Libia, doppio incubo per l’Occidente: oggi il rischio di ostaggi, domani l’obbligo di intervento militare

di Sergio Carli
Pubblicato il 24 Febbraio 2011 - 14:51 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Un dispaccio di agenzia di stampa, in gergo un “take” dell’Ansa alle 12 e 36 di giovedì 24 febbraio laconicamente informa: “L’unione Europea sta cercando un appoggio navale militare per far rientrare a casa migliaia di cittadini europei dalla Libia”. Un linguaggio al tempo stesso pudico, misurato e disperato per avvertire l’Europa di quel che l’aspetta, poche righe che mettono insieme, non a caso accostano due parole: “cittadini” e “militari”. Sono i due problemi, grossi e urgenti, che l’Europa e anche gli Usa, insomma tutte le nazioni occidentali hanno di fronte alla guerra civile in Libia.

I cittadini: sono migliaia e migliaia gli europei e gli americani che sono in Libia, molti di loro cercano di andarserne, altri aspettano cercando quel minimo di sicurezza possibile. Sui moli del porto di Tripoli se ne contavano cinquemila e tutti in attesa di imbarco, imbarco che però non arriva. Il timore inconfessato ma sussurato a mezza bocca di tutti i governi è che quei cittadini occidentali possano diventare ostaggi del regime di Gheddafi, Arma di scambio, di pressione, perfino di vendetta. Lo temono a Washington soprattutto: Gheddafi ha indicato gli Usa come mandanti primi della rivolta contro di lui. Lo temono a Roma, anche se a Roma nessuno osa nemmeno sussurrarlo il timore. Ostaggi che se divenissero tali sarebbe difficilissimo andare a recuperare. Cittadini europei e americani che bisogna fare in fretta a tirar fuori, prima che possano eventualmente diventare appunto ostaggi. Non riescono a partire, non si sa se bloccati dalla difficoltà delle comunicazioni o anche da un calcolo del regime, di quel che resta del regime di Gheddafi che comunque controlla Tripoli e il suo porto.

Paura che americani, italiani, inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi possano diventare ostaggi e frenesia per ora impotente o quasi nell’organizzare l’evacuazione di massa. Da fare senza proclamarla per non “indurre in tentazione” Gheddafi e le sue milizie. E poi la seconda parola: “militari”. Militari per portarli fuori i cittadini, ma, anche quando sarà evitato e scongiurato il rischio ostaggi, anche allora i paesi occidentali dovranno usare qualche strumento militare in Libia. Libia che è già di fatto e sempre più si avvia ad essere divisa in due o tre entità sotto il controllo di forze reciprocamente ostili se non in guerra. La Tripolitania in mano a Gheddafi, il sud desertico in mano di nessuno e la Cirenaica in mano agli insorti. Affari loro? Perché mai dovrebbero comparire in quell’area militari occidentali? Perché l’Europa e gli Usa non possono permettersi, convivere con una Libia così. Anche se le ragioni “umanitarie” di un intervento occidentale non dovessero essere sentite e condivise da governi e opinioni pubbliche europee ed americane, una Libia così significa meno petrolio per tutti. Meno petrolio libico vuol dire petrolio estratto altrove più caro. E l’intero occidente, anzi l’intero pianeta, può tollerare il petrolio sopra i cento dollari a barile per una settimana, due, tre. Altrimenti tutti i calcoli della ripresa mondiale saltano, tutta l’economia planetaria entra in sofferenza: il duro calcolo lo ha già fatto il Fondo Monetario Internazionale. E anche a non voler, potendo ma non si può, consumare meno petrolio, l’occidente, Europa e Usa una Libia fatta di pezzi che si combattono non può reggerla. Significa avere una guerra che si espande e contagia l’Africa orientale e può risalire fino al Medio Oriente, fino agli altri produttori di petrolio e allora sarebbe l’Apocalisse economica, fino ad Israele e allora sarebbe…nessuno sa cosa sarebbe.

Militari dunque, ma militari come e a far cosa? Si sta già discutendo di “No Fly Zone”, zona con divieto di sorvolo, insomma ombrello aereo militare sulla Cirenaica per impedire bombardamenti. Come si è fatto nel Kurdistan iracheno. Non tanto e non solo per salvare libici nemici di Gheddafi a rischio bombardamento, quanto per impedire vengano fatti saltare i pozzi e gli oleodotti. La “No Fly Zone”, se si fa, si fa con arei militari. Di chi? Italiani per primi e poi di altri paesi europei. Operazione militare complessa, operazione politica che rischia di essere tanto obbligata quanto al di là delle risorse di tenuta e sangue freddo dei governi interessati, quello di Berlusconi per primo. E si è discusso, accantonado per ora, anche di una spedizione umanitario-militare del tipo di quella che si attuò quando ci fu il terremoto ad Haiti. Fino a che Gheddafi spara non se ne parla, ma dopo può diventare necessaria e di sopravvivenza, ancora una volta non tanto per le popolazioni libiche quanto per la stabilità economica e strategica dell’occidente. Perfino la Cina che in linea di principio è contraria ad ogni ingerenza sta valutando, la Russia è tentata: a certe condizioni non direbbe di no. Per Haiti si mosse la flotta americana, per la Cirenaica dovrebbero muoversi le flotte europee.

Oggi ostaggi potenziali occidentali e domani occidentali soldati sulla Libia o in Libia: sono problemi perfino può grandi e urgenti della temuta onda di profughi. Dalla eventuale, possibile frantumazione della Libia, dal suo collasso non potremo soltanto difenderci, occorrerà, saremo trascinati a metterci mano. L’Italia per prima. L’Italia?