Turchi d’Europa votano Erdogan dittatore: Olanda 70%, Germania 60%…

di Lucio Fero
Pubblicato il 18 Aprile 2017 - 10:05 OLTRE 6 MESI FA
Turchi d'Europa votano Erdogan dittatore: Olanda 70%, Germania 60%...

Turchi d’Europa votano Erdogan dittatore: Olanda 70%, Germania 60%… (foto Ansa)

ROMA – Turchi d’Europa, milioni di turchi che lavorano e risiedono in Europa. In gran numero e in netta, a volte preponderante maggioranza, hanno votato per Erdogan dittatore. Anzi si può dire che con il loro voto hanno dato contributo decisivo, lo hanno fatto dittatore Erdogan.

Ufficialmente infatti il referendum si è concluso con un milione circa di voti a favore dei Sì ai pieni poteri, poteri totali, di Erdogan. Dalla metà a due terzi di questo rivendicato, ufficializzato (ma non del tutto attendibile) vantaggio è venuta, conti alla mano, dai turchi d’Europa. Quelli che vivono in Olanda hanno dato il 70 per cento ad Erdogan, quelli numerosissimi che vivono in Germania hanno dato il 60 per cento.

Mentre Istanbul e Ankara, mentre l’elettorato dei grandi centri urbani ha votato a maggioranza per il No, i turchi che vivono in Europa, invece di esprimersi in sintonia con l’opinione più liberale, moderna e laica delle loro capitali, hanno votato come l’entroterra montuoso dell’Anatolia, come le campagne, come i ceti meno scolarizzati e più legati al tradizionalismo religioso.

Perché dunque un turco che vive a Berlino, Monaco, Amsterdam, Londra, Parigi dopo anni in Europa, dopo anni di miglior condizione economica e dopo anni se non decenni in cui ha visto e goduto di libertà e diritti civili e sociali che in patria non aveva e non ha, vota come suo nonno nei villaggi dell’altopiano o come i ceti più poveri della sua gente?

Il primo motivo, evidente nella sua drammaticità (drammaticità per tutti, anche per noi) è che vota così per dispetto e astio verso l’Europa, l’Occidente, il paese che lo ospita, la cultura e si può perfino dire la “civilitation” europea. I turchi d’Europa sbattono in faccia all’Europa dove vivono il voto ad Erdogan. Non è una dichiarazione di guerra, ma di disprezzo, estraneità e alterità sì e senza dubbio. Lo stesso Erdogan, fiero, ha indicato al mondo la natura di questo voto: “Un voto contro le nazioni crociate”.

I turchi d’Europa votando in massa Erdogan hanno detto che la libertà e parità delle religioni loro non piace, anzi desta loro sospetto, disagio, repulsione. Hanno detto che al società cosiddetta aperta dove non esiste una morale di stato appare loro pericolosa e blasfema. Hanno detto che coltivano non solo tradizione e cultura turca in terra d’Europa ma anche e soprattutto nazionalismo, culto della bandiera e della diversità. Hanno detto insomma che dopo anni e decenni che vivono in Europa non amano il nostro modo di vivere e al fondo del loro cuore sono tutt’altro che integrati. Non vogliono esserlo europei e lo gridano con questo voto.

Un dramma perché i turchi sono tra le nazionalità più numerose e da più tempo in Europa. Se l’integrazione sta fallendo con loro e per loro vuol dire che l’Europa sta covando patrie di immigrati ostili ai valori, usi e costumi della terra che li ospita. Non solo il ruolo della donna, i precetti religiosi…ostili perfino all’idea della democrazia politica.

I turchi d’Europa avevano, ancor più dei loro connazionali, gli strumenti culturali e di vita vissuta per comprendere che la scelta al referendum era tra sistema democratico e sistema dittatoriale. Avevano tutti gli strumenti per capire quel che hanno capito gli elettori di Ankara e Istanbul. Eppure hanno votato per Erdogan dittatore. Perché della democrazia non sanno che farsene e comunque la barattano volentieri in cambio del nazionalismo islamista da sbattere in faccia all’Europa come rivalsa, sfida, rivincita. Un dramma sociale e storico questo decomporsi dell’integrazione, ben peggiore e più vasto dello stesso voto per la dittatura in Turchia.

Per chi avesse dei dubbi sulla definizione di dittatore e dittatura… Ciascuno definisca altrimenti, se può, un sistema-regime dove il capo resta tale fino al 2.034, dove il capo può a piacere sciogliere il Parlamento, dove il Parlamento non può fare un fiato sui decreti del capo, dove il capo nomina 12 su 15 giudici della Corte Suprema unica legittimata in teoria ad esprimersi su di lui, dove il capo nomina ministri, generali, rettori d’università e tutti i funzionari pubblici, dove il capo può sospendere senza altra autorizzazione che non sia la sua ogni libertà per il tempo che gli piace, dove vige la regola dell’epurazione per i dipendenti pubblici non affidabili per il regime, dove  il primo atto è prolungare lo stato d’emergenza in vigore da dieci mesi, dove gli arrestati ed epurati sono già trecentomila…