Referendum e Costituzione, che garanzie per i garanti? Un giurista espone le tesi del Sì e del No

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 15 Settembre 2016 - 07:20 OLTRE 6 MESI FA
Referendum e Costituzione, che garanzie per i garanti? Un giurista espone le tesi del Si e del No

Referendum e Costituzione, che garanzie per i garanti? Un giurista espone le tesi del Si e del No

ROMA – Referendum e riforma della Costituzione. Salvatore Sfrecola, in questo articolo pubblicato anche sul suo blog Un Sogno Italiano si interroga sulle garanzie garantite agli organi di garanzia.

“Il sistema delle garanzie – sostengono i fautori del SÌ – viene significativamente potenziato: il rilancio degli istituti di democrazia diretta, con l’iniziativa popolare delle leggi e il referendum abrogativo rafforzati, con l’introduzione di quello propositivo e d’indirizzo per la prima volta in Costituzione; il ricorso diretto alla Corte sulla legge elettorale, strumento che potrà essere utilizzato anche sulla nuova legge elettorale appena approvata; un quorum più alto per eleggere il Presidente della Repubblica. Del resto i contrappesi al binomio maggioranza-governo sono forti e solidi nel nostro paese: dal ruolo della magistratura, a quelli parimenti incisivi della Corte costituzionale e del capo dello Stato, a un mondo associativo attivo e dinamico, a un’informazione pluralista”.

È un passaggio delicato della legge di revisione costituzionale, oggetto di critiche perché, in uno alla riforma della legge elettorale, l’Italicum, i contrappesi, cioè quel sistema di check and balances come si usa dire che devono garantire l’equilibrio dei poteri, elemento essenziale del costituzionalismo, perdono certamente quella autorevolezza che deriva dall’essere necessariamente eletti con il più ampio concorso di forze politiche.

Osserva, al riguardo, Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte costituzionale e autorevole studioso del diritto pubblico, che “il costituzionalismo nasce, in opposizione all’assolutismo, per sostenere la necessità di dotarsi di uno strumento – la Costituzione, appunto – che funga da limite al potere. Il costituzionalismo ritiene che il potere illimitato sia un male, perché potrebbe fare dei governati quel che vuole. Per questo si pone l’obiettivo di separare – attraverso norme sulla forma di governo – e di limitare . attraverso le norme sui diritti – il potere.

Ne Lo spirito delle leggi, Montesquieu scriveva:

chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva fin dove non trova limiti [    ]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere.

Come si sa, il titolare del massimo potere nel nostro ordinamento è il governo. Si capisce, allora, che è totalmente incompatibile con i principi del costituzionalismo che il titolare del potere assuma l’iniziativa di cambiare, secondo i suoi desideri, lo strumento che finge da limite al potere. In una caso del genere, si può dubitare che la Costituzione sia ancora un limite. Un limite è tale se è imposto dall’esterno, se è eteronomo. Se un soggetto si pone da sé i limiti alla propria azione, tali limiti non sono eteronomi, ma autonomi, cioè nella sua disponibilità. Il che vale a dire che non sono dei veri limiti.

Il governo che assume l’iniziativa di promuovere un ddl di revisione costituzionale si pone, dunque, al di fuori della logica del costituzionalismo” (G. Zagrebelsky, Loro diranno, noi diciamo, Laterza, Bari, 2016, 52).

Invece, in una Camera dominata dal partito di maggioranza che ha assicurati 340 seggi su 630 deputati (perché Renzi, che ha diminuito i senatori da 315 a 100 non ha ridotto anche i deputati? Si dice perché la riforma non sarebbe stata approvata), forte sarà la tentazione di decidere in solitario quando sarà di eleggere il Presidente della Repubblica, i Giudici costituzionali, i membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura. L’effetto è quello di una trasformazione della Repubblica da parlamentare in altra cosa non ben definita.
Perché se diminuisce il ruolo del Parlamento che risulta di fatto subordinato al Governo, come ha spiegato Alfredo Grandi, Vice Presidente del Comitato per il NO, è evidente che le elezioni nelle quali non è richiesta più ampia maggioranza di quella del partito risultato vincitore alle elezioni daranno luogo a scelte mirate in direzione di personalità “di area” e fedeli. L’esempio dei giudici costituzionali, la più importante garanzia di una verifica della legittimità delle leggi a fronte dei principi e delle regole della Carta fondamentale, deve preoccupare. I Giudici sono 15. La maggioranza di essi (10) è scelta con criteri politici, i 5 eletti dalle Camere ed i 5 nominati dal Presidente della Repubblica che è eletto dalla maggioranza di governo.

Abbiamo perduto una certa consapevolezza dei valori dell’indipendenza dei giudici delle leggi. Indipendenza che è certamente, e in primo luogo, della persona ma che deriva anche dall’immagine che risulta dall’esperienza dell’eletto o del nominato.
Un esempio. Giuliano Amato è senza dubbio un giurista di altissimo profilo, docente di diritto costituzionale, autore di pregevoli studi, ma è anche un politico a tutto tondo. È stato Presidente del Consiglio ed ha avuto altri importanti incarichi governativi, Ministro del tesoro, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. È un uomo di parte, illustre, ma uomo di parte. Se ne dimenticherà quando sarà chiamato a riferire nella Camera di consiglio della Corte costituzionale? Non dubito che giudichi con il massimo della serenità senza farsi influenzare da sue pregresse esperienze governative e partitiche. Ma agli occhi della gente è un uomo di parte. Infatti, intervistato sul tema della riforma costituzionale ha manifestato apprezzamento per la scelta del disegno Renzi – Boschi. Di più, a suo giudizio“rafforzerà l’esecutivo ma non indebolirà necessariamente il Parlamento. Infatti, la previsione di una Camera “verso la quale il Governo non può porre la questione di fiducia, non è detto che non costituisca un limite per il governo stesso”. Riesce difficile comprendere come.

Ha detto anche della modifica dei rapporti tra Stato e regioni. Le autonomie saranno rappresentate nel nuovo Senato in cui troveranno posto i consiglieri regionali e i sindaci delle principali città italiane. “Sono sempre stato favorevole ad avere nella legislazione nazionale il punto di vista delle regioni”, ha commentato Amato. Sulla nuova ripartizione di competenze – con molte materie che torneranno ad essere di potestà legislativa esclusiva dello Stato – l’ex premier ha fatto chiaramente intendere tutti i limiti del sistema attuale. Il problema principale – come si osserva da più parti – è l’elevatissimo contenzioso cui l’attuale distribuzione delle competenze ha dato luogo.

Insomma si è pronunciato su temi che potrebbero, ove la riforma costituzionale passasse al vaglio del referendum, entrare nel novero delle questioni rimesse all’esame della Consulta, magari perché riguardanti l’Italicum o la legge “elettorale” del nuovo Senato.

Un giudice costituzionale con rilevante esperienza o una forte connotazione politica urta contro la mia sensibilità democratica.

Tra le cose che i fautori del SÌ sottolineano a sostegno dell’apertura sui temi delle garanzie è l’aumento a 150.000 del numero di firme necessario alla presentazione di un progetto di iniziativa popolare con introduzione di “garanzie procedurali per assicurarne il successivo esame e l’effettiva decisione parlamentare”. Mi pare obiettivamente poco.

È stato abbassato il quorum per la validità del referendum abrogativo: se richiesto da almeno 800.000 firmatari il quorum è fissato alla maggioranza dei votanti alle elezioni politiche precedenti. Introdotto l’istituto del referendum propositivo e di indirizzo.

Gli strumenti di democrazia diretta non vengono favoriti: da un lato si prevede l’innalzamento del numero delle firme necessarie per poter presentare disegni di legge d’iniziativa popolare (e per promuovere un referendum, seppur compensato con un abbassamento del quorum per la validità del voto referendario), dall’altro si rinvia ai regolamenti parlamentari di stabilire le regole per la presa in esame disegni di legge d’iniziativa popolare da parte delle Camere.

Viene enfatizzata la norma che riconosce ad un terzo dei senatori o ad un quarto dei deputati la possibilità di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali prima della loro promulgazione. Ancora un pasticcio, perché è da chiedersi se la decisione della Corte costituzionale in questo esame preventivo esclude o meno un eventuale giudizio di costituzionalità sollevato incidenter tantum da un giudice nel corso di un processo. Probabilmente l’intento è quello di escludere un giudizio di costituzionalità, come quello, per intenderci, che ha messo fuori legge il Porcellum e ha all’esame l’ Italicum.