Togli un Faraone, spunta un Khomeini? L’impossibile democrazia se cade il “Muro Arabo”

Pubblicato il 3 Febbraio 2011 - 15:46 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Togli un Faraone, fai spazio a un Khomeini? E’ una regola, un destino, o solo un rischio o meno ancora una pigrizia della mente e dell’animo di chi osserva e immagina solo sulla base di quanto è già successo una volta e un tempo? E’ già successo nel 1979 a Teheran, si ripete più o meno uguale oggi, anzi domani a Il Cairo? Perché non potrebbe andare diversamente, perché la caduta del “Muro Arabo”, dalla Tunisia all’Algeria, dall’Egitto alla Giordania, dalla Siria allo Yemen, dall’Arabia Saudita fino alla Libia non potrebbe finire in democrazia invece che in islamica teocrazia? Da Washington a Londra, da Parigi a Berlino (l’Italia è un po’ distratta da altre casalinghe vicende) sperano che stavolta possa andare così, che tolto un Faraone non venga un Khomeini ma s’avanzi una araba democrazia. Speranza doverosa ma alquanto poco sorretta dai dati di fatto.

Una democrazia arriva, in qualunque punto del pianeta e della storia, quando ci sono precise condizioni. Ceti “intermedi”, non classe media. Cioè corpi sociali, magistrature, professioni, forze armate, sindacati, imprenditoria che fanno da argine e regolatori alla volontà popolare e la incanalano nelle istituzioni. Classe media di reddito maggioritaria rispetto alle quote di popolazione indigente oppure sproporzionatamente ricca. Tecnologie innovative applicate alla produzione industriale che consentono la produzione e accumulazione di una ricchezza nazionale da distribuire, sia pure in maniera ineguale, a tutti i gruppi sociali. Laicità delle istituzioni e cultura condivisa per cui ogni potere conosce contro potere che lo limita. Ideologia e religione civile che colloca la fonte della sovranità nel “patto sociale” diventato Carta Costituzionale e non nel “Libro dei Valori”. Tutto questo non mondo arabo scarseggia o non c’è per nulla. La democrazia araba dovrebbe nascere in assenza di surplus ecomonico da redistribuire, in assenza di welfare garanzia e ammortizzatore sociale, in assenza di istituzioni e corpi intermedi, in assenza di una laicità dello Stato. La democrazia dovrebbe nascere per partenogenesi dal “processo elettorale”, cioè fai le elezioni e avrai la democrazia. In queste condizioni, dando e praticando solo il diritto di voto, la democrazia non sarebbe nata e vissuta neanche in Occidente. Non solo Hamas è stata votata per via elettorale, è toccato anche ad Hitler ed è tutt’altro che escluso che Stalin, se avesse fatto votare l’Urss nel 1946, non  avrebbe raccolto la maggioranza dei voti.

Non c’è bisogno di invocare o agitare il Fattore M, “Muslims”, per dubitare dell’avvento della democrazia nei paesi arabi una volta caduto il muro dei regimi autocratici e autoritari, basta l”analisi socio economica e istituzionale di quei paesi. Comunque il fattore M esiste, eccome se esiste. Non è questione di islamismo e di Islam. Non è “quella” religione che è allergica e funziona da antidoto alla democrazia. In società senza istituzioni, corpi intermedi e risorse economiche qualunque “religione” funziona automaticamente come ideologia di supporto e sostegno. Serve, viene impugnata dalle popolazioni per individuare un nemico esterno e una missione “salvifica”. Lo Stato, qualunque Stato, resta e vuole restare “Chiesa” fino a che non esistono le condizioni materiali perché la separazione non sia vantaggio tangibile per la maggioranza dei gruppi sociali: in Europa Stato e Chiesa si separarono, e ci misero secoli, quando la loro unione e fusione divenne ostacolo allo sviluppo economico.

Quindi, via il Faraone e nessuno lo rimpianga. E forse non sarà proprio un Khomeini. Ma democrazia è quasi impossibile che sia e leviamo pure il quasi. Democrazia che è in affanno in Occidente perché il surplus economico in Occidente è in calo e non “finanzia” più la democrazia, figurarsi in Nord-Africa e Medio Oriente. E’ faticoso dirselo ma è così e non altrimenti. Faticoso per i democratici di Occidente. Già una volta confusero la rivoluzione teocratica con l’avvento della democrazia, le bandiere verdi e le tonache nere degli ayatholla con le insegne dei diritti umani e sociali. Una coazione a ripetere fa loro appunto ripetere lo stesso errore in versione aggiornata: i giovani in piazza a Il Cairo, Tunisi o Amman non sono guerrieri o guardiani dell’Islam-Stato ma non possono essere i battistrada, gli apripista della democrazia. E’ dura dirselo e l’Occidente democratico e di sinistra infatti non se lo dice, non ce la fa. E’ dura dirselo anche per l’Occidente che alla “stabilità” sacrifica, sacrificherebbe e ha sacrificato volentieri la democrazia. Anche volendo non c’è nulla da “contenere”, l’Occidente non può.

E in qualche modo l’Occidente lo sa, infatti consuma ed estenua un dibattito-rimpianto nel segno del lamento “nessuno ha previsto”. Come se esistesse una medicina preventiva della storia, una profilassi dei fatti storici. Prevedere cosa? Ecco una previsione per i prossimi dieci anni: scontri armati in Sudan, tensioni socio economiche in Sudafrica, ulteriori frazionamenti statali nell’Africa ex francese, segmentazioni territoriali in Congo, implosione sociale in Messico, instabilità in Indonesia, divaricazione economica tra Europa del Nord ed Europa mediterranea. Tra dieci anni queste prevsioni alla portata di un profano saranno in buona percentuale confermate dai fatti. Ma prevedere non serve ad invertire la storia quando la storia soffia forte. In Occidente coltiviamo l’ideologia della invunerabilità per via di pratiche preventive. Pensiamo che qualcuno o qualcosa possa e debba esimerci dall’invecchiamento, dalla malattia, dalla crisi economica, dalla ristrutturazione industriale…E quindi perfino dai dati di fatto della storia. Dati che ci dicono che un Faraone cade e nulla può tenerlo in piedi, che un Khomeini può essere evitato se mamma storia è buona con noi ma che la democrazia araba, qui e oggi, è come l’acqua su Marte: sarebbe bello se ci fosse, tanto bello che ogni tanto sembra di vederla, ma l’acqua su Marte non c’è per la semplice ragione che non ci può essere.