Libia: l’Italia combatterà. In una retrovia che è prima linea

di Riccardo Galli
Pubblicato il 18 Marzo 2011 - 16:13 OLTRE 6 MESI FA
gheddafi

Berlusconi e Gheddafi

ROMA –Se ci sarà da sparare nei cieli di Libia, l’Italia combatterà. “Volenterosa” come Francia e Gran Bretagna proprio no, ma ci metterà “le basi e non solo” come ha comunicato Frattini dopo il consiglio di guerra del governo. “Faremo la nostra parte” ha comunicato Palazzo Chigi, più per forza di cose che per amor di scelta interventista, tirati dentro e impossibilitati a chiamarsi fuori. Farà parte di quella coalizione di Stati, appunto “volenterosi”, che su mandato Onu cercherà di mettere fine alla guerra civile che infiamma la Libia e soprattutto di impedire a Gheddafi di vincerla. Non sarà proprio  “volenterosa” perché cercherà l’Italia di mantenere un “basso profilo”, visto il suo passato di “potenza coloniale” in terra libica. Insomma l’Italia si arruola nell’esercito anti Gheddafi ma proverà a mostrare che resta nelle retrovie. A mostrare, solo mostrare, perché in una “no fly zone” la retrovia è prima linea. “No fly zone” sui cieli libici: saranno i caccia francesi e quelli britannici a sorvolare Bengasi, a impedire che l’aviazione di Gheddafi bombardi i ribelli, ad abbatterli se necessario. Ma senza le basi da cui far partire quegli aerei, nessuna “no fly zone” sarebbe possibile né pensabile. E le basi meglio posizionate strategicamente sono, per ovvi motivi geografici, quelle italiane. E non solo le basi: una “no fly zone” non è fatta solo di caccia e piste da cui decollano. Ci vogliono arei che riforniscono, aerei che disturbano le comunicazioni nemiche, aerei che pattugliano. Un sistema militare integrato di cui marina e aviazione italiana non potranno non far parte. Per motivi geografici, politici e squisitamente militari.

Il ministro Frattini ha già dato la disponibilità dell’Italia a fornire le basi di partenza per i caccia che dovrebbero e potrebbero effettuare bombardamenti mirati e difendere la no fly zone escludendo però che i nostri aerei possano partecipare direttamente alle missioni. Alle missioni di bombardamento ma non a quelle che rendono possibile il bombardamento. Meno cauto il ministro della difesa La Russa che si è lasciato sfuggire che l’Italia potrebbe partecipare anche a pieno titolo, cioè mettendo a disposizione non solo le basi ma anche gli aerei. Si è spinto fino a dire che “sono possibili raida da parte dell’Italia”.

Dopo che il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione che prevede il divieto di sorvolo e “tutte le misure necessarie per proteggere i civili” (nessun voto contrario, cinque astenuti: Russia, Cina, Brasile, India e Germania), e che il presidente Napolitano ha dichiarato: «Non possiamo restare insensibili» ai richiami di libertà e diritti che provengono dal Mondo arabo, «non possiamo lasciare che vengano calpestate le speranze» del popolo libico. Ci attendono «decisioni difficili», per il Governo italiano è ora venuto il momento di decidere. La diplomazia ha fallito, anche se sono ancora in piedi tentativi di convincere Gheddafi a mollare, l’Onu ha dato il via libera all’uso della forza, pur escludendo esplicitamente qualsiasi tipo di intervento di terra, l’Unione Europea ha fatto sapere che Bruxelles è pronta «a dare esecuzione» alla risoluzione Onu e la Nato, di cui il nostro paese fa parte, ha sottolineato che i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica sono pronti a esaminare le conseguenze della risoluzione Onu in una riunione imminente. «La Nato esaminerà questa risoluzione per capire se ci sono i presupposti per agire», ha poi precisato il colonnello Massimo Panizzi, portavoce italiano della Nato, a SkyTg24.

In testa ai paesi che premono per un intervento rapido, la Francia è quella più decisa. Il ministro francese Juppé, al consiglio di sicurezza, ha usato parole molto chiare: «Non c’è più tempo da perdere» e l’intervento militare è«questione di ore». Gli Usa, che fino a pochi giorni fa apparivano più prudenti, hanno mutato posizione temendo che Gheddafi possa «tornare al terrorismo e all’estremismo violento» se riuscisse schiacciare la rivolta. E dal canto suo l’Unione europea non ha alcuna intenzione di «riprendere più i contatti con il regime di Gheddafi». Lo ha detto Michael Mann, portavoce della rappresentante per la Politica estera europea, Catherine Ashton. Alla pressione, alla minaccia armata Gheddafi ha risposto con la proclamazione di una tregua tutta da verificare sul terreno e comunque fermando l’avanzata su Bengasi. Spera così di fermare l’attacco aereo, di riaprire i contrasti tra Russia, Cina e l’alleanza Washington, Londra, Parigi cui si è aggiunta Roma. Spera di congelare la situazione puntando sul fatto che Obama, Cameron, Sarkozy non avranno la forza diplomatica e politica per colpirlo a Tripoli. Spera Gheddafi che anericani, francesi e inglesi si fermino a loro volta di fronte al rischio di dover non solo bombardare ma anche mettere piede a terra. Spera quello europeo-americano sia solo un bluff anche se per ora riuscito. Disperatamente bluffa anche Gheddafi. Ma una mano su cui forse contava, quella italiana, Gheddafi l’ha persa. Se ci sarà da sparare nei cieli di Libia, l’Italia combatterà.