Bonino e la Rai: persi una grande occasione e un piccolo voto

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 12 Febbraio 2010 - 16:25| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Emma Bonino

Per quel nulla che vale il mio singolo voto Emma Bonino lo ha perso. Lo ha messo in fuga in dieci minuti scarsi, più o meno dalle 21, 15 alle 21,25 di giovedì 11 febbrario mentre parlava ad Annozero da Michele Santoro. Ha detto la Bonino con tenacia, passione e sincerità che lei ha un solo e unico metro per misurare il mondo: l’interesse del Partito Radicale. Ha detto e argomentato con dovizia che ciò che importa sopra ogni altra cosa è che i radicali ci siano in tv. A questo “supremo bene” è bene che ogni altra cosa faccia spazio e ceda il passo, autonoma informazione e autonome trasmissioni comprese s’intende, ci mancherebbe altro. Quel che la Bonino ha ritenuto di poter concedere è che trasmissioni e informazioni restino in palinsesto, ma solo se e dopo lo spazio e la presenza dei radicali e degli altri partiti. Se si sta stretti in calendario, peccato. Siano trasmissioni e informazione e farsi da parte. «In fondo si tratta solo per un mese» ha benevolmente concluso.

Per quel nulla che vale il mio singolo voto, non può andare a questa “violenza della non violenza”. Non può andare a chi teorizza e persegue l’inesistenza di diritti superiori in quantità e qualità al suo bisogno di parte, fondato o meno che sia il bisogno. Emma Bonino ha spiegato la genesi e la difesa radicale della deliberazione della Commissione di vigilanza Rai che impone a tutti i contenitori di informazione di comportarsi secondo le regole delle Tribune politiche. Ecco la genesi: «la carenza strutturale di inviti» in quelle trasmissioni per gli esponenti radicali. Di qui la correttezza secondo la Bonino della nuova normativa che impone che le sedie in studio siano assegnate dal Parlamento. Non dalla cronaca, dai fatti, dalla scelta giornalistica men che mai. Dal parlamento, dai partiti. E in fondo è rivendicazione coerente: se la Rai è casa loro, a casa loro ci deve essere sempre una sedia per tutti. Netto, preciso, stringente. Ma mi è difficile votare per chi ritiene la democrazia sia e coincida con la Rai “casa dei partiti”.

L’idea che un ministro, un politico, un leader, uno qualsiasi si invita e intervista a seconda del tema che si tratta, dei fatti accaduti, della realtà di quel giorno non convince la Bonino, anzi la indigna. La loro idea, l’idea dei radicali è sempre stata altra: da decenni “pesano” i giornali a seconda delle righe e dei titoli a loro dedicati. Presenza, presenza, dov’è la nostra presenza? Me lo son sentito ripetere per decenni dai radicali. Sempre offesissimi se la risposta era: presenza sì, ma non a prescindere dai fatti concreti. Questa risposta era per i radicali la prova della “dittatura informativa”, non del criterio di realtà. Dittatura cui reagire con la “violenza della non violenza”. La meno disarmata, la più disarmante.

Questo sentire e percepire il proprio bisogno come diritto assoluto e primario è illiberale. E, se non è coscientemente illiberale, è ottuso. Non sono in grado di misurare quanto dell’uno e quanto dell’altro, ma so che per funzionare deve essere un mix tra le due componenti. Un mix radicale, nel senso di decisivo e irreversibile nella mente in cui prende forma.

Non è laico sentirsi gli interpreti unici e autentici della democrazia. Laico non è solo opporsi al clericalismo imperante e dominante, ragion per cui alla Bonino volentieri avrei dato per quel nulla che conta il mio singolo voto. Laico è concepire diritti e doveri come sistema armonico e bilanciato. La democrazia che vado cercando e che ritrovo ormai solo sui testi classici dei suoi teorici è il dubbio nell’animo e nella testa. Il dubbio eterno di non essere il depositario dell’interesse “primo”.

Questo dubbio a destra lo si estirpa come la gramigna. Non trovandone traccia di questo dubbio nemmeno nella Bonino, riserverò uno dei pochi bollini rimasti nella tessera elettorale (mai mancato ad una chiamata al voto) ad altra e migliore occasione. Un’occasione in cui, ce ne sono state tante, in cui possa pentirmi del voto concesso dopo averlo espresso, non addirittura prima.