Dallo sdoganamento al “Che fai mi cacci” il duello infinito tra Fini e Berlusconi

Pubblicato il 12 Maggio 2010 - 19:43| Aggiornato il 26 Dicembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi

Dallo sdoganamento del 1993 alla plateale rottura della direzione nazionale del Pdl. Il rapporto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, vecchio di 17 anni, ha conosciuto alti e bassi. L’idillio dei primi tempi si è trasformato in una malcelata insofferenza reciproca. Ecco le tappe principali della tormentata relazione tra i due leader.

L’idillio comincia con il ’93, alle elezioni comunali di Roma. Fini, ancora segretario del Msi, si candida contro Rutelli e ottiene l’appoggio del Cavaliere (subito ribattezzato “il cavaliere nero”) . Fini perde, ma incassa lo “sdoganamento”. La destra esce dal ghetto . L’anno successivo il centrodestra vince le elezioni. Ma alla vigilia di Natale la Lega manda tutto all’aria con il famigerato “ribaltone” che porta a Palazzo Chigi un governo guidato da Lamberto Dini. Fini resta fedele a Berlusconi : “Non prenderò mai più un caffé con Bossi”, dice.

Nel 1999 Fini stringe un patto con Mario Segni, in nome del referendum anti-proporzionale. Alle europee il simbolo dell’elefantino si ferma però al 10,3% per cento. E’ un flop. Berlusconi non gradisce: è il primo sgarbo di Fini all’alleato di ferro. Al governo dal 2001 al 2006 Fini comincia a manifestare una certa insofferenza verso Berlusconi. Reclama una “cabina di regia” che lo coinvolga nelle decisioni . Fa fronte con il leader dell’Udc Marco Follini e ottiene la testa di Giulio Tremonti, il ministro amato dalla Lega Nord.

Il discorso del predellino (novembre 2007) con cui Berlusconi annuncia che è ora di dar vita a un partito unico, manda Fini su tutte le furie. “Siamo alle comiche finali”, commenta il leader di An. A settembre 2008 Fini lancia la proposta del voto agli immigrati. Berlusconi si confida con i suoi chiedendosi se Fini stia lavorando per ritagliarsi un proprio spazio. “Pensa di candidarsi alla mia successione? Allora non ha capito niente. Senza di me starebbero ancora dove stavano fino al 1994”.

Nel dicembre del 2008, il governo mette la fiducia sulla finanziaria, e Fini, presidente della Camera, boccia la procedura adottata defindendola “anomala”.Ancora scintille poco prima della nascita del Pdl, a marzo 2009. Fini, senza citare Berlusconi, dice che “c’é un rischio di cesarismo” che va scongiurato garantendo la democrazia interna dei partiti.

Un fuorionda di Fini a un convegno sulla mafia,il primo dicembre 2009, fa salire nuovamente la tensione con Berlusconi. Il presidente della Camera parla a microfoni spenti con il suo vicino, il magistrato Nicola Trifuoggi. Berlusconi, dice, “confonde la leadership con la monarchia assoluta”.

Lo scorso 2 marzo Fini torna a esprimere la sua insoddisfazione per come vanno le cose nel Pdl. “Ho contribuito a fondare il Pdl, ma così come è il Pdl non mi piace”, dice il presidente della Camera. Il duello tra Fini e Berlusconi si concentra sul tema delle riforme. Il presidente della Camera si schiera contro il semipresidenzialismo senza doppio turno, proposto invece dal premier. La riforma delle istituzioni, dice il 22 marzo scorso, “non si può fare a colpi di slogan e battute da comizio”.

Nello psicodramma di via della Conciliazione Fini rivendica il diritto di dire le cose che pensa senza sentirsi dare del “traditore”. Berlusconi risponde a muso duro: “Se vuoi fare politica le fai da uomo politico e non da presidente della Camera”. La controreplica di Gianfranco Fini è immediata: si alza dalla sedia in platea e si avvicina al presidente del Consiglio, che parla dal palco, urlandogli ‘che fai mi cacci?’, rafforzando il concetto con un plateale gesto delle mani.