Dopo la crisi Reykjavik sceglie un sindaco punk

Pubblicato il 10 Maggio 2011 - 08:09 OLTRE 6 MESI FA

REYKJAVIK – «Live fast, die young» recita il celebre motto punk, «vivi veloce, muori giovane». Doveva pensarla così la vita Jon Gnarr durante il frastuono dei concerti, quando ancora giovane si faceva chiamare Johnny Punk ed aveva una vistosa cresta sulla testa. Oggi, i capelli sono pettinati con la riga, Johnny Punk è un nome d’arte del passato, e quel punk è diventato sindaco di una città importante come Reykjavik.

Il ragazzotto insolente che strappava dalle riviste le foto dei Clash, siede oggi in un elegante ufficio, in quella che solo qualche anno fa sembrava la capitale del più riuscito laboratorio liberale della storia, governando decine di migliaia di persone, con stuolo di subordinati e gestendo un budget di qualche milione di euro.

Per arrivare fino a qui, non è saltato direttamente dal palco di un locale underground alle sale della politica. In mezzo c’è stata anche una fortunata carriera di comico – i suoi film sono ormai dei «classici» per gli islandesi – preceduta da qualche anno in Svezia, come operaio ad una catena di montaggio. Eppure, del suo passato punk Jon Gnarr non ha rinnegato tutto; una certa verve retorica gli è rimasta. Come quando deve spiegare cos’è successo al suo paese, passato in qualche settimane dall’euforia del miracolo economico al crack finanziario.

«Se qualcuno ha vomitato sul tuo tappeto dopo una festa lunga – spiega poggiando una tazza di tè da cui si diffonde un profumo di cannella e di vodka – tu senti il cattivo odore e chiedi ai tuoi amici chi è stato. Allora Bill dice che è stato Jon e Jon dice che è stato Frank. Ecco questa è l’Islanda dopo la crisi finanziaria».

La metafora mondana serve a descrivere un paese che è stato per lunghissimi attimi sull’orlo della bancarotta e che non ha saputo, o non ha voluto, individuare i responsabili della crisi. Sconvolti dall’illusione amaramente svanita, molti islandesi si sono rivolti ad un uomo nuovo, uscito da un ambiente popolare e lontano anni luce dalla politica. La sorte, forse per una volta nemmeno troppo ironica, ha voluto che il voto investisse Gnarr, un uomo che il «sistema» voleva sconfiggerlo, prima con odio e poi con umorismo, e che quel sistema ancora non vuole arrendersi a cambiarlo.

Se potesse fare come vuole, assicura Gnarr, il capitalismo non esisterebbe più in Islanda. «Dobbiamo essere autosufficienti – dice, seduto nel suo ufficio, nel quartiere più chic della città – Abbiamo quello che serve per farlo. Dopo la crisi, mi è parso chiaro che le cose non possono continuare come prima».

Le dichiarazioni programmatiche non bastano per risolvere una delle peggiori crisi della storia economica europea. E la dura realtà dei fatti si sconta naturalmente con la visione anti-sistema del romantico sindaco punk. Il quale è dovuto scendere, fin dall’inizio del mandato, a pesanti compromessi con la sua personale concezione della politica. Quelle scelte dolorose che non potevano essere evitate, parte integrante della pesante «cura» al malato, sono state prese senza troppi tentennamenti. La seconda iniziativa da sindaco – dopo l’istituzione di un «Hallo day», giorno in cui i cittadini devono salutarsi il più allegramente possibile – è stata l’aumento delle tariffe del gas, e diverse decine di licenziamenti nella compagnia elettrica.

E’ stato forse questo mix di pragmatismo e di naiveté politica ad aver convinto gli abitanti di Reykjavik a dare la loro fiducia al sindaco punk. Che si è vestito del suo ruolo di sindaco, con l’entusiasma del neofita, e con il piglio del “salvatore”. Quando, in occasione dell’approvazione del budget annuale, ha fatto un discorso al municipio della capitale ha spiegato così la sua visione della politica:«A mio figlio è capitata una malattia molto seria. Il chirurgo voleva operare immediatamente, lo specialista voleva aspettare e il pediatra era indeciso. Ma io dovevo prendere una decisione subito. Credo che quello che è successo sia simile al mio lavoro oggi». E, dopo una lunga suspense, per tutti gli islandesi curiosi di saperlo, ha aggiunto alla fine: «Non vi preoccupato, mio figlio sta bene oggi».