ROMA – Messaggio da Camusso Susanna a Monti Mario, e per conoscenza al Parlamento: “Le tensioni sociali sono già evidenti”, ha detto il segretario della Cgil, parlando della reazione di un “Paese attraversato da scioperi e mobilitazioni” alla riforma del lavoro. Scioperi che secondo la Camusso dimostrano quanto la società italiana “non sia disponibile ad avere una riforma che permette licenziamenti facili, discriminatori, delle persone più deboli”.
La disfida sull’articolo 18 non è finita, l’ha riaperta lo stesso Monti annunciando che la sua riforma sarebbe stata sottoposta al Parlamento come un disegno di legge e che il testo della riforma era stato approvato dal governo “Salvo Intese”.
Un “salvo intese” che Monti si è affannato a precisare, spiegando che non era un’apertura ai partiti, al Parlamento, in particolare al Pd, che è quello più in difficoltà fra i tre pilastri che sostengono l’attuale maggioranza. (Il Pdl, da quando Monti si occupa di lavoro, si è riscoperto particolarmente “Montiano”). Quanto cambierà la riforma (qui la versione integrale) scritta dal ministro Elsa Fornero fra Camera e Senato? Camusso e Bersani sperano molto, Monti garantisce poco.
E ognuno contrappone all’altro la propria percezione del Paese. Se la segretaria Cgil parla di “tensioni sociali già evidenti”, Monti da Tokyo ha “l’impressione che la maggioranza degli italiani percepisca questa riforma del lavoro come un passo necessario nell’interesse dei lavoratori”. E fa notare che “nonostante alcuni giorni di declino a causa delle nostre misure sul lavoro questo governo sta godendo un alto consenso nei sondaggi, i partiti no”. Al Monti giapponese replica un Bersani portoghese: “O politici e tecnici convincono insieme il Paese o sotto la pelle del Paese ce ne è abbastanza per prendere a cazzotti politici e tecnici”. Sostiene Bersani che “il dibattito stucchevole tra politica e tecnica è come il battibecco tra i polli di Renzo. Quando sento la parola partiti non mi trovo. Io ho un nome e un cognome e mi chiamo Pd e sto cercando, correndo rischi seri, di collegare il sostegno al governo con la sensibilità verso un paese ammaccato e profondamente segnato dalla crisi e dagli effetti delle politiche di risanamento”.
Si potrebbe titolare: “Monti e Bersani, mai così lontani”, e non solo per i nove fusi orari che separano Tokyo da Lisbona. Eppure solo nello scorso weekend erano a pranzo insieme, sorridenti e paciosi, in quel di Cernobbio. Quindi? Forse il senso del Bersani-pensiero è solo un “Monti, tienimi che ti tengo”.
Ma non di soli Monti e Bersani vive l’attualità politica. C’è il famoso, indefinito, quasi sfumato in un’aura messianica, “pressing dell’Europa”, che ci spinge a tagliare il Welfare e aumentare le tasse, salvo poi scoprire che in Europa c’è più Welfare e meno tasse che in Italia. Ci sono i sindacati uniti, Cgil, Cisl e Uil, che venerdì 13 aprile scendono in piazza a Roma, contro “l’intervento disastroso sulle pensioni”, per il nodo della “platea di esodati”, e sul “tema delle ricongiunzioni onerose”. C’è il presidente Giorgio Napolitano che, come al solito, media.
E c’è il solito Antonio Di Pietro, il Filippo Inzaghi della politica: lesto, efficace quanto brutto a vedersi e sempre sul filo del fuorigioco. Ha deciso di riverniciare la sua Italia dei Valori con una tinta operaista, approfittando del vuoto lasciato a sinistra dal Pd e cercando di occupare la casella libera prima che lo faccia Sel di Nichi Vendola. E se Napolitano è il pompiere, Di Pietro è l’incendiario: “Qualora questo Parlamento dovesse approvare la modifica dell’articolo 18 l’Italia dei Valori presenterà un referendum”.
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