Consultazioni, scontro Grillo-Renzi; Kiev in fiamme: rassegna del 20 febbraio

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Febbraio 2014 - 08:18 OLTRE 6 MESI FA

Renzi all’esame del Quirinale. Il Corriere della Sera: “Il premier incaricato: sabato squadra, lunedì fiducia.”

Renzi al Colle: ci sono le condizioni Sabato i ministri, lunedì la fiducia. L’articolo a firma di Lorenzo Fuccaro:

Matteo Renzi sale al Quirinale per riferire al presidente Giorgio Napolitano l’esito delle consultazioni che lo hanno tenuto occupato due giorni e che si sono concluse con tre incontri: quello con la delegazione di Forza Italia guidata da Silvio Berlusconi, al quale è seguito il colloquio con i capigruppo del Pd e infine il «match» trasmesso in streaming con Beppe Grillo. Pri- ma di Napolitano, però, Renzi vede il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Un faccia a faccia motivato probabilmente dall’esigenza di avere una rappresentazione di prima mano dello stato dell’economia. Alla fine Bankitalia precisa che non si è parlato di «nomi», ma di «tematiche economiche». Benché non si sia ancora trovata la quadra sui ministri, al momento una cosa è certa: Renzi è fiducioso. «Dopo un giorno e mezzo molto tosto di incontri, dialoghi, approfondimenti programmatici — annuncia — sono decisamente convinto che ci siano le condizioni per fare un ottimo lavoro. Immagino di potere sciogliere la riserva nella giornata di sabato e chiedere ai presidenti del Senato prima e della Camera poi di recarmi in Aula già lunedì».

Renzi, dopo avere confermato che la maggioranza sarà composta dalle stesse forze (Pd, Ncd, Scelta civica e Popolari per l’Italia) che hanno sostenuto Letta, fa un elenco dei temi che entreranno nell’agenda politica: «Domani (oggi, ndr)lavorerò a un documento programmatico che sia il più concreto possibile e in grado di avvicinarci all’appuntamento del semestre europeo con una serie di riforme concrete, dai ta- gli dei costi della politica alle riforme costituzionali e istituzionali». Il premier incaricato indica anche i tempi: «A marzo fronteremo il mondo del lavoro, la vera priorità. Tra aprile e maggio sarà la volta del Fisco e della pubblica amministrazione, bisognerà affrontare i temi legati all’amministrazione della giustizia di questo Paese». Tutto serve, aggiunge, «per arrivare a luglio con un’Italia in grado di raccontare cosa l’Italia vuole dall’Europa e non solo cosa vuole l’Europa dall’Italia». Intanto, proprio definire i dettagli del programma nero su bianco, gli sherpa della maggioranza si vedranno oggi. Berlusconi, tornato per la prima volta in un ramo del Parlamento dopo la decadenza da senatore, esce dal colloquio Renzi annunciando di «stare saldamente all’opposizione». Tuttavia, chiarisce, «voteremo a vore di singoli provvedimenti se riterremo che siano a favore Paese». Non solo. L’apertura credito nei confronti di Renzi riguarda la persona («Sono molto contento di vedere un premier che ha esattamente la metà miei anni») e la possibilità di fare assieme le riforme, a cominciare dal rafforzamento dei poteri del capo del governo e dalla modifica del bicameralismo.

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Gli alleati riluttanti. L’editoriale a firma di Ernesto Galli della Loggia:

Potranno mai Matteo Renzi e Angelino Alfano essere buoni alleati di governo collaborando lealmente per realizzarne il programma? La cruda realtà della politica, per sua natura così legata alla logica degli interessi e ai rapporti di forza, induce a rispondere con un caritatevole forse che tende ad avere però il suono di un no reciso. Oggi i due non possono che procedere insieme, ma da domani tutto o quasi comincerà molto probabilmente a spingerli su strade opposte.

Un Renzi al governo da solo, infatti — ipotetico vincitore di elezioni che gli avessero dato la maggioranza assoluta, grazie anche a voti non provenienti dal suo schieramento — un tale Renzi avrebbe sì potuto dimenticarsi del Partito democratico e fare, dove necessario, una politica anche niente affatto di sinistra. Privo invece di una vittoria elettorale alle spalle, egli è condannato ad essere, bene o male, solo il capo del Pd. Paradossalmente ma non troppo, proprio l’alleanza con il centrodestra gli toglie spazio su questo versante, e lo obbliga a stare a sinistra, a occupare uno spazio che tenga conto di quella che attualmente è la sua sola base di consenso. Una base peraltro — intendo il Pd — che ha mostrato di non amarlo troppo, e che di certo è pronta a prenderne le distanze non appena la sua azione non dovesse essere pari alle attese. Come credere infatti che il trattamento subito da Letta non abbia ormai il valore di un precedente?

Inversamente analoga appare la situazione di Alfano. Con l’aggravante che mentre bene o male il Pd esiste, e Renzi ci deve sì fare i conti, ma ci può anche in qualche modo contare, Alfano, invece, ha dietro di sé solo il vuoto. Nessun consenso elettorale, nessuna apprezzabile filiera di poteri forti, nessun partito: il suo è l’arduo tentativo da parte di un segmento moderato-cattolico di trovare spazio fuori dalla Destra, in un Centro che da vent’anni però non esiste più. Proprio a causa di questa scarsa consistenza politica Alfano, dunque, ha innanzi tutto una necessità: non apparire un inutile satellite del Pd. Per riuscirci, più che l’essere tentato dal fare, è probabile che egli s’impegni nell’impedire che si faccia. E cioè che Renzi vada a sinistra più di tanto, che s’intesti troppe iniziative con una leadership troppo personale, che si atteggi troppo a eroe dei tempi nuovi. Anche questo, come si vede, non è un buon viatico per il governo nascituro.

La Banca d’Italia I suggerimenti di Visco a Matteo “In economia serve continuità”. L’articolo di Repubblica a firma di Roberto Mania:

Una mossa inconsueta, ma molto significativa, quella di Renzi. Sul piano politico ed economico. Certo, anche Mario Monti, nel novembre del 2011, incontrò Visco nell’ambito delle consultazioni per la formazione dell’esecutivo tecnico del dopo- Berlusconi. Lo fece a palazzo Giustiniani nel suo ufficio di senatore a vita. Ma era diverso il contesto. L’Italia era sull’orlo del baratro, lo spread viaggiava a livelli altissimi e la nostra credibilità sui mercati internazionali e presso le Cancellerie europee era crollata. In ogni caso, due anni fa, era lo stesso Monti la garanzia: professore, economista, già commissario a Bruxelles. Renzi è una novità per la politica italiana e lo è soprattutto per i nostri partner europei. Anche per questo habisogno del “timbro” della Banca d’Italia, che è poi uno dei rami della Banca centrale europea, per affermare la sua credibilità. Non basta, come è normale, il supporto tecnico della struttura di Via Nazionale nei confronti di qualunque governo.

E serve che Renzi — è il pensiero della Banca centrale — si muova in sostanziale continuità nell’azione di politica economica. Questo gli ha chiesto Visco. Poi è possibile — come sosteneva ieri sera un comunicato di Bankitalia — che non si sia fatto «alcun riferimento a nomi per il ministero dell’Economia e delle Finanze », ma è evidente che dietro la parola continuità c’è per Mario Draghi (il presidente della Bce) e dunque per Visco (membro del board dell’Eurotower) la sagoma di Fabrizio Saccomanni che con entrambi ha lavorato in Via Nazionale. E se non proprio di Saccomanni,di qualcuno che gli assomigli perché ogni anno il Tesoro deve collocare sul mercato circa 400 miliardi di euro di titoli pubblici per finanziare il nostro debito. Gli investitori non arrivano se non sei credibile.

Dopo il colloquio di ieri a palazzo Koch, dunque, è difficile che Renzi possa rilanciare l’idea di chiedere a Bruxelles di sforare il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil presentando un ambizioso piano di riforme strutturali. Visco gli ha fatto capire che non ci sono oggi le condizioni. Le riforme vanno realizzate, non basta annunciarle. E forse l’invito di Napolitano aveva pure questo obiettivo. In qualche modo creare intorno al prossimo governo Renzi, per la novità che esso rappresenta, una sorta di scudo protettivo nel rapporto con le tecnocra-zie europee, la Commissione e la Banca di Francoforte.

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Grillo-Renzi, la rissa va in streaming “Non sei credibile”.“Tu esci dal blog”. L’articolo di Repubblica a firma di Silvio Buzzanca:

«Io non ti faccio parlare, non sono democratico con voi. Non ti do fiducia per quello che rappresenti. Tu non sei credibile. Tu sei giovane, ma anche molto vecchio». Beppe Grillo in diretta streaming scaglia queste frasi contro Matteo Renzi seduto dall’altra parte del tavolo. Parole che bastano e avanzano per sintetizzare il confronto sul futuro governo fra il leader grillino e il premier in pectore che si è svolto ieri alla Camera. Con il segretario del Pd che ha pazientato per un po’, ha chiesto di potere parlare e alla fine non ha rinunciato ad una stoccata: «Guarda che questo non è il trailer del tuo show, non so se sei in difficoltà sulla prevendita ». E poco dopo gli lancia un’altra frecciata: «Beppe non sei mai stato democratico. Esci da questo blog, questo è un luogo dove c’è il dolore vero delle persone, c’è bisogno di affrontare le questioni reali». Grillo sbuffa Succo di un confronto un po’ surreale fra l’ex rottamatore ora impegnato a costruire qualcosa, e un leader che vuole radere al suolo tutto e tutti per fare nascere un’era nuova. Iniziato con qualche convenevole e qualche ringraziamento. «Io ti ho preso in giro, ma spero non ti sia offeso», dice Grillo. Ma quando mai, replica il segretario del Pd. «Non mi sono mai offeso in vita mia. Mi hai dato dell’ebete, ma ho sorriso alla grande». Renzi chiarisce subito: «Non vi chiediamo nessun accordo vecchio stile, non la fiducia». Grillo scherza: «Mi stai spiazzando. Togli le microspie ».

Ma il tentativo di colloquiare finisce qui, con un Grillo, come al solito, aggressivo e torrenziale. Eun Renzi che cerca di riportare il discorso sul tema delle cose da fare. Chiede un minuto per spiegare cosa vuole fare, cerca di parlare di Europa. Ma non c’è verso. Parla pure, dice Grillo, ma dopo 15 secondi lo interrompe di nuovo. E riattacca: «Sono qui per esprimere la nostra totale indignazione a quello che tu rappresenti. Non ci interessi, rappresenti De Benedetti e gli industriali, le banche».

Di programmi Grillo non vuol sentire parlare. È palesemente infastidito dal fatto che si trova in quella sala perché il suo blog, per una manciata di voti, ha deciso che si doveva andare a discutere con Renzi. Se la prende pure con Graziano Del Rio che siede accanto a Renzi. Stuzzica il sindaco di Reggio Emilia sulla raccolta differenziata. Quello risponde con le cifre. Il segretario del Pd invita Grillo a non provocare. La risposta: «Non ti sto provocando, sei un ragazzo. Tu ti sei messo con un pregiudicato e con un massone. Sei una persona buona ma ti sei messo con un potere marcio».

Il leader grillino poi accusaRenzi di essere incoerente e di avere cambiato idea spesso. Renzi non si fa sfuggire l’occasione: «Sei qui perché il tuo popolo sul tuo blog ti ha detto che dovevi venire quanto tu hai detto il contrario. In 30 secondi ti dico che vogliamo superare le Province, il Senato e il Titolo V. Il premier in pectore prova anche a parlare di Europa. Niente. A Grillo non interessa. Prova allora a parlare di tagli ai costi della politica. Niente da fare ancora. Perché tutto quello che si vuole fare è falso. Renzi chiede ancora il famoso minuto. «Beppe però bisogna che parli io, poi parli te. Facciamo un po’ per uno». Invito che cade nel vuoto e a questo punto si chiude. «Non te lo do più il minuto. È finita caro», taglia corto Grillo. Renzi si alza, tende la mano e dice: «Buona giornata, è stato un piacere vederti ».

Il muro di Kiev divide l’Ucraina. In guerra per l’Europa. L’articolo del Fatto Quotidiano a firma di Roberta Zunini:

Alik, Nina, Slava, Anastasia, Igor, Anna, alcuni degli studenti universitari che avevamo incontrato qualche giorno fa a Dom Ukraina – il palazzo pubblico occupato nella zona di piazza Maidan- sono sopravvissuti alla notte di fuochi sulle barricate. Ma la loro vita resta in pericolo perché, dopo essere usciti indenni dall’assalto dei berkut per liberare l’edificio, non sono tornati a casa. “Rimaniamo in piazza Maidan, pur sapendo che ormai il presidente Yanukovich è intenzionato a far entrare in azione l’esercito. Bisognerà vedere se gli sarà fedele o se alcuni battaglioni si ammutineranno”. Non vogliono arrendersi questi ragazzi che fino a due mesi fa studiavano nelle università inglesi, polacche e tedesche e poi hanno deciso di tornare per difendere i loro principi. “Non siamo qui per chiedere l’ingresso in Europa in termini burocratici ma per affermare i valori europei basati sulla libertà di espressione, dicritica, di uguaglianza di fronte alla legge e contro la mafia al potere”, mi dice Nina, una studentessaventiquatrennedilegge in un’università di Londra.

I VALORI EUROPEI dicono di averli conosciuti non solo durante i periodi di studio all’estero ma dai discorsi dei loro genitori che in questi vent’anni di indipendenza dell’Ucraina speravano si stessero consolidando per diventare prassi quotidiana. Ma dal 2010, quando è andato al potere in modo poco trasparente l’attuale presidente Yanukovich, anziché un dato acquisito sono diventati in poco tempo una chimera. “I nostri nonni e genitori non vogliono più vivere sotto una dittatura e noi ancora meno”, mi dice Alik che studia a Varsavia. Ieri pomeriggio a piazza Maidan l’hanno raggiunto la madre e il fratello. Lui è determinato a rimanerci anche se il rischio di essere ucciso o arrestato è sempre più alto. “ Ormai siamo stati definiti terroristi. Per fortuna non c’è più solo Kiev a combattere ma molte città della zona occidentale”, dice Anastasia e questo ci incoraggia. Yanukovich, che non vuol più trattare con l’opposizione, ha silurato il capo delle forze armate forse riluttante a schierarsi apertamente così come alcune squadre di poliziotti che non vorrebbero sparare sulla folla. I berkut (gli agenti speciali antisommossa) hanno invece bisogno di rinforzi. Per questo il presidente li avrebbe affiancati con dei soldati di leva. Una strategia poco convincente visto che questi giovani non sono motivati come i “ricchi” berkut o i tituska, i teppisti e criminali comuni assoldati dal governo. I probabili responsabili dell’ omicidio di un giornalista locale.