Lo scienziato creatore del nucleare iraniano? Si occupava di diamanti

di Maria Elena Perrero
Pubblicato il 12 Novembre 2011 - 01:35 OLTRE 6 MESI FA

ROMA, 11 novembre – Il presunto scienziato nucleare russo Vyacheslav Danilenko, che avrebbe aiutato l’Iran nella costruzione della bomba atomica, in realtà non si è mai occupato di nucleare. I media russi smentiscono così una parte fondamentale dell’ultimo rapporto dell’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, secondo cui Teheran avrebbe ricevuto proprio da uno fisico nucleare dell’Unione Sovietica il know how per sviluppare il nucleare a scopi militari.

I media russi hanno scoperto che lo scienziato in questione si sarebbe occupato in vita sua solo di produzione di diamanti attraverso le detonazioni, cioè di nanodiamanti. Benché nel rapporto Aiea lo scienziato non venga esplicitamente nominato, si tratterebbe di Vyacheslav Danilenko, uno dei precursori nella produzione di nanodiamanti, minerali che vengono usati nella fabbricazione di lubrificanti e gomma, e che in futuro potrebbero trovare applicazioni anche in campo medico.

Contatto dal quotidiano russo Kommersant, il settantaseienne ucraino Danilenko, ora in pensione, si è rifiutato di parlare di Iran, dicendo soltanto: “Non sono un fisico nucleare e non sono il padre del programma nucleare iraniano”.

I suoi colleghi hanno confermato il lavoro di Danilenko. Vladimir Padalko, a capo di una compagnia che produce nanodiamanti, ha spiegato all’Aiea e al dipartimento di stato americano che “i nanodiamanti non hanno nulla a che fare con le armi nucleari”. Padalko ha confermato che Danilenko lavorò in Iran nella seconda metà degli anni Novanta, ma per la produzione, appunto, di nanodiamanti.

Sul Guardian, Brian Whitaker riporta la vicenda, anche se con le molle, perché, ricorda, in casi come questo si nuota in acque limacciose e inganno e controinganno sono il pane quotidiano; in effetti è possibile che la tecnologia per produrre i nanodiamanti non sia molto diversa da quella della reazione a catena nucleare, inducendo russi e iraniani a scegliere Danilenko proprio per non dare nell’occhio.

La stessa cautela è del Kommersant. Il giornale russo cita una fonte vicina a Rosatom, colosso russo dell’energia nucleare, secondo la quale  “la tecnologia dei nanodiamanti è un campo estremamente specialistico, anche se alcune competenze di Danilenko si potrebbero rivelare utili nella costruzione di esplosivi nucleari”.

Resta il fatto di come tutta la storia è nata, che induce il Guardian a questo titolo: “Perché i media Usa credono il peggio sull’Iran? Nella loro disposizione a riciclare inconsistenti storie spaventose sull’Iran, dimostrano di non avere appreso affatto la lezione dell’Iraq e delle armi di distruzione di massa”.

L’estraneità di Danilenko al campo nucleare è sostenuta anche dallo storico e analista di politica militare Gareth Porter, che tira in ballo David Albright, la fonte principale della accuse mosse dal rapporto Aiea a Danilenko. Albright, sostiene Porter, non avrebbe controllato l’accuratezza delle accuse contro Danilenko, né il percorso lavorativo di quest’ultimo.

Il rapporto Aiea sostiene che vi siano “prove evidenti” sullo sviluppo iraniano di un sistema di esplosione per gli ordigni nucleari, alla cui creazione avrebbe contribuito in maniera determinante un esperto straniero. Ma il percorso di Danilenko lo ha visto sempre – a parte un breve periodo iniziale all’Istituto di ricerca scientifica di Snezhinsk – lavorare  nel campo della sintesi dei diamanti, pubblicando a riguardo autorevoli studi sin dagli anni Sessanta.

L’Iran ha un ambizioso programma di sviluppo delle nanotecnologie, e la produzione di nanodiamanti rientrerebbe proprio in questo ambito. Lo stesso Danilenko ha confermato che il motivo della propria permanenza in Iran era legato appunto all’industria dei nanodiamanti.

Secondo Porter, lo Stato che ha informato l’Aiea della breve esperienza di Danilenko all’Istituto di ricerca scientifica russo di Snezhinsk, dove si portava avanti il programma nucleare russo, è stato Israele. In questo modo, sostiene l’analista americano, Israele cerca di influenzare l’opinione pubblica mondiale. Un compito che, secondo quanto detto dal ministro degli Esteri ai giornalisti Douglas Frantz Catherine Collins, è assolto da una specifica unità del Mossad.

In un’intervista rilasciata nel settembre del 2008, ricorda sempre Porter, Albright disse all’ispettore dell’Aiea Olli Heinonen che era stato il documento di uno Stato membro a convincerlo della tesi su Danilenko. E Albright disse che quello Stato era “probabilmente Israele”.