Vendola timoniere, Bersani capitano: rotta 1994, in porto come 2006

di Riccardo Galli
Pubblicato il 15 Ottobre 2012 - 15:16 OLTRE 6 MESI FA
Achille Occhetto, ex segretario del Pds

ROMA – La storia è vero, è fatta di corsi e ricorsi. E poi nulla si crea, nulla si distrugge e, soprattutto, nulla s’inventa. Specialmente in politica. Così l’alleanza da poco siglata tra Pd, Sel e socialisti ricorda molto da vicino la “gioiosa macchina da guerra” varata da Achille Occhetto diciotto anni fa. Allora, insieme al segretario del Pds, una pletora di partiti e partitini con, su tutti, Rifondazione Comunista. Era il 1994 e la gioiosa macchina, che sembrava destinata a portare la sinistra al governo, si schiantò clamorosamente perdendo le elezioni in malo modo. Un primo “bis” andò in onda dodici anni dopo, nel 2006. La sinistra, questa volta, le elezioni le vinse, ma lo schianto arrivò lo stesso, troppe differenze interne e idee politiche troppo dissimili. E l’allora governo Prodi cadde sconfitto da se stesso e non dal nascente berlusconismo. Oggi, nel 2012, la gioiosa macchina sembra essere di nuovo in moto. Ma se riuscirà ad arrivare al suo doppio traguardo (vincere e governare che non è la stessa cosa) al suo terzo tentativo nessuno può dirlo.

I parallelismi e le similitudini con il 1994 sono molti: dal governo tecnico all’alleanza con la sinistra “estrema” sino al mancato accordo con i centristi. Diciotto anni fa a Palazzo Chigi sedeva Carlo Azeglio Ciampi, tecnico chiamato a salvare il Paese sostenuto tra gli altri dal Pds di Achille Occhetto. Oggi l’inquilino di palazzo Chigi è ancora una volta un tecnico, Mario Monti, anche lui chiamato a salvare l’Italia e anche lui sostenuto da quelli che del Pds sono gli eredi: il Pd. Nonostante il sostegno parlamentare però, con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, Occhetto come Bersani il tecnico lo hanno scaricato. Non nel senso che gli hanno negato i loro voti in aula, ma nel senso che ne hanno preso le distanze politicamente rispetto al progetto che andavano e che vanno formando per il nuovo esecutivo. Talmente scaricato che nella carta di intenti del Pd più Vendola di Monti non c’è neanche il nome, anzi c’era ed è stato cancellato.

Oggi come allora il “capitano” della macchina è il segretario del partito più grande e forte del centrosinistra: oggi Bersani e ieri Occhetto. Ma oggi come allora il “timoniere” dell’alleanza è in realtà è il segretario di un partito più piccolo e più di sinistra che nel ’94 si chiamava Rifondazione e oggi si chiama Sel. Diciotto anni fa le firme, per Rifondazione, furono quelle di Fausto Bertinotti e Armando Cossutta. Oggi quella di Nichi Vendola. Bersani come Vendola, a dire il vero, c’erano anche nel ’94. Non seduti al tavolo “principale”, ma già parte della dirigenza dei rispettivi partiti che, nonostante i cambi di nome, rappresentano più o meno sempre lo stesso elettorato di riferimento.

Diciotto anni fa i progressisti (anche oggi l’alleanza si è data questo nome) le elezioni le persero. Le persero perché troppo sicuri di vincere e perché, apparentemente, era impossibile perderle. Ma le persero anche perché non cercarono, non vollero e non strinsero alcun patto elettorale e né tanto meno programmatico con il centro. Centro che allora era rappresentato dal Ppi di Mino Martinazzoli e dal Patto di Mario Segni e che oggi è incarnato da Pierferdinando Casini e dall’Udc. Nel ’94 Martinazzoli rifiutò l’accordo con Rifondazione né più né meno come oggi Casini ha rifiutato quello con Sel.

Ci volle del tempo per riprendersi dalla botta ma, dodici anni dopo, la gioiosa macchina al governo dell’Italia riuscì ad arrivare ma, a dire il vero, l’esperienza non può certo essere annoverata tra quelle positive. E non lo può essere perché i mesi passati al governo misero in evidenza tutte le differenze, i contrasti e i limiti che l’alleanza conteneva in sé. Tali e tanti limiti, tali e tante differenze che l’alleanza si sgretolò e il governo cadde. Era, fu “l’Unione” e quel nome a pronunciarlo suona come evocare la peste a sinistra. La peste dell’essere in disaccordo su tutto. L’Unione portò il Paese a nuove elezioni e Silvio Berlusconi di nuovo a palazzo Chigi. Romano Prodi cadde di nuovo per consunzione interna di una alleanza buona sola per raccogliere uniti i voti ma poi mai unificabile su politica economica, debito, fisco. E allora non c’era la crisi e non c’erano i patti di bilancio nel frattempo sottoscritti dall’Italia. Come si terranno uniti il pareggio di bilancio 2013 e la già dichiarata voglia di ritornare alle pensioni di prima?

Bersani capitano, Vendola timoniere: 35 per cento di voti alle elezioni, premio di maggioranza e fa 45% dei seggi parlamentari, faticoso accordo di governo con il centro politico, impossibilità di tornare alle pensioni di prima e/o di pagare tutto con patrimoniali, ultimatum reciproci dentro il governo, mercati che si insospettiscono e scappano via, lontano del debito italiano….Rotta come nel 1994 che quindi finisce in porto come nel 2006.