L’incubo dell’Argentina: dal miracolo a nuovo crac. Manila Alfano, Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 19 Giugno 2014 - 14:04 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo del Giornale

L’articolo del Giornale

ROMA – “L’incubo – scrive Manila Alfano sul Giornale – si chiama default e in Argentina ha l’aspetto di una malattia da cui non si guarisce mai. Oggi lo spettro del virus tor­na a fare paura”.

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L’angoscia del contagio si è già iniziata a diffon­dere. I numeri hanno già preso a girare impazziti, lo spread dei titoli argentini sui corrispon­denti titoli americani che si gon­fia a dismisura. Gli argentini hanno ascoltato il discorso a re­ti unificate del loro presidente Cristina Kirchner. È dovuta in­tervenire lei stessa, per sedare, spengere il fuoco del panico che stava divampando. perché la notizia è arrivata inaspettata e lapidaria: la Corte Suprema americana ha rigettato il ricor­so di Buenos Aires e ha vietato al Paese latinoamericano di ef­fettuare qualunque pagamen­to sul debito ristrutturato dopo il suo storico default nel 2001 se non rimborsa anche i fondi hed­ge che hanno rifiutato l’accor­do.
Insomma, niente da fare sul­lo sconto sui debiti; vanno ono­rati e fino in fondo, senza scon­ti, senza scorciatoie. Quindi lo Stato debitore paghi.«Un’estor­sione » ha detto la presidenta. Il governo argentino dovrà quin­di pagare 1,33 miliardi di dolla­ri ad alcuni possessori di titoli di stato che non accettarono la ristrutturazione successiva al default argentino del 2001 e il Paese oggi rischia di assistere impotente al secondo, terrifi­cante, incubo default.
Si corre ai ripari e per il mo­mento sembra che funzioni. I bond argentini con scadenza nel 2033 cedono sì 2 punti circa ma la temuta corsa verso l’usci­ta non c’è stata. La sensazione sui mercati sembra dunque es­sere che l’esecutivo di Christi­na Kirchner cercherà ogni stra­da per evitare il default, compre­sa quella negoziale nonostante le dichiarazioni di facciata se­condo cui non intende farsi espropriare dai fondi avvoltoio a cui la Corte Suprema america­na ha dato ragione.
Ieri il ministro dell’economia Axel Kicillo ha garantito da una parte che l’Argentina onorerà i suoi impegni e dall’altra ha pro­posto una ristrutturazione del debito in base alla quale i deten­tori di titoli argentini emessi in base alla legge americana pos­sono accettare di ricevere bond regolati dalla legge argentina e che pagano un rendimento molto più elevato. Si intavola­no trattative per non far scivola­re il Paese.
Sono ancora troppo freschi i ricordi tremendi di quel 2001 quando la classe media si ritro­vò spazzata via dall’onda ano­mala della crisi, quando moltis­sime famiglie di origine italiana decisero di fare gli immigrati di ritorno, e riprovare con la fortu­na tornando nel Paese dei pa­dri. Oggi per le famiglie di tassi­sti, di impiegati, di operai che si stavano rialzando, l’arrivo di un secondo Tsunami sarebbe non solo avvilente e demoraliz­zante ma difficile da sostenere. Superato il de­fault, l’econo­mia del Paese era riuscita a cresce­re. In molti aveva­no subito gridato al miracolo, al modello da segui­re i­n materia di ri­presa. Complice gli affari con la Ci­na che in pochi anni sono au­mentati a dismi­sura: da 3 miliar­di di dollari a 15 in soli otto anni. La soia dei mira­coli, così l’hanno chiamata, campi dove prima pa­scolavano le mucche che han­no fatto grandi i gauchos, ora so­no tutti a coltiva­zione di soia. Ne­gli ultimi tempi poi sono aumen­tate sia la spesa pubblica che l’in­flazione. Ora la batosta dal­l’America. È l’Ar­gentina e il suo male endemico, che la fa riscopri­re debole e disar­mata. Ancora una volta a rischio. La presiden­te della tv ha scongiurato e pro­messo che non sarà come allo­ra, eppure alla Corte Suprema statunitense il Paese aveva la­mentato che una decisione a sfavore poteva provocare una nuova crisi e un default, «il qua­le può far scattare nuove cata­strofi economiche con severe conseguenze per milioni di or­dinari cittadini» del Paese lati­noamericano.