Brexit, Camera dei Lord approva legge anti no deal: ennesimo schiaffo a Johnson

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Settembre 2019 - 20:04 OLTRE 6 MESI FA
Brexit Boris Johnson

Boris Jonhson, il premier inglese della Brexit (Foto archivio ANSA)

LONDRA – Ennesimo schiaffo al premier Boris Johnson sulla Brexit. La Camera dei Lord ha approvato la legge anti no deal, dopo la Camera dei Comuni, per rinviare l’uscita della Gran Bretagna senza un accordo dall’Unione europea a dopo il 31 ottobre.

 Il testo è stato approvato dalla Camera alta senza sorprese e senza opposizione, visto che anche l’esecutivo – pur contrario ai suoi contenuti – aveva preferito rinunciare a porre ulteriori ostacoli puntando ormai a risolvere il braccio di ferro sulla Brexit con la convocazione di elezioni anticipate nel Regno Unito appena possibile.

Ora per la conclusione dell’iter sprint della legge non resta che il suggello scontato della firma della regina, o Royal Assent, e il deposito a Westminster, previsto per lunedì. Vale a dire lo stesso giorno in cui il governo intende riproporre – a legge varata – una mozione in favore del voto politico anticipato a metà ottobre: mozione a cui peraltro le opposizioni rimangono per ora orientate a far mancare il quorum. 

Intanto il governo ha annunciato per lunedì una seconda mozione per lo scioglimento della Camera, dopo il flop della prima. Ma la trincea del no è pronta a far mancare di nuovo il quorum richiesto dei due terzi dei deputati. Inizialmente il leader del Labour, Jeremy Corbyn, aveva parlato della necessità di attendere come elemento di garanzia fino all’entrata in vigore della legge anti-no deal: cosa che avverrà proprio lunedì, col previsto Royal Assent della regina dopo l’ok dei Lord.

Ora però ha cambiato idea, confidando di poter trascinare la partita a scacchi fino a novembre e metterlo di fronte alla scelta se umiliarsi sulla proroga o violare la legge. Una strategia che forse non tiene conto di possibili cavilli, ma che Corbyn ha confermato il 6 settembre stesso in un incontro di coordinamento tenuto in teleconferenza con i rappresentanti delle altre formazioni anti-Boris (gli indipendentisti scozzesi dell’Snp, quelli gallesi di Plaid Cymru, i LibDem e l’unica deputata Verde di Westminster).

“La possibilità di avere un’elezione generale è ovviamente assai attraente per noi”, si è in qualche modo giustificata Emily Thornberry, titolare degli Esteri nel governo ombra di Corbyn, “ma dobbiamo prima risolvere una crisi imminente” e fermare un primo ministro “inaffidabile”.

“Questa è gente che non crede nel popolo”, ha attaccato per tutta risposta Johnson, che oggi ha spostato la sua personale campagna elettorale ad avvio precoce in Scozia, territorio a maggioranza ostile alla Brexit, dove ha cercato di far breccia promettendo 200 milioni di sterline per l’agricoltura. 

Contro il premier di lui pesano d’altronde i paletti parlamentari, le divisioni interne al suo stesso partito, le critiche crescenti per gli impazienti atteggiamenti muscolari: come nel caso di ieri, quando nello Yorkshire s’è esibito in un comizio di parte circondato da poliziotti in divisa.

A suo favore gioca però la sentenza con cui l’Alta Corte britannica ha confermato la legittimità della sua sospensione del Parlamento dalla settimana prossima al 14 ottobre, contro il ricorso della pasionaria pro Remain Gina Miller: uno stop che – salvo rovesciamenti il 17 settembre alla Corte Suprema – gli lascerà campo libero per più d’un mese. Se non altro sul fronte della propaganda. (Fonte ANSA)