Esili liberalizzazioni di Governo: la shampista sì, l’avvocato no

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 19 Ottobre 2011 - 11:07 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Liberalizzare le professioni sì, ma come? Secondo il Governo la shampista va bene, l’avvocato no. Il grossista di verdura è ok, il commercialista no. Il facchino sì, il notaio no. Sarà che il Parlamento non trabocca certo di estetisti e spedizionieri, ma la prima bozza del decreto sviluppo firmata dal ministro Romani, non sembra ispirata al massimo del coraggio riformatore. La necessità inderogabile di una “piena liberalizzazione dei servizi professionali” fa anche parte del pacchetto di consigli/imposizioni contenuto nella famosa lettera del 5 agosto della Bce. E’ inderogabile liberalizzare le professioni per aprire il mercato dei servizi e promuovere la crescita.

Nella bozza del ministro Romani sono contenute misure oggettivamente necessarie per spazzare via norme e divieti del tutto anacronistici. Per esercitare la professione di “commissionario di prodotti ortofrutticoli, carne e prodotti ittici”, per fare il grossista insomma, occorre tuttora iscriversi ad un apposito albo. Per avviarsi ad un mestiere come il facchino, l’acconciatore, l’estetista bisogna prima ottenere una complicatissima licenza, ai sensi di una legge del 1941. E lo stesso vale per pesatori pubblici, imprese di pulizie e spedizionieri. Ora il Governo punta, giustamente, a sostituire le vecchie certificazioni, abilitazioni, licenze, con la più semplice “Scia” (segnalazione certificata di inizio attività). Si tratta di un’autocertificazione dell’aspirante imprenditore che dichiara al Comune l’inizio delle attività: se l’autorità Comunale non eccepisce nulla entro 60 giorni, vale il silenzio-assenso e la pratica è finita lì.

Tuttavia, la bozza Romani, nulla dice su quella che è considerata l’aristocrazia delle professioni liberali: non una riga è dedicata appunto ad avvocati (tra Camera e Senato sono 147 gli iscritti all’albo forense), commercialisti e notai, dove fortissime sono le barriere per l’ingresso nella professione. Le “lenzuolate” di bersaniana memoria sono diventate, se possibile, ancora più ristrette. Hanno il vantaggio, per l’esecutivo in carica, di essere a costo zero: come prescrive Tremonti e come dispone la lobby di avvocati. Come dimenticare che a luglio sono bastati 58 deputati, (44 avvocati,  13 medici e un notaio) a far rimangiare al governo un pezzettino di manovra, quello che avrebbe di fatto abolito gli ordini professionali? E infatti il Governo, pur di ottenere la fiducia, ritirò precipitosamente il provvedimento. Tecnicamente si chiama ricatto, per saperlo non è richiesta l’iscrizione all’Albo.