Mps, Elezioni 2013, Esodati, Buffon: la rassegna stampa e le prime pagine

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Gennaio 2013 - 09:27 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Le accuse della Banca d’Italia. Il Corriere della Sera: “Diventa un caso politico lo scandalo derivati che ha travolto il Monte dei Paschi. La Banca d’Italia: «Ci sono state nascoste le carte». Centrodestra e Ingroia contro il Pd. La replica: siamo estranei.”

L’impaziente inglese. L’editoriale a firma di Franco Venturini:

“Potremmo essere soddisfatti della preferenza europeista che David Cameron ha espresso ieri nel suo atteso discorso. Potremmo sentirci sollevati nell’apprendere che il referendum britannico sulla permanenza o l’uscita dall’Unione Europea slitterà forse sino alla fine del 2017, e che nel frattempo si negozierà. Ma così facendo nasconderemmo a noi stessi il vero e decisivo oggetto del contendere: che l’eurozona guidata dalla Germania vuole più integrazione, mentre la Gran Bretagna ne vuole di meno. È questo contrasto più culturale che politico, più storico che elettoralistico, a fare dell’annuncio di Cameron una credibile minaccia di divorzio. Anche se lo stesso Cameron contro il divorzio ha promesso di lottare. Anche se tutte le grandi capitali europee dicono di volere Londra nella Ue e le tendono la mano. Perché alla fine saranno i cittadini britannici a decidere, e su di loro cultura e storia peseranno ben più delle indicazioni di Downing Street. Il primo ministro britannico è stato chiarissimo sull’obbiettivo che intende raggiungere (se sarà rieletto nel 2015) e poi sottoporre a ratifica popolare: il «ritorno» di poteri da Bruxelles a Londra. Si trattasse di frenare l’invadenza della burocrazia comunitaria, saremmo tutti con lui. Ma nella Ue la Gran Bretagna vanta già una lunga serie di privilegiate esenzioni, usufruisce della «restituzione» finanziaria strappata a suo tempo da Margaret Thatcher, fa spesso valere la sua sensibilità sovranista (per esempio ha ottenuto di cancellare bandiera e inno dal Trattato di Lisbona).”

Il Fmi taglia le stime sull’Italia «Manca il credito alle imprese». L’articolo a firma di Federico Fubini:

“Stavolta invece la comunità degli amministratori delegati, celebri economisti e leader politici si era riunita a Davos per gli incontri di gennaio del World Economic Forum almeno quattro volte dall’inizio del terremoto finanziario. Fra loro, il protezionismo suonava solo come un vago rischio evocato ogni tanto. Un argomento da conversazione. Stavolta invece ci siamo, o almeno rischiamo di esserci. Quando ieri in una saletta del World Economic Forum sono entrati il governatore della Banca d’Israele Stanley Fischer, l’ex uomo di vertice della Bank of England Adam Posen e l’economista Nouriel Roubini, tutti sapevano di cosa avrebbero parlato. Il tema ufficiale era il cosiddetto «quantitative easing», la stampa di moneta per acquisto di titoli sul mercato che la Federal Reserve americana e la Bank of England praticano massicciamente da anni. Ma in realtà, anche senza nominarlo, tutti parlavano del Giappone.”

Il momento di Monti: «Le promesse vuote catastrofe per il Paese». L’articolo a firma di Giuseppe Sarcina:

“Da quel momento in poi, spiega il premier dalla tribuna, l’Italia ha riguadagnato il rispetto internazionale. «Merito dei cittadini italiani, a cui voglio rendere omaggio, merito della loro maturità, della loro capacità di sostenere i sacrifici necessari per la nostra risalita». Ma, e il premier su questo non si risparmia, merito soprattutto del governo, delle riforme «fondamentali» sulle pensioni, mercato del lavoro, concorrenza e via elencando. Forse si può sfumare qui sul discorso ufficiale e cercare, invece, di ricavare, se possibile, alcune indicazioni da questo «passaggio a Davos». L’anno scorso il presidente del Consiglio non aveva partecipato al World Economic Forum, sebbene invitato. Nei corridoi si disse che Monti aveva rifiutato perché il fondatore e presidente esecutivo del forum, Klaus Schwab, non gli aveva riservato lo stesso spazio e la stessa visibilità accordati a David Cameron e Angela Merkel. Quest’anno, invece, il capo del governo italiano ha fatto il pieno. Nel primo pomeriggio ha incontrato un centinaio di imprenditori del «Business interaction group», una sorta di internazionale dell’industria e della finanza. Un segnale di riguardo per l’ospite, notano gli esegeti dei riti di Davos. Poi Schwab gli ha offerto la sessione in plenaria, la principale. Lo ha presentato come un modello per i governi europei e gli ha fornito un paio di «assist» (impossibile definirle «domande») per fare emergere anche il lato umano del leader. Monti, per parte sua, prima e dopo l’intervento ha lavorato nelle retrovie, vedendo, tra gli altri, il presidente del Parlamento europeo, il socialista Martin Schulz e anche l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger. In un certo senso il premier Mario Monti deve consentire anche agli ambienti che gli sono più familiari (e Davos è uno di questi) di prendergli le misure nella sua nuova veste di guida politica. Anche in Europa (non solo in Italia) quando si passa dal livello tecnico alla competizione elettorale («si sale in politica») occorre un cambio di passo, di linguaggio. Ieri Monti si è presentato come il leader delle riforme di lungo periodo, capaci di incidere in profondità. Si è presentato come l’esatto contrario dello «short-term», della visione di breve periodo che, secondo Monti, ha contrassegnato la gestione della crisi europea (ed è sembrato di capire che il premier ci metta dentro anche Merkel, per altro mai citata).”

Il Monte Paschi diventa un caso politico. L’articolo a firma di Federico De Rosa:

“Ma Alexandria è solo una parte del problema. Sul dissesto del Monte si sta infatti consumando una guerra che con i bilanci in realtà non ha molto a che fare ma che dai disastri di Mps prende spunto per regolare i conti. E’ una guerra tutta politica. Così come quelle bolognesi sono «cooperative rosse» il Monte era la «banca rossa». Una storica roccaforte della sinistra. E nel pieno della campagna elettorale il collegamento è scattato in un attimo. Visto che i soldi per il salvataggio, 3,9 miliardi di “Monti bond”, sono stati stanziati dal governo in carica, nel mirino sono finiti Pierluigi Bersani e Mario Monti. «Monti e Bersani subito in Parlamento per spiegare i favori a Mps e le responsabilità del Pd nella disastrosa gestione della banca» ha scritto su Twitter il leader della Lega, Roberto Maroni, a cui hanno fatto eco Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Francesco Storace. Il segretario del Pd non ci sta però a essere tirato dentro. «Non c’è nessuna responsabilità del Pd, per l’amor di Dio…» ha risposto Bersani, perché «il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche». Gli attacchi sono arrivati anche da sinistra. «Il vero scandalo — per il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero — è che il governo ha regalato al Monte dei Paschi 3,9 miliardi. Ha usato i soldi degli italiani che pagano le tasse per coprire i buchi di una banca privata». «L’ammontare dei Monti Bond è equivalente alla prima rata versata dai contribuenti per l’Imu» ha ricordato il leader idv Antonio Di Pietro. Un parallelo molto pericoloso. Senza quei soldi Siena non sta in piedi e la fronda che vorrebbe bloccare i Monti Bond sta crescendo.”

Esodati, Bersani contro il governo I centristi: premier chi vince tutto. L’articolo a firma di Alessandro Trocino:

“La premiership è il punto cruciale della campagna. Per questo Casini ribadisce che «il premier lo può fare chi prende la maggioranza alla Camera e al Senato». Se Bersani non avesse la maggioranza, «allora la parola spetta al presidente della Repubblica». Sottinteso: in quel caso potrebbe essere Monti. Il centro stringerà alleanza con il Pd-Sel dopo il voto? Non è affatto detto, spiega Casini: «Noi siamo alternativi al Pdl e competitivi con il Pd. Amiamo il prossimo ma non siamo crocerossine. Non è che il nostro ruolo può essere di supporto per le mancate vittorie altrui. Vogliamo allearci solo con chi esprime posizioni di riformismo autentico. Non ce l’ha ordinato il medico di essere al governo, possiamo anche essere all’opposizione se non ci sarà un chiaro intento riformista». E per chiarire la distanza da Sel: «È fantascienza che noi possiamo andare al governo con Vendola».”

Fmi: Europa e Italia ancora giù. La Stampa: “Il Fondo Monetario Internazionale taglia le stime di crescita dell’Italia. Il Pil è atteso in calo dell’1% quest’anno. Riviste al ribasso anche le stime sul Pil di Eurolandia. Il presidente Lagarde: nel 2013 o la va o la spacca. Monti a Davos: siamo vittime dei governi precedenti.”

Allarme Fmi “Nel 2013 o la va o la spacca”. L’articolo a firma di Paolo Mastrolilli:

“In effetti, l’update fornito dall’Fmi sul suo “World Economic Outlook” non è entusiasmante. Nel 2013 la crescita mondiale aumenterà dal 3,2 al 3,5%, ma le previsioni sono state riviste al ribasso dello 0,1% rispetto a quelle dell’ottobre scorso. Uno dei motivi principali è la lentezza con cui la ripresa si sta manifestando nell’eurozona, dove le stime sono state ridimensionate complessivamente dello 0,3%. Stesso discorso per l’Italia, la cui economia si contrarrà dell’1% nel corso del 2013, contro lo 0,7% previsto ad ottobre. La frenata è generalizzata, perché rispetto alle stime dell’autunno perderanno qualcosa anche Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Russia, India e Brasile.”

Confindustria, terapia choc per rilanciare l’economia. L’articolo a firma di Roberto Giovannini:

“È un piano da 316 miliardi in cinque anni, quello proposto al paese dagli industriali. Un piano che contiene qualche medicina decisamente amara – come l’aumento di due punti delle aliquote Iva agevolate, del 4 e del 10% – e che prevede generose agevolazioni fiscali e decontribuzioni per il sistema delle imprese, oltre a una (inizialmente modesto) taglio della pressione Irpef per i redditi bassi e incapienti. Un piano per cui – sulla carta – non è detto sia facile trovare voti nel prossimo Parlamento, visto che se il Pdl plaude fragorosamente il Pd di Bersani per adesso non si pronuncia.”

Se non bastassero i seggi di Monti il Pd chiederà di rivotare al Senato. L’articolo a firma di Carlo Bertini:

“Solo a parlarne la reazione degli interlocutori ai piani alti è di quelle tipicamente scaramantiche, gli aggettivi si sprecano, chi la chiama ipotesi «sciagurata», chi «catastrofica», ma almeno in teoria potrebbe avvenire pure questo: che chiuse le urne, pur avendo una forte maggioranza alla Camera, il centrosinistra non abbia i numeri al Senato per governare neanche con i voti dei centristi. Sul punto i pareri degli esperti divergono, c’è chi sostiene che sondaggi alla mano è uno scenario impossibile, chi invece lo mette in conto: nel caso si perdessero le principali regioni a rischio e la lista Monti andasse molto meno bene del previsto, i voti dei centristi potrebbero rivelarsi insufficienti. O utili magari a far superare solo di poco la soglia di 157 voti necessari: rendendo impraticabile quella larga maggioranza necessaria a ricostruire il paese che Bersani vuole assicurarsi. E che nella plancia di comando del Pd abbiano tenuto in conto tutte, ma proprio tutte le opzioni, compresa quella più «sciagurata», lo dimostra il fatto che il candidato premier saprebbe già come regolarsi: con quella che gli uomini di Bersani chiamano «una decisione politica già presa». Ogni qualvolta che gli si pone un quesito del genere, il leader Pd risponde che «non esiste assolutamente» alcuna possibilità di larghe intese con Berlusconi sotto alcuna forma.”

La carica degli onorevoli under 30. L’articolo a firma di Francesco Rigatelli:

“La generazione VT del prossimo Parlamento sarà la più grande della storia repubblicana. Per conoscere i venti-trentenni che ci rappresenteranno ci siamo concentrati sulla quarantina di under 30 con la quasi certezza di venire eletti. Le liste dove i giovani hanno più spazio sono quelle del Movimento 5 stelle, che sfoggia ragazzi come capilista o numeri due in molte regioni: Laura Castelli, Silvia Chimienti, Fabiana Dadone in Piemonte, Francesca Businarolo e Arianna Spessotto in Veneto, Giulia Sarti in Emilia, Marta Grande in Lazio, Angelo Tofalo, Silvia Giordano e Luigi Di Maio in Campania, Mirella Liuzzi in Basilicata, Dalila Nesci e Federica Tieni in Calabria, Giulia Di Vita e Chiara Di Benedetto in Sicilia. Quasi tutte donne.”

Il fedelissimo. Buffon: “In B avevo un sogno, la Champions con la Juve: ora so che si può avverare”. L’articolo a firma di Gianluca Oddenino:

“Occhi lucidi, parole commosse e pensieri dolcissimi. C’è mancato davvero poco che il Gigi-Day, organizzato ieri in pompa magna a Vinovo per celebrare il rinnovo fino al 2015 del capitano bianconero, si trasformasse nella conferenza d’addio di Buffon. Sarà stato l’imminente 35° compleanno, il peso della fascia ereditata da Del Piero o molto più semplicemente l’animo candido e trasparente del portiere più forte al mondo, ma per lunghi tratti il simbolo della nuova Juve ha setacciato le proprie emozioni, fatto bilanci e scolpito una massima di vita: «Uno non è immortale, uno deve essere fiero e orgoglioso. E non avere rimpianti». Lui non li ha mai coltivati, nemmeno nell’anno di B da campione del mondo o dopo il no del 2001 al Barcellona («Ma solo cinque anni dopo hanno iniziato a vincere», puntualizza). Piuttosto i rimpianti li ha trasformati in obiettivi. E così, con un sorriso dei suoi, il potenziale «passo d’addio» si è trasformato nel trampolino di lancio verso confini inesplorati. «Ho vinto molto – riepiloga Buffon -, ma sono tanti i trofei che vorrei e spero di alzare… I soliti noti, cominciamo dalla Coppa dei Campioni. Avevo un sogno quando eravamo in B: riportare questi colori in vetta all’Europa. Oggi ho rinnovato perché credo che il sogno si possa avverare». E magari ampliare, in chiave Pallone d’Oro. «Se lo meriterebbe – lo candida Andrea Agnelli – per quel rappresenta in Italia e nel mondo».”