Intercettazioni. Può diventare un boomerang. Il Governo Berlusconi non può ignorare gli americani, il capo della Polizia

Pubblicato il 21 Maggio 2010 - 23:43| Aggiornato il 2 Giugno 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il ddl intercettazioni sta diventando il “personaggio scomodo” del Governo Berlusconi con il serio rischio che si trasformi in un boomerang pronto a colpire la maggioranza. In un momento in cui l’inchiesta “Grandi appalti” sta gettando fango su molti componenti dell’esecutivo, e chissà quanti altri ne usciranno fuori nei prossimi giorni, la credibilità del Governo perde parecchi punti e se la storia delle intercettazioni si incattivisse forse Berlusconi ne avrebbe un danno non tanto piccolo.

Inoltre negli Stati Uniti la legge non piace, come ha detto piuttosto brutalmente Lanny A. Brauer, sottosegretario alla Giustizia americano. Alfano ha cercato di metterci una pezza, ribadendo “la piena intesa con Washington” e che le dichiarazione di Brauer non erano riferite al ddl perché il sottosegretario alla Giustizia americano ha dichiarato apertamente  “di non conoscere la nostra legislazione in materia di intercettazioni”. Ma non ha convinto nemmeno se stesso.

E questa legge alla gente non piace perché non la considera la priorità del paese. Il popolo insomma più che regolamentare le intercettazioni sente l’esigenza di regolamentare le spese a fine mese.

Nella giornata di venerdì, in un modo indiretto e quasi casuale (parlando in una scuola) come si addice al ruolo, a difendere le intercettazioni come “strumenti a disposizione degli investigatori” è intervenuto lo stesso capo della Polizia, Antonio Manganelli e il Governo non può non tenere conto di quel che pensa la colonna portante dell’ordine pubblico, specialmente se si pensa che sul capitello di quella colonna ci sono lo stemma della Lega e le facce di Maroni e Bossi. Manganelli è andato giù piatto:  “Non siamo negli Usa dove ci sono le alternative, se si intende ridurli o regolarli diversamente deve esserci la possibilità di far ricorso ad altri strumenti”.  In realtà, in America intercettano anche i gatti, basta vedere un qualunque telefilm, anche perché sono abilitati a intercettare non solo l’Fbi, ma tutte le polizie locali di tutto il continente.

La tensione è molto alta e i segnali contradditori e contrastanti. Ecco allora il primo passo indietro quello sul carcere per i giornalisti, poi il maxi-emendamento sul quale chiedere la fiducia nell’Aula di Palazzo Madama. Esattamente come previsto nei giorni scorsi dal presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro che definisce il testo sulle intercettazioni un “grossolano, pasticciato e malfatto, perché agisce sulla base di pregiudizi. Purtroppo non c’é stato niente da fare, la maggioranza oppone un muro di gomma e io credo voglia andare a tappe forzate rispetto all’approvazione”.

Di “doverosa pratica ostruzionistica” parla anche Bersani che  ha invitato ad “assumere pienamente” la questione morale, “combattendo innanzitutto perché non diventi impossibile illuminare i fatti di malversazione e di corruzione. La giusta esigenza di eliminare l’abuso delle intercettazioni e la loro conseguente diffusione –   ha aggiunto – si sta ribaltando in norme che danneggiano gravemente le indagini e mettono un bavaglio all’informazione sconosciuto ad ogni Paese democratico”.

Ma segnali preoccupati e preoccupanti vengono anche dalla maggioranza. Il deputato finiano del Pdò Felice Briguglio mette in guardia che giornali e periodici pubblicati all’estero, tv straniere, media internazionali, oltre naturalmente a internet, sono le vie che potrebbero prendere le notizie italiane per aggirare gli eventuali divieti della normativa sulle intercettazioni. Se così fosse il rischo è di trovarsi davanti a “un’elusione che getterebbe una luce negativa sul nostro Paese sicuramente dipinto come un’anomalia. In più penalizzerebbe nel panorama europeo la stampa italiana e solleverebbe problematiche giuridiche molto rilevanti. Peraltro la questione è politica, ma non di mera appartenenza perché anche la stampa di centrodestra in questa circostanza giustamente difende le ragioni dell’informazione e non quelle di schieramento. Per questo è utile lavorare ancora per giungere a un testo che non esponga il nostro Paese ad attacchi dall’estero e a una crisi di rapporti col mondo dell’informazione. E’ questione di buon senso e di buona volontà che auspichiamo possa prevalere all’interno del Pdl”.

Intanto da palazzo Grazioli arriva una parziale conferma dal relatore del ddl Roberto Centaro che non scarta il ricorso alla fiducia: “E’ nella facoltà del governo”, ammette. Berlusconi, intanto fa sapere che la versione ’soft’ del provvedimento va bene purché non se ne alterino natura e obiettivi. L’importante è che il testo passi senza provocare “pericolose spaccature” nella maggioranza. Ma, si spiega nel Pdl, molto dipenderà da ciò che accadrà durante la seduta notturna della commissione Giustizia del Senato convocata per lunedì prossimo.

In pochi, per ora, conoscono bene il testo che uscirà dalla commissione visto che, tra l’altro, sono stati approvati “molti emendamenti anche del Pd e dell’Idv”, come ricorda il leghista Sandro Mazzatorta. Pertanto, osservano i finiani, prima si dovrà capire bene di che testo si tratta, poi si deciderà il da farsi.

Alla decisione di abbassare i toni avrebbero contribuito più fattori. Prima di tutto l’attenzione con la quale il Quirinale starebbe seguendo l’iter di un provvedimento così delicato. Il capo dello Stato, infatti, già l’anno scorso aveva espresso perplessità, anche al Guardasigilli Alfano, sul rischio di una formulazione che risultasse in contrasto con norme costituzionali a tutela del lavoro di indagine della magistratura, della riservatezza personale, della libertà di stampa e del diritto ad essere informati. E questi dubbi avrebbero determinato uno stop di diversi mesi all’esame del testo. Comunque, se si dovessero indicare i punti deboli della normativa, questo sarebbe possibile nel passaggio tra Senato e Camera.

Secondo punto: si vorrebbe evitare una pronuncia di incostituzionalità visto che, come ribadisce il responsabile Giustizia Idv Luigi Li Gotti, verrebbe violato il diritto all’informazione contenuto nell’articolo 21 della Costituzione. Terzo fattore: le perplessità dei finiani che, pur assicurando un ’si’ al ddl come sostenuto da Italo Bocchino, non nascondono di preferire il testo licenziato dalla Camera il 10 giugno del 2009: definendo quello “un compromesso equilibrato” tra le due anime del Pdl. Per Bocchino, “serve una riflessione interna al Popolo delle libertà e alla maggioranza per evitare le multe salate nei confronti degli editori che non hanno responsabilità di quello che i giornalisti scrivono”.

Ma a spingere la maggioranza ad abbandonare il muro contro muro avrebbe contribuito anche il ‘crescendo’ dell’inchiesta ‘grandi appalti’: più si lanciano allarmi sulla questione morale, più si allarga il numero degli uomini di governo coinvolti, meno si può fare la voce grossa su un tema così ‘delicato’ senza dare davvero l’idea di voler mettere il bavaglio alla stampa su ciò che sta succedendo. 

Berlusconi, dunque, sarebbe contrariato non solo per il passo indietro che è stato costretto a fare, ma anche per le pressioni di queste ore. A cominciare dall’appello lanciato dal sottosegretario al Dipartimento di Giustizia Usa, Lanny A. Brauer, a non limitare le intercettazioni che “sono uno strumento essenziale nella lotta alla mafia”. Mal avrebbe digerito anche il coro di proteste: da quelle del presidente Fieg Carlo Malinconico (“con le sanzioni si vuol fare pressione sugli editori”) a quelle di Luca Cordero di Montezemolo che dichiara di “condividere la linea degli editori”.

Martedì intanto la conferenza dei capigruppo del Senato dovrebbe calendarizzare il ddl per l’Aula. E nell’attesa, il Capo della Polizia Antonio Manganelli si augura che “si arrivi ad un punto di incontro” sul testo. Mentre la Fnsi per lunedì organizza una videoconferenza dei direttori delle principali testate per parlare di intercettazioni.