Ed election day sia: il 10 marzo. Braccio di ferro poi il sì, ma…

Pubblicato il 16 Novembre 2012 - 19:40 OLTRE 6 MESI FA
Il vertice al Quirinale, si è parlato anche di election day (foto Ansa)

ROMA – Sarà election day e sarà il 10 e 11 marzo 2012. Quei giorni certamente alle urne andranno Lazio, Lombardia e Molise: è un mese dopo quanto stabilito appena due giorni fa dal ministero dell’Interno, ma la sostanza non cambia. E in quei due giorni, molto probabilmente, si andrà alle urne anche per le politiche. Ufficiale non è ma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo fa capire chiaramente. A patto che il Parlamento, nel frattempo, concluda il lavoro che il Quirinale considera indispensabile: approvazione della Legge di Stabilità e soprattutto nuova legge elettorale.

Il Vertice. Al tavolo, al Quirinale, si sono seduti in quattro, le quattro più alte cariche dello Stato. E da quel tavolo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quello del Senato Renato Schifani, quello della Camera Gianfranco Fini  e quello del consiglio Mario Monti, si sono alzati due ore dopo. Con una data che per ora vale per le elezioni Regionali di Lazio, Molise e Lombardia, quella del 10  marzo. 

Ma tutto lascia pensare che la stessa data sia anche quella delle politiche. Lo fa capire più chiaramente possibile, pur nei limiti di protocollo delle note istituzionali, Napolitano che a fine incontro in una nota fa sapere che è “sconsigliato un affannoso succedersi di elezioni”. Tradotto: si voti nella stessa data, folle imporre due elezioni in un mese. C’è un però. Napolitano per concedere la data vuole che si finisca il lavoro sulla legge elettorale. E lo mette nero su bianco:

“L’esigenza di regole più soddisfacenti per lo svolgimento della competizione politica e a garanzia della stabilità di governo, e le aspettative dei cittadini per un loro effettivo coinvolgimento nella scelta degli eletti in Parlamento, rendono altresì altamente auspicabile la conclusione – invano a più riprese sollecitata dal Presidente della Repubblica – del confronto in atto da molti mesi per una riforma della legge elettorale. Il Capo dello Stato ha richiamato l’orientamento e l’impegno a concordare tale riforma che erano risultati gia’ dagli incontri da lui tenuti alla fine dello scorso mese di gennaio con gli esponenti dei cinque partiti rappresentati in Parlamento”.

Quella dell’election day il 10 marzo è una soluzione di compromesso che, in verità, è più vicina alle richieste del Pdl che a quelle del Pd. Ma è una soluzione che anche a sinistra, per esempio tra Sel e Idv, raccoglie consensi. Un unico election day, con regionali e politiche accorpate  piace al centrodestra perché eviterebbe il rischio di doppio schiaffo: perdere, come è sondaggi alla mano probabile, in Lazio e Lombardia a febbraio, creerebbe un effetto depressivo ad aprile. E altri due schiaffi elettorali, dopo la Sicilia, sarebbero un colpo letale per le speranze di Angelino Alfano. Il Pd, ovviamente, puntava al traino della doppia consultazione una a febbraio ed una ad aprile. Pdl voleva accorpare tutto ad aprile. Ne esce un accorpamento anticipato che trova subito il gradimento di Alfano che si affida a Twitter: “Ok comunicato Quirinale. Si va verso election day, prevale buonsenso, prevalgono le nostre buone ragioni. Risparmiati 100 milioni”.

A favorire la soluzione ci si è messo anche il Consiglio di Stato  com una sentenza che indirettamente  spingeva proprio  in direzione dell’election day. E’ la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta del governatore dimissionario Renata Polverini sospendendo in via cautelare la sentenza del Tar del Lazio che imponeva alla presidente della Regione  di indire le elezioni entro fine settimana. Niente obbligo di votare a Natale, quindi. E possibilità di prendere tempo e accorpare il voto regionale con quello politico.

Una volta deciso definitivamente quando si voterà resterà aperto l’altro grande problema, quello del “come” si voterà. E nonostante le preoccupazioni di Napolitano (definito da Emma Bonino uno “stalker” sulla questione legge elettorale), là l’accordo è ancora più difficile perché per cambiare una legge elettorale non basta l’indicazione delle 4 più alte cariche dello stato, serve un voto del Parlamento. Che sulla questione è tutt’altro che compatto.

Ogni partito si fa i conti: Pd sa che vince ma che non vince abbastanza e per governare davvero ha bisogno di un premio di maggioranza cospicuo, Pdl sa che perde ma che se il Pd non vince abbastanza può rientrare dalla finestra. E allora la governabilità tanto chiesta in passato torna accessorio sacrificabile ad una “rappresentanza reale” del voto degli italiani. Udc sa che se il premio è calibrato bene per governare chiunque vinca dovrà bussare alle porte di Casini. E infine c’è Grillo: ai partiti serve una legge che “minimizzi” per quanto possibile l’impatto dell’ingresso dei Cinque Stelle al Parlamento.