Berlusconi: “ricaduta” a Gennaio. Ma Fini e Bersani sono già nella buca

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 15 Dicembre 2010 - 15:17 OLTRE 6 MESI FA

Per Silvio Berlusconi premier la “ricaduta” è prevista a gennaio, ma Fini e Bersani stanno peggio: sono già nella buca. A metà gennaio forse Bossi si stufa di tenere sulle spalle un governo che senza maggioranza alla Camera (tre voti non bastano certo) non riesce a governare. Metà gennaio, un mese di tempo è quello che Bossi avrebbe dato a Berlusconi per “allargare” la maggioranza e irrobustire il governo. Poi, a metà gennaio, sarà giunto per la Lega il momento per “staccare la spina” più o meno d’accordo con Berlusconi stesso e andare a elezioni anticipate a marzo, fine marzo, il 27. Il “calendario” lo ha steso Maroni e ha tenuto a renderlo pubblico.

Allargare, ma a chi e come? Se si leggono bene le parole di Frattini si capisce che, più e prima ancora del tirar dentro il governo e la maggioranza Casini e l’Udc, Berlusconi ha in testa la “conquista” di altri parlamentari di Futuro e Libertà. Al Pdl dicono di averne sette nel mirino, quelli di Fini dicono che “chi se ne doveva andare se n’è andato”. Mettiamo che la verità sia più o meno in mezzo: se i tre voti di maggioranza diventano sei non è che cambi la sostanza di un governo che legifera a singhiozzo. E “prendersi” l’Udc? Berlusconi ha un potente alleato: niente meno che il Vaticano. Gli addetti alla politica italiana della Chiesa cattolica non fanno mistero di gradire un’alleanza tra Berlusconi e Casini, Berlusconi non fa mistero di avere simile sponsor. Ma sulla strada ci sono due macigni: Berlusconi non vuole dimettersi, né oggi né mai. E, se lui non si dimette, cioè non cambia immagine, composizione e programma di governo, l’alleanza per Casini diventa annessione di fatto al Pdl. Per quanto il Vaticano prema, Casini “ha già dato” e l’annullamento politico, sia pur condito di doni, non lo affascina, tanto meno seduce. Non è poi una grande tentazione cui resistere.

Il secondo macigno, ancora più grosso, è il costo dell’operazione, costo in denaro. Berlusconi ha dato mandato a Tremonti di calcolare quanto costa al bilancio il “quoziente familiare” che l’Udc vuole in materia di tasse. Quoziente, cioè se un single guadagna cento e paga di tasse trenta, una famiglia che tutta insieme guadagna cento di tasse paga meno di trenta. Il meno è in proporzione al numero dei componenti della famiglia. Se poi la famiglia arriva a cento di reddito con due entrate da cinquanta, allora le tasse pagate non sono venti più venti, ma venticinque in tutto. Le aliquote insomma vengono corrette al ribasso dal quoziente familiare e non si calcolano più sul reddito del singolo ma sulla famiglia appunto. Tremonti non avrà molto da lavorare: il quoziente costa tra i cinque e dieci miliardi annui nella versione più soft, miliardi che non ci sono.

Di macigno ce n’è anche un terzo: il federalismo. Vero che Bossi ha bofonchiato: “Nessun veto all’Udc”. Ma ha aggiunto pure: “Il problema è il federalismo”. Il federalismo fiscale e territoriale scritto dalla Lega non è accettabile per l’Udc e viceversa. Vero che in politica tutto si può fare, ma solo se conviene. E “l’allargamento” all’Udc di governo e maggioranza conviene solo a Berlusconi, non alla Lega e neanche all’Udc.

Quindi a gennaio Berlusconi rischia la “ricaduta” più o meno pilotata verso elezioni anticipate. Ma gli altri stanno peggio e non è vero che la vittoria del 14 dicembre sia stata solo e soprattutto una “vittoria di Pirro” come dice Bersani e non è vero che in fondo poco o nulla è cambiato, illusione cullata da alcuni finiani. Fini sta peggio, peggio di Berlusconi. Rischia grosso di perdere qualche altro pezzo e ha perso la primogenitura del cosidetto “terzo polo”. Ora in quest’area politica le carte le dà Casini. E Bersani sta peggio ancora degli altri due: se si va a votare il Pd subisce la doppia erosione di voti che possono andare al “terzo polo” e di voti, tanti, che andranno a Vendola. Il Pd a gennaio arriva senza un obiettivo politico praticabile: Berlusconi ha dimostrato in Parlamento che un altra maggioranza e un altro governo senza di lui non sono possibili e neanche politicamente legittimi. Fine dunque di ogni ipotesi di governo nazionale, d’emergenza o tecnico, se ne faccia una ragione D’Alema.

Perfino la nuova legge elettorale che doveva essere la prima pietra di questo tipo di governo è stata disfatta dalle sapienti mani incrociate dei vari oppositori di Berlusconi. Una bozza d’accordo era stata stesa: circa il 45 per cento dei seggi da assegnare in collegi uninominali con il doppio turno, circa il 45 per cento dei seggi da assegnare con metodo proporzionale e circa il 5 per cento dei seggi riservati come “diritto di tribuna” ai partiti che non superavano una soglia di sbarramento fissata al 5 per cento dei consensi. Era stata una stesura faticosa, alla fine Vendola ha detto no: con il doppio turno il candidato premier ovviamente si indica al secondo turno e quindi le primarie perdono di senso. E Vendola, senza primarie, può prendere anche il sette per cento, perfino il nove, ma non può “prendersi” il Pd e quindi la laedership di schieramento. E Di Pietro? C’era una volta “l’unico partito di vera opposizione”, così si chiamavano all’Idv. Prima di Razzi, Scilipoti, prima di una discreta e ripetuta inflazione di “Giuda”.

Quindi, anche se rischia la “ricaduta”, Berlusconi si è preso un bel ricostituente: ha stretto la politica nel bivio in cui voleva stringerla, lui premier oppure elezioni anticipate. Morde nella carne viva di Fini, ha umiliato Di Pietro per interposti Razzi e Scilipoti, ha lasciato Bersani nudo al freddo di una deserta banchisa politica. A volerla guardare con un po’ più di prospettiva storica, alzando lo sguardo dalla cronaca del 14 dicembre, si vede come  “risolvere” il problema Berlusconi sia stato e continui ad essere un compito assegnato alla destra: ci provò, fallendo, Casini, ci ha provato, fallendo, Fini. Ora toccherà, se vorrà, a Bossi. A sinistra qualcuno, pochi, se n’è accorto. E questo è segno di lucidità. Qualcuno, troppi, a sinistra se ne consola. E questo è segno di cecità.