Governo in Italia fra sindaci e vigili urbani: riforma del Senato, tanti dubbi

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 9 Aprile 2014 - 07:23 OLTRE 6 MESI FA
Governo in Italia fra sindaci e vigili urbani: riforma del Senato, tanti dubbi

Governo in Italia fra sindaci e vigili urbani: riforma del Senato, tanti dubbi. Nella foto Antonella Manzione

ROMA –  Si è molto enfatizzato negli ultimi anni il ruolo dei sindaci, giungendo alla conclusione che fosse, in primo luogo, da assumere ad esempio di una da tutti auspicata riforma elettorale il sistema in vigore per le elezioni comunali nelle quali centrale è la figura del candidato “primo cittadino”. Si aggiungeva che il sindaco ha esperienza concreta dell’amministrazione dovendo programmare iniziative ed adottare atti di immediato impatto sulla cittadinanza e, pertanto, verificabili negli effetti.

L’ho detto anch’io più volte criticando certa ritrosia dei politici italiani dal misurarsi con la gestione, al contrario di quanto avviene in altri paesi, in particolare in Francia, dove politici di primo piano, spesso conservando il ruolo di ministri, hanno amministrato realtà importanti, da Parigi a Lione, da Marsiglia a Tolone e via enumerando. Perfino un Presidente del Consiglio di lungo corso, Jacques Chirac, ha governato per anni la capitale della Repubblica.

Forti di questi esempi abbiamo visto con favore le iniziative di Renzi, il suo impegno a Firenze e le prospettive che andava indicando agli italiani. Uguale attenzione è stata riservata alla scelta della collaborazione di Graziano Delrio, incaricato di Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, il cuore della macchina Governo, per la sua esperienza di sindaco di Reggio Emilia e di Presidente dell’A.N.C.I, (l’Associazione dei comuni d’Italia).

Sbagliavamo, e lo stiamo sperimentando giorno dopo giorno: il Direttore generale del Comune di Reggio Emilia Mauro Bonaretti diventa Segretario generale della Presidenza del Consiglio e il Comandante della Polizia Municipale di Firenze, Antonella Manzione  assume le vesti di Capo del Dipartimento degli Affari Giuridici e Legislativi a Palazzo Chigi, erede di Sorrentino, Potenza, Zucchelli, tanto per fare nomi con i quali si sono confrontate generazioni di amministrativisti.

Non siamo in Francia, infatti. Siamo nell’Italia dei campanili, grande risorsa storica, culturale ed economica di questo nostro Paese, ma che ha difficoltà a guardare oltre il confine municipale, a pensare in grande, con riguardo alla provincia, figuriamoci all’intero Paese. Accade, così, che le idee che si formano nelle realtà municipali siano rapportate alle esigenze della strada da asfaltare, del traffico da regolare, della fontanella da riattivare. Quel che si chiede al Sindaco, naturalmente, cosa che non ha capito, ad esempio, il Sindaco di Roma Alemanno che, preso dalla politica nazionale, non si è occupato di quel che interessa i romani che, infatti, lo hanno congedato in malo modo.

Chiusi nella dimensione municipale i sindaci hanno in uggia il patto di stabilità interno, che impedisce loro di spendere per investimenti anche quando hanno risorse accantonate, ed hanno ragione, ma sono anche ostili ai controlli, in primo luogo quelli della Corte dei conti previsti nel decreto legge n. 174 del 2012, una scelta di Governo e Parlamento, confortata da una recente sentenza della Corte costituzionale, resa necessaria dalla cattiva amministrazione di Regioni e Comuni disinvolti nella utilizzazione di fondi pubblici, spesso fonte di sprechi e comunque condizionata da una vasta corruzione, spesso annidata nei grandi elettori dei politici locali. Perché, è bene dirlo, la corruzione si annida anche nei piccoli appalti di lavori e forniture, come dimostra quotidianamente la cronaca giudiziaria.

Così, invece di auspicarli per dar conto alla cittadinanza, in piena trasparenza, della loro buona gestione, sotto il profilo della legalità e dell’efficienza, i sindaci, dopo aver eliminato i controlli interni, criticano quelli esterni, nonostante la garanzia della loro (dei controlli) indipendenza. E così Piero Fassino, Sindaco di Torino, nella sua veste di Presidente dell’A.N.C.I. ha avuto da ridire su quel che fanno le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti le cui verifiche sarebbero troppo pervasive mettendo a rischio l’autonomia degli enti, l’esercizio della loro discrezionalità. Fassino ha esperienza e senso dello Stato ma, nella veste di capo dei sindaci, ha dovuto cedere alla demagogia municipale.

Si vede in questo la vista corta dei sindaci. D’altra parte, quale esperienza nazionale può avere il sindaco di una piccola pur nobilissima città (Firenze), culla dell’arte? Avrà fatto certamente buone letture ma l’esperienza è altra cosa. E Delrio, sindaco di Reggio Emilia, una splendida e civile città l’amministrazione della quale non può essere certamente una palestra per amministrare l’Italia?

Ne consegue che mentre di ipotesi di riforma dello Stato e della forma di Governo sono piene di biblioteche, si preannunciano sforbiciamenti che trovano l’unica origine nel desideri di offrire alla pancia dei cittadini vittime sacrificali. Ad essi si dice che i Tribunali Amministrativi Regionali sono di impaccio alle attività amministrative con le loro misure cautelari (che forse non sarebbero necessarie se le amministrazioni locali rispettassero le leggi), che forse anche il Consiglio di Stato sarebbe da ridimensionare se non abolire. Ed è iscritto all’o.d.g. del Parlamento un disegno di legge di revisione costituzionale che propone un Senato, la più antica e nobile istituzione della politica, assolutamente inutile e la si gabella con finalità di risparmi (ipotetici) basati sulla eliminazione della elezione diretta e dell’indennità. E mi chiedo se, quando i sindaci verranno a Palazzo Madama per discutere delle frattaglie dei paesoni che rappresentano avranno o no una diaria per spese di viaggio, vitto e alloggio. E quanto se ne avvantaggeranno i comuni amministrati dal fatto che il loro sindaco passerà qualche giorno la settimana a Roma per indossare il laticlavio.