Consorte, ex Unipol: “Dirò tutto”. Bersani deve tremare?

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 2 Novembre 2011 - 11:56 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Giovanni Consorte vuoterà il sacco? All’indomani della sentenza che lo condannava in primo grado a tre anni e 10 mesi per la scalata a Bnl (“il famoso “abbiamo una banca” di Fassino), l’ex presidente di Unipol non rinuncia a combattere. Nella stessa intervista rilasciata al Corriere della Sera attacca i magistrati (“mi perseguitano”) e lancia un avvertimento (“troverò il modo di far sapere come sono andate le cose”). Significa che coinvolgerà il partito di riferimento, D’Alema, Bersani, Fassino devono tremare? “Tremerà chi ha commesso scorrettezze”, ha tirato dritto Consorte. Un avviso ai naviganti, sostiene il giorno dopo Il Giornale, che si spinge a considerare il manager caduto in disgrazia come il vero rottamatore del Pd.

Anche Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano si esercita nel decrittamento di quel “dirò tutto” di Consorte. D’Alema, Bersani, Fassino, Latorre, prima lo avrebbero sostenuto e incoraggiato nella scalata, salvo defilarsi quando la magistratura ha voluto vederci chiaro. Da punti di vista opposti, Il Giornale e Il Fatto inquadrano tutta la vicenda sottolineando il clima da muoia Sansone e tutti i filistei. “Sansone” Consorte è stato incriminato e condannato per insider trading (abuso di informazioni privilegiate). Per la precisa circostanza che ha rivelato informazioni potenzialmente “idonee ad alterare il valore dei titoli in borsa” che non potevano essere comunicate ad estranei. Per la stessa circostanza Fassino non è stato accusato di nulla perché non ha utilizzato le informazioni riservate per un arricchimento a quel punto illecito. Insomma per quell'”abbiamo una banca”, Consorte paga, Fassino no. Va ricordato che gli inquirenti volevano indagare anche D’Alema e Latorre a causa della linea rovente con Consorte, ma Senato e Parlamento europeo negarono l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni che li riguardavano.

La ricostruzione storica degli eventi è controversa. Per Consorte i suoi guai nascono con la volontà di qualcuno di colpire le ambizioni della sinistra di dotarsi di un braccio finanziario cruciale. “Il presidente Cossiga mi disse che ero stato fortunato a non essere stato ucciso”: cioè, spiega Consorte, a ogni costo si sarebbe impedito che i comunisti avessero una banca. Per il Giornale è la conferma puntuale e attestata dai mai troppo amati tribunali che il malcostume e la spregiudicatezza finanziaria non sono patrimonio esclusivo della destra ma coinvolgono tutti, a partire da chi innalza senza titolo le insegne della questione morale. Per il Fatto, i “furbetti del Botteghino” dovrebbero come minimo scusarsi, se non pentirsi, dopo aver abbracciato la causa dei vari Fazio, Consorte, Ricucci, Fiorani, Gnutti, su cui avevano messo la mano sul fuoco e che sono stati tutti puntualmente condannati.

Impallinato dagli avversari, abbandonato dagli amici, Consorte va considerato una mina vagante? Basterebbe che esibisse, non necessariamente a un magistrato, una ricevuta, la matrice di un assegno, una qualsiasi pezza di appoggio che dimostri di aver finanziato questa o quella attività dei grossi nomi del Pd per rovinargli per sempre la reputazione. L’elettorato di riferimento, per buona parte ancora sentimentalmente legato a Berlinguer, non è abbastanza smaliziato da comprendere i meccanismi, spesso segnati da vaste zone d’ombra, che permettono all’enorme macchina di partito di esercitare pienamente il suo ruolo. Sì, è una mina vagante, e il botto investirebbe proprio i piani alti del Partito Democratico.