Lavoro, Rai, Giustizia e forse fiducia sull’art. 18: il piano di Monti

Pubblicato il 29 Marzo 2012 - 08:39 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti (Lapresse)

TOKYO – “Io voglio unire, non dividere. Voglio trovare soluzioni che facciano avanzare il Paese, non creare problemi che spacchino partiti o parti sociali”. Mario Monti è appena rientrato dalla cena ufficiale con le autorità giapponesi, e al telefono con la squadra dei suoi collaboratori di Palazzo Chigi fa il punto di fine giornata. Giornata dalla due facce per Monti. In Giappone il presidente del Consiglio incassa l’ennesimo successo in termini di credibilità e prestigio internazionale. In Italia registra invece un ulteriore inasprimento dei rapporti politici, in particolare con il Pd.

Per questo Monti ci tiene a raffreddare il clima. “Non ho mai inteso mancare di rispetto alle forze politiche – chiarisce con il suo team – e sono io il primo a lavorare per cercare misure condivise. Anche sulla riforma del mercato del lavoro”. Monti al telefono mette quindi a punto la scaletta delle cose da fare. E non sono poche. A partire dal Lavoro. Lo staff della Presidenza del Consiglio, insieme al ministro del Welfare Fornero e con gli uffici giuridici del Quirinale, ragioneranno sulla stesura del testo del ddl. Al rientro dall’Estremo Oriente, il premier troverà quel testo sulla sua scrivania, e deciderà il da farsi sul capitolo “Disciplina sulla flessibilità in uscita e tutele del lavoratore”.

Una cosa è certa, e Monti lo ribadisce: “Qui non c’è qualcuno che deve fare passi indietro, semmai tutti insieme dobbiamo fare un passo avanti”. Il premier vuole evitare una “conta” in Parlamento sull’articolo 18, che spaccherebbe la maggioranza e i partiti che la compongono.

Poi altre due questioni: la giustizia e la Rai. Sul primo, dopo l’incidente della telefonata di Cicchitto e alla vigilia del vertice di domani tra la Severino e i tecnici del tripartito, il “mandato” è chiaro: non si accettano “trattative”. Sulla Rai i tempi sono più lunghi e se ne riparlerà dopo il primo turno delle amministrative, ma anche qui la linea è tracciata: il premier vaglierà i nomi del nuovo cda e sceglierà il nuovo direttore generale (resistendo alle pressioni di chi in queste ore punta a una riconferma di Lorenza Lei) in totale autonomia dalle segreterie di partito.

Ma è il provvedimento sul mercato del lavoro al centro dello scontro. Poco importa se le tensioni provocate hanno incrinato anche i rapporti con il Colle. Il premier ne fa una questione di principio e una di merito. È pronto infatti alla mediazione sull’articolo 18, nel senso che è pronto a discutere una diversa formulazione della norma, ed è disposto ad accettare una “soluzione alternativa che sia confacente”. Se così non fosse, però, presenterebbe il testo redatto dal governo, lo sigillerebbe con il voto di fiducia, e a quel punto però “ognuno ne trarrebbe le conseguenze”.