Melloni: “Ici alla Chiesa? Residenze episcopali come prima casa”

Pubblicato il 8 Dicembre 2011 - 16:30 OLTRE 6 MESI FA

ROMA  – Il contributo fiscale della Chiesa alle casse italiane ”deve deciderlo lo Stato” stabilendo ”qual è la parte di patrimonio ecclesiastico che può essere considerata alla stregua della prima casa degli italiani e per cui far valere lo stesso tipo di tassazione, ad esempio decidendo che le residenze episcopali vengano accatastate come prime case. Su questo non c’è nessun censimento da fare, basta semplicemente mettere in moto la pubblica amministrazione”. E’ la proposta dello storico della Chiesa, Alberto Melloni, che interviene cosi’, intervistato dall’Ansa, nel dibattito sulle esenzioni Ici riconosciute alla Chiesa apertosi dopo la presentazione della manovra del governo Monti che reintroduce l’imposta sulla prima casa dei cittadini. Questione sulla quale, sottolinea lo storico, ”c’e’ un grado di retorica, confusione e disinformazione molto alto”.

Melloni invita a riportare la discussione e le eventuali decisioni nella commissione paritetica istituita con la revisione del Concordato Casaroli-Craxi. ”E’ li’ – spiega – che si deve decidere quali sono gli immobili che per la loro qualificazione devono essere considerati prime case e quali sono le norme con le quali si valuta quel ‘non esclusivamente’ commerciale che è alla base dell’attuale legge. Ma per questo – aggiunge – basta un regolamento del ministro del Tesoro”.

”Se si facesse ciò – osserva – la maggior parte dei preti e dei vescovi sarebbe sollevata”. Infatti, secondo lo storico, ”alla fine il Concordato, l’8 per mille e anche il regalo dell’esenzione dall’Ici ha dato alla Chiesa molto di meno rispetto al danno di immagine che sta subendo perché rischia di passare nell’opinione pubblica come l’unica speculatrice in un mare di famiglie disperate”.

Certo, ammette Melloni, dopo la manovra ”è difficilissimo dire che ci sono delle famiglie, le famiglie religiose, che sono esentate dal pagamento di una tassa che le altre famiglie pagano, questo e’ fuori di discussione”. Rimane comunque da fare chiarezza, avverte, quando ”si confondono soggetti giuridici molto diversi tra loro. Resto meravigliato quando si dice che il Vaticano non paga l’Ici perche’ essendo uno stato straniero non lo paga esattamente come non lo paga la Francia”.

”Per quanto riguarda il problema dell’imposta – conclude quindi – si tratta di fare dei provvedimenti che abbiano un senso da un punto di vista giuridico e amministrativo cioe’ che non siano semplicemente azioni di propaganda con le quali fare leva sul malcontento. E’ nella commissione paritetica governo-conferenza episcopale – ribadisce – che lo stato deve sollevare la questione se il tipo di servizi che la Chiesa offre a una popolazione emarginata, ai senza tetto, ai nomadi, viene coperto dalla somma dell’8 per mille congruamente o se la Chiesa ne trae un di piu’ per cui lo Stato deve intervenire”.