Scusi ministro, lei ci sarà alla festa? Da Maroni “arrivederci” all’Italia

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Maggio 2010 - 18:02| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

“Arrivederci”: con una sola parola il ministro degli Interni della Repubblica italiana ha dribblato, eluso, liquidato la domanda dei giornalisti. Volevano sapere se Maroni aveva in agenda una sua partecipazione alle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia. Maroni ha risposto in maniera stringata, apparentemente laconica, ma assolutamente esauriente: c’è molto e molto chiaro in quel suo “arrivederci”. E’ infatti solo apparentemente un “arrivederci” al quesito fastidioso di cronisti petulanti. E’ molto più di un “no comment” sulla voglia e sui sentimenti leghisti riguardo alla ricorrenza “tricolore”. E’ un “arrivederci” all’Italia, allo Stato unitario e nazionale, all’Italia che per i leghisti già non è più, a quell’Italia che per la Lega è già l’Italia che fu.

Sono coerenti i leghisti: da tempo non partecipano al 2 giugno, alla ricorrenza della fondazione della Repubblica italiana. Da tempo il fondatore e leader Umberto Bossi ha fatto sapere cosa pensa della bandiera tricolore, più recentemente il figlio-erede, la “trota” Renzo ha ribadito che è roba vecchia e stantia. Da tempo e con chiarezza mostrano il fastidio che li coglie quando devono ufficialmente dichiararsi italiani. Nelle ultime ore lo hanno confermato Calderoli, ministro e appunto Maroni, ministro. Ministri di uno Stato che appunto amministrano e governano ma che in alcun modo vogliono rappresentare. Al 150 compleanno dell’unità d’Italia i leghisti hanno lesinato soldi ed attenzione. Non si contano le dichiarazioni e gli inviti leghisti a “non buttare via soldi”. E non erano solo parole, si è trattato di un “muro” che ha indotto molti del Comitato per le celebrazioni a gettare la spugna, a dimettersi, primo fra tutti l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Non c’è dunque sorpresa, anche se resta sorprendente la circostanza tutta italiana per cui ministri che hanno giurato fedeltà alla nazione italiana di celebrare quella nazione dichiarano di non aver voglia nè motivo. Sorprendente semmai è che in questo singolare paese siano i Vescovi, insomma la Chiesa cattolica contro la quale l’unità d’Italia in certa misura si realizzò, a farsi in qualche modo carico del tricolore e di qurl che significa. Per il Cardinal Bagnasco la ricorrenza è l’occasione da cogliere per “reinnamorarsi dell’essere italiani”. I 150 anni dell’Italia Stato e nazione cominciano il prossimo cinque maggio a Genova e termineranno nel 2011. L’idea leghista è chiara ed esplicita: l’anno di celebrazioni che si apre sarà il centocinquantesimo e soprattutto l’ultimo di uno “sbaglio” della storia cui il federalismo in arrivo porrà riparo. Napolitano ha detto che pensare così è pensare “fuori dalla storia”. Tutti l’hanno applaudito o hanno fatto finta di non sentirlo, leghisti in testa. Si resta in attesa di una parola, almeno altrettanto chiara di quella leghista, da parte di Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio che ama definire se stesso una “istituzione”, insomma un pezzo di Stato, fino a prova contraria ancora quello italiano, in carne ed ossa.