” contrapposte, anzi antidoto niente meno al “Parlamento dei nominati”.

Le preferenze, o più correttamente il voto di preferenza, è quel voto espresso da un elettore per un candidato all’interno di una lista elettorale. E’ cioè l’indicazione diretta da parte dell’elettore non solo del partito o della coalizione che vuol votare, ma anche del singolo candidato che vorrebbe fosse eletto.

Nel sistema elettorale italiano, varato nel secondo dopoguerra, il voto di preferenza era previsto. E continuò ad essere previsto sino alla prima metà degli anni ’90 quando, un referendum prima ed una riforma poi, lo eliminarono del tutto. Ma solo dalle politiche. Si continua infatti a votare in Italia con il voto di preferenza sia per le consultazione europee, sia per le elezioni comunali che regionali.

Ma perché, praticamente a furor di popolo, dopo mezzo secolo di utilizzo le cosiddette preferenze furono mandate in pensione? Perché, per dirla con le parole di Roberto D’Alimonte, oggi “il voto di preferenza rischia di distruggere definitivamente quello che resta dell’organizzazione dei partiti e di aprire le porte ad ogni sorta di influenza anche di tipo criminale soprattutto in alcune zone del Paese”. Oggi, e ieri? Ieri, 25 anni fa, proprio quell’influenza criminale e la conseguente diffusione del voto di scambio ne avevano decretato la fine. Evidentemente solo apparente.

Mario Segni – scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera -, a sentire certi discorsi, mastica amaro. Lui, che promosse il referendum e spazzò via il vecchio sistema marcio fino al midollo, ricorda bene i disastri fatti dal proporzionale con le preferenze. Un sistema che consentiva grazie alle combinazioni di controllare il voto clientelare. E non ha cambiato idea”.

Ma a differenza di Segni, non sono in pochi in questi anni, e persino negli ultimi mesi, ad aver cambiato idea sulle preferenze. Come ad esempio quella che oggi viene definita la ‘sinistra del Pd’ e che le preferenze da tempo invoca quali alto strumento di democrazia che consente all’elettore di scegliere liberamente il proprio rappresentante. Eppure ieri, alla vigilia e prima del famoso referendum, furono proprio i leader comunisti delle regioni meridionali (in alcuni casi non fisicamente le stesse persone di oggi ma certo con la stessa area elettorale di riferimento) ad invocare la soppressione delle preferenze perché con quelle i politici erano “ostaggi nelle mani della mafia e dei clan” e occorreva “impedire alla mafia di gestire direttamente il consenso nei territori in cui operano le cosche”.

Che dire poi dei grillini? Molti dei 5Stelle che oggi siedono in Parlamento probabilmente nemmeno votarono per il referendum in questione perché troppo giovani e oggi sono pronti a battersi per le preferenze. Convinti della bontà democratica di queste? Forse. Ma non si fa certo peccato a pensare che se venisse raccontato loro e al loro elettorato come operassero i famosi campioni delle preferenze, e basti citare uno dei campionissimi: Giulio Andreotti, per immaginare che quale sarebbe la loro reazione d’amore per questi.

In realtà, le preferenze, non sono come molte cose buone o cattive o in sé. Dipende questo, e molto, dall’uso che se ne fa. Consentire agli elettori di indicare quale candidato preferiscono in una rosa di nomi è certamente più democratico che sottoporgli un elenco prendere o lasciare. Ma per far sì che questa sia veramente una pratica democratica, bisognerebbe immaginare di avere di fronte a sé solo elettori pienamente liberi ed assolutamente informati. Elettori cioè che conoscono i loro candidati perché ne hanno esaminato storia e curriculum ed elettori che non conoscono invece pressioni, dalle più soft definite ‘promesse elettorali’, alle più hard conosciute come minacce.

In Italia, in mezzo secolo di preferenze, si è visto che questo ideal-tipo di elettore non corrisponde neanche un po’ all’elettore medio. E della valenza democratica della scelta per via di preferenza si è pressoché persa traccia. Basta gettare uno sguardo là dove la preferenza c’è, nelle elezioni amministrative. I vari Batman-Fiorito risultano sempre i più votati, i più premiati dal sistema delle preferenze e non può essere un caso. Basta guardare a chi le usa le preferenze,  quasi tre elettori su quattro in Calabria, uno si dieci in Lombardia. Anche questo un caso fortuito?

Il sospetto e un po’ di più è che le preferenze vengano usate, come lo stesso premier Matteo Renzi disse a Gianni Cuperlo che lo attaccava su questo tema, “in maniera strumentale” per attaccare lui e la nuova legge elettorale. Evidentemente però, anche Renzi, non ha voluto fare delle preferenza una questione primaria, anzi si è lasciato sfuggire che a lui potevano anche piacere. E l’ultima bozza dell’Italicum ne è la dimostrazione. Il sospetto è un po’ di più è che le preferenze servano alla minoranza del Pd per costruire il partito nel partito e domani magari riprenderselo il Pd. Servano ad M5S per dare maggior corpo e sostanza alla “scelta del web” che altro non è che quella di poche decine di migliaia di iscritti al MoVimento. Servano le preferenze a tanti obiettivi, anche alla raccolta voti tipo Ncd oggi, Udc ieri, “cura del territorio” da parte del candidato sempre. Obiettivi legittimi e un po’ meno, utili e anche no, condivisibili o da contrastare. Tutto, ma la democrazia, quella no, non c’entra. E’ chiamata in causa a sproposito.

Chiamata in causa a sproposito dai molti che sanno come la memoria, anche e soprattutto di popolo, sia labile e confusionaria. Le preferenze, ieri appunto la “schifezza” del voto di scambio, del consenso clientelare, ieri l’inquinante e l’inquinamento, il veleno delle elezioni. Oggi l’antidoto ai “nominati”. Sic transit gloria et ira populi.