Emergency: e al sesto giorno Roma bussò a Kabul, ma prima c’era stata la fredda prudenza

Pubblicato il 15 Aprile 2010 - 18:01 OLTRE 6 MESI FA

Marco Garatti

Almeno ora si sa che i tre operatori di Emergency si trovano a Kabul. La Farnesina assicura che presto potrebbe esserne liberato uno, Matteo Pagani, il tecnico della logistica dell’ospedale di Lashkar Gah. Da sabato è nelle mani della polizia afghana, sotto stretta sorveglianza negli uffici della Direzione della sicurezza nazionale (Nsd), insieme al medico Marco Garatti e all’infermiere Matteo dell’Aira per detenzione di armi all’interno della struttura sanitaria. E’ il sesto giorno e l’Italia preme diplomaticamente su Kabul, ma come era andata nei cinque giorni precedenti?

Gino Strada, patron dell’organizzazione umanitaria, grida subito al complotto, accusando il governo Karzai e le forze Nato.La prima reazione del governo italiano, quella a caldo, è una doccia fredda: nessuna parola di sostegno a Emergency, nessun elogio al lavoro dei medici.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini prende le distanze, il ministro della Difesa Ignazio La Russa rievoca le Brigate rosse nel Pci, affermando che «capita a tutti di avere degli infiltrati». Poi arriva la conversione, seppur cauta e il pressing su Kabul.

Nel primo comunicato che arriva sabato sera dalla Farnesina si legge: «In attesa di poter conoscere la dinamica dell’episodio e le motivazioni dei fermi, il governo italiano ribadisce la linea di assoluto rigore contro qualsiasi attività di sostegno diretto o indiretto al terrorismo. La Farnesina riconferma il suo più alto riconoscimento al personale civile e militare italiano impegnato per le attività di pace in Afghanistan».

Il fondatore della Ong ribadisce che Emergency cura tutti, probabilmente anche i terroristi, che all’assistenza non c’è un freno e che l’Italia sostiene il governo Karzai perché ha interessi economici sull’area. «È la solita storia: Emergency in Afghanistan, e soprattutto in quella regione, è un testimone scomodo di quanto fanno le forze di occupazione e una specie di governo ai danni della popolazione» denuncia Strada.

Passato il week end di tensione e di accertamenti logistici, prima che si inserisca la mano diplomatica del premier Silvio Berlusconi, da Emergency chiedono ancora l’immediata liberazione dei volontari e dicono: «È probabile che i nostri collaboratori siano già in uno stato di detenzione illegale». Ma poi Frattini sottolinea:  «Se cominciamo a parlare di sequestro trasformiamo in una vicenda politica quella che è una investigazione alle prime battute, che vogliamo seguire garantendo i pieni diritti ai nostri connazionali». «Non li abbiamo abbandonati», assicura: «vale anche per loro la presunzione di innocenza».

Con una lettera al presidente afghano, Berlusconi, chiede «risposte urgenti e concrete» sui connazionali accusati di sostenere i talebani e i cosiddetti nemici della pace nel Paese. È mercoledì 14 aprile e in contemporanea Frattini, a Montecitorio, esprime tutta la sua «insoddisfazione» per «le risposte giunte dalle autorità afghane». Ma precisa anche che l’atteggiamento di Gino Strada «non aiuta».

Il governo insomma continua a non scomporsi troppo, dall’opposizione arriva persino qualche appunto alla perfetta conduzione delle indagini e delle trattative, completamente prive di alcuna presa di posizione a difesa dei tre arrestati. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, afferma che «dopo i primi tentennamenti, viene fuori la linea del governo che chiede di rispettare i codici giuridici. Oltre all’azione diplomatica efficace, una parola in piu’ sul ruolo e il significato della presenza di questa grande organizzazione sarebbe stata gradita».

I negoziati per non fare scoppiare la mina afghana proseguono,  persino l’accusatore La Russa si ammorbidisce: «Lo abbiamo detto fin dal primo momento: abbiamo il dovere e il diritto di pretendere che siano garantiti ai tre italiani arrestati in Afghanistan tutti i diritti processuali e prima ancora umani, e noi vogliamo verificare che siano costantemente rispettati».

Il ministro della Difesa sorvola sulle questioni di merito e si concentra sull’aspetto burocratico: «Si tratta – aggiunge- di conoscere in tempi brevissimi l’esatto capo di imputazione, che conosciamo in generale ma non nel dettaglio; di poter essere difesi adeguatamente; di poter avere la visita del rappresentante diplomatico italiano e di poter avere un processo o una istruttoria rapidissime, la più veloce possibile perché possa essere definita ogni ipotesi di responsabilita’ e noi ci auguriamo ogni ipotesi di estraneità da tutte le accuse».

Mercoledì sera, però, la situazione si complica, arriva una nuova pesante accusa da parte delle autorità di Kabul: il chirurgo Marco Garatti sarebbe coinvolto nel sequestro del giornalista di “Repubblica” Daniele Mastrogiacomo, preso in ostaggio dai talebani nel 2007. Avrebbe intascato una parte del riscatto (500mila dollari) e sarebbe complice nell’omicidio dell’interprete dell’inviato. Un’accusa che però risulta difficile da provare visto che Garatti, all’epoca del sequestro Mastrogiacomo, si trovava – ha fatto sapere Emergency – in Sierra Leone per l’organizzazione.

A cinque giorni dall’arresto, nessun politico italiano parla più del presunto piano per uccidere un governatore afghano durante una visita nell’ospedale, delle armi nascoste e dei dollari apparentemente riscossi dagli italiani insieme ad altri complici. Lo aveva denunciato sabato il portavoce dell’amministrazione provinciale Daud Ahmadi, spiegando la “soffiata” avuta dalla polizia afghana.

Nel pomeriggio di giovedì la lettera di Berlusconi a Karzai arriva a destinazione e ancora i tre operatori sono in stato d’arresto. Per sabato 17 aprile è stata indetta una manifestazione di solidarietà a Roma, sul web si moltiplicano gli appelli per la liberazione degli operatori, a molti sembra tutta una montatura che presto cadrà. Intanto l’ospedale di Lashkar-Gah non è più una struttura di Emergency. Lo ha di fatto disposto il governatore di Helmand mandando la polizia a presidiarla come ha confermato amareggiato lo stesso Gino Strada che, visto quanto è successo, «non la riconosce più come sua».