Berlusconi in carcere come Dante e Pellico: Il Giornale consola il capo
Pubblicato il 5 Agosto 2013 - 12:52 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – Da Dante Alighieri a Silvio Pellico, da Dreyfus a Enzo Tortora, quando il carcere è un marchio di infamia non per il condannato ma per l’autorità che la emette: ci prova il quotidiano di famiglia, Il Giornale, a tirar su il morale di Berlusconi ricordando un po’ di nomi illustri perseguitati e banditi da uno Stato che la Storia si sarebbe incaricata di definire criminali. E’ comprensibile il tentativo di appaiare il “pregiudicato” Berlusconi ai grandi del passato, è forse un po’ approssimativo, diciamo così, un elenco che va dal Trecento a ieri l’altro, che mette insieme i moti risorgimentali e i piani Solo di un Edgardo Sogno, il battesimo del fuoco dell’antisemitismo europeo del caso Dreyfus e l’orgoglioso rifiuto di difendersi di un Guareschi finito in carcere per aver dileggiato Alcide De Gasperi. Il quale De Gasperi, per inciso, appare sdoppiato nella figura del persecutore democristiano e del campione della libertà tanto da occupare un posto di primo piano nel cosiddetto Pantheon del Pdl.
La verità è che, in molte occasioni, il marchio d’infamia collegato a una condanna, in particolar modo, alla carcerazione, si è trasformato nel suo opposto,in un marchio d’infamia, cioè, per la condanna stessa e per chi l’emanò, per motivi politici o in spregio della legge. Due casi di errori giudiziari, diversi fra loro e di epoche diverse, lo confermano. Sul finire dell’Ottocento, nella Francia della III Repubblica, il capitano ebreo Alfred Dreyfus venne accusato di spionaggio a favore della Germania, processato per alto tradimento, degradato e condannato ingiustamente alla deportazione. Passarono anni prima che la sua innocenza venisse riconosciuta ed egli fosse riabilitato. In tempi più recenti, nel nostro Paese, negli anni Ottanta, il giornalista e presentatore televisivo Enzo Tortora, finì processato e condannato per reati gravissimi, associazione camorristica e spaccio di droga, cui era – la sua innocenza venne riconosciuta al termine di un lungo calvario giudiziario – totalmente estraneo. La magistratura, in quella occasione, fece una pessima figura. Il problema della crisi della giustizia, e della amministrazione della giustizia, venne alla luce in tutta la sua drammaticità. Senza, peraltro, che la classe politica riuscisse a risolverlo. (Francesco Perfetti, Il Giornale)
Tra errore giudiziario e persecuzione politica dovrebbe pur esserci una qualche differenza. Però, la suggestione di un Berlusconi intento al lume di una fioca candela a scrivere “I miei arresti domiciliari“, versione aggiornata de “Le mie prigioni”, solletica la fantasia dei berluscones, per rendere merito a una storia che non può finire spazzata via da una condanna ingiusta: certo, un Silvio Pellico che arringa la folla da un balconcino della tetra fortezza boema dello Spielberg è più difficile immaginarlo. Se non sorprende l’assenza di Antonio Gramsci, sorprende, invece, che tanto zelo non abbia fornito il nome di un altro illustre finito in carcere per volere, stavolta, della Serenissima Repubblica di Venezia: beh, forse non era così innocente e specchiato, ma diamine, si chiamava Giacomo Casanova. Al posto de Le mie prigioni, stiamo aspettando con ansia Le Memorie di Silvio Berlusconi scritte da lui medesimo.