L’Italia di Berlusconi non è l’Egitto, ma il suo futuro è molto cupo

di Marco Benedetto
Pubblicato il 14 Febbraio 2011 - 07:59| Aggiornato il 15 Febbraio 2011 OLTRE 6 MESI FA

Quel che è successo in Egitto porta a un paragone con l’Italia. Due paesi, con tantissime differenze e una cosa in comune: l’Egitto è stato governato da un autocrate che nel tempo ha assunto sempre più le caratteristiche degli antichi sovrani del Nilo, l’Italia da un uomo che vorrebbe tanto essere qualcosa di simile: re, imperatore, duce, faraone. L’ultimo dei faraoni egiziani ha dovuto lasciare il potere per una diffusa rivolta popolare. L’aspirante faraone, quello italiano, faraone forse già nella autostima e nella concezione dell’intima sua vita, è sotto costante attacco politico e giudiziario, per una serie di sue malefatte: non è una rivolta popolare, anzi una parte almeno del popolo è con lui, l’attacco viene invece da importanti componenti dell’establishment. Quale che sia il giudizio morale che si possa dare sulle sue azioni, di oggi e di ieri, resta incerto l’esito dei giudizi aperti e controverse le ragioni per quelli chiusi, mentre il giudizio politico è affidato per ora a continui ripetuti sondaggi d’opinione, in attesa della prova del fuoco, le elezioni.

Il paragone tra i due casi non è nelle cause delle proteste, estremamente diverse, al di là della visione imperiale che di se stessi hanno i due personaggi, ancorché quasi ieratico l’egiziano, buffonesco l’italiano. Il paragone è nelle illusioni che nutrono entrambi gli schieramenti che li hanno attaccati e attaccano. Gli egiziani sognavano la democrazia e si sono trovati sotto i militari, metà degli italiani sogna di “mandare a casa” Berlusconi incurante di sapere cosa li aspetta dopo: là come qua l’importante è rimuovere il faraone.

Il paragone è anche nel dibattito messo in moto nelle due ribellioni, sui limiti della democrazia, sulla sua legittimazione, sui suoi valori assoluti o la sua relatività. Si tratta di un tema delicatissimo, perché può scottare, è un tema che ha tormentato il mondo da quando la civiltà ci ha dato le leggi. Quali leggi sono assolute, quali sono contingenti, Socrate si sottomise alle leggi e anche Eichmann, chi aveva ragione e chi torto?

Se guardiamo all’Egitto forse è più facile, perché più remoto. Democrazia in quella parte del mondo vuol dire scivolare nella democrazia religiosa, che sempre democrazia è, perché se la sono voluti loro in libere elezioni, ma non corrisponde certo alle coordinate che noi in Occidente pensiamo. D’altra parte, mentre i bolscevichi sono andati al potere per via rivoluzionaria, nazisti e fascisti hanno visto i loro duce e füher legittimati dal responso delle urne.

E allora, parlando dell’Egitto, meglio andare a libere elezioni, come la logica degli ideali democratici assoluti porterebbe, per poi rischiare un’altra Gaza (leggi Iran) o ringraziare i militari, come, facendo finta di niente, è stato fatto per cent’anni in Turchia? L’esempio della Turchia porta a un’altra riflessione: che anche un partito filo islamico come quello che oggi siede ad Ankara non può fare proprio tutto quello che vuole in un paese cresciuto in questi ultimi cinquant’anni, in una società pluralista e articolata.

Ma l’Italia non è l’Egitto e nemmeno la Turchia. è un paese ricco anche se non ricchissimo, articolato e strutturato. Allora la domanda diventa se sia giusto negare legittimità democratica al governo guidato da un peccatore, non pubblico ma le cui colpe siano diventate pubbliche e contemporaneamente invocare il valore assoluto della legge, magari dimenticando che le leggi sono delle convenzioni e che nascono dalla volontà popolare e possono sempre essere modificate, con vincoli più o meno estesi di consenso.

Non è una questione da poco, perché nelle due posizioni ci sono principi sublimi e vizi assoluti, che portano a temi come la vita  e la morte, la legittimità di uccidere e di negare la vita, che ritornano e ritornano in quel videogame da incubo che è il cammino dell’umanità.

Sono temi affascinanti, di quelli  che ci stai su notti intere a discutere.