Paolo Griseri su Repubblica: “A Torino, i commercianti ora scaricano i Forconi”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Dicembre 2013 - 13:16 OLTRE 6 MESI FA
Paolo Griseri su Repubblica: "A Torino, i commercianti ora scaricano i Forconi"

Protesta Forconi a Torino (Ansa)

TORINO – Paolo Griseri racconta su Repubblica che a Torino, i commercianti ora scaricano i Forconi e vogliono tornare a lavorare. Scrive Griseri

” Un sabato normale. Il primo dopo la rivolta: «Non è detto che sia finita. Ma fino a Natale si dovrebbe lavorare. Ormai questo è l’unico mese dell’anno in cui si guadagna qualcosa. Sarebbe da pazzi fermarsi altri giorni». Seduto al caffè del padiglione alimentare di Porta Palazzo, Marco il panettiere tira le somme della settimana della follia nei mercati torinesi. E racconta i giorni della grande paura, quando la sola voce dell’arrivo delle squadracce dei forconi ha reso deserto il mercato all’aperto più grande d’Europa: «Se montate i banchi — ci dicevano — spaccheranno tutto »”.
“La vera minaccia, racconta il panettiere, «è stata la psicosi che le prepotenze di piccoli gruppi hanno generato a valanga nei giorni precedenti la serrata. Una paura assurda: solo a Porta Palazzo ci sono 70 macellai. Sai che cosa significa?». Marco non è tipo da spaventarsi facilmente: al mercato ricordano ancora il giorno che salì sul tetto di un palazzo del quartiere per convincere con le maniere forti un gruppo di anarchici a sloggiare”.
“Perché allora farsi prendere dal timore? E soprattutto di chi avere paura? Forse della squadra di ragazzi con la sciarpa sul volto che martedì, secondo giorno della protesta, è entrata nel bar di Francesco nella zona di Valdocco, a due passi dal centro, minacciandolo se non avesse chiuso: «Prima hanno battuto le mani sulla vetrina. Poi hanno aperto la porta e si sono avvicinati al bancone per dire: “Se tieni ancora aperto torniamo più tardi e ti sfasciamo tutto”. Chi mi parlava era un ragazzo marocchino sui trent’anni che sventolava una bandiera tricolore ». Avere paura di quel ragazzo? O degli incappucciati che il 7 dicembre spaventavano i negozianti di Collegno, alle porte della città: «Correvano in mezzo alla via principale — ricorda Luigi che li ha visti da dietro il suo bancone di macellaio — e urlavano “Lunedì tutti chiusi, meglio che non troviamo nessuno con le serrande alzate”»”.
“«Per tre settimane — ricorda Marco — il timore sussurrato è diventato paura e poi terrore, alimentato dai blog e dai messaggi su Facebook che moltiplicavano l’effetto di queste scorribande». Molti avevano avvisato del pericolo: «I nostri associati hanno cominciato a segnalare minacce almeno una decina di giorni prima dello sciopero», ricorda Stefano Papini, presidente della Confesercenti torinese. E quali contromisure sono state prese? «Poche. Perché in Prefettura ci rispondevano che senza denunce precise, con nomi e cognomi, non potevano intervenire»”.
“Al mercato di piazza Foroni, la piazza dei pugliesi che ancora oggi celebrano la festa di San Nicola come fossero rimasti a Bari, Stefano P. è uno degli organizzatori dello sciopero del 9 dicembre. «Noi con quelle minacce non c’entriamo proprio. Anzi, siamo stati le vittime. Avevamo organizzato la protesta perché la giunta Fassino ha aumentato le tasse e non ha mai preso in considerazione i problemi degli ambulanti. Ci trattano da evasori e poi in campagna elettorale vengono a chiederci il voto». Che cosa è andato storto? Chi si è infiltrato? «Ultras, brutta gente che voleva approfittarne, negli ultimi giorni anche qualcuno dei centri sociali. Noi abbiamo cercato di prendere le distanze. In piazza Castello ci siamo sdraiati per terra di fronte alla polizia mentre certa gente tirava i sassi».
Ma chi ha chiamato gli ultras e la «brutta gente» di cui parla Stefano? Marco, ha una sua risposta: «C’è gente che per pochi soldi fa di tutto. Chi ha regalato 600 mila euro a Lele Mora vuoi che non sia in grado di comperare un gruppo di questi ragazzotti? In questi giorni c’è chi dice che se venisse arrestato scoppierebbe la rivoluzione». Il panettiere di Porta Palazzo non è l’unico a ipotizzare la manina del Caimano dietro le minacce. Ma più che il promotore, il leader di Forza Italia sembra uno dei tanti potenziali utilizzatori finali del caos scoppiato a Torino. Stefano di piazza Foroni ha una spiegazione più semplice: «Quando c’è casino c’è sempre qualcuno disposto a sfasciare una vetrina per portarsi a casa qualcosa»”.
“Oggi, nel primo sabato dopo la grande paura, si contano i cocci. Quelli dei mattoni scagliati lunedì contro la sede della Regione e quelli di un movimento inflitrato fin dal suo nascere: «Abbiamo fatto due riunioni con Calvani, nessuno ci aveva parlato di minacciare i colleghi. Io ho fatto il giro dei negozi per invitare a chiudere ma senza obbligare nessuno», dice Stefano. Non tutti hanno minacciato e non tutti hanno accettato la minaccia. Francesco, il barista di Valdocco, ha risposto a muso duro al ragazzo marocchino che gli imponeva di chiudere il bar: «Se voi tornerete per sfasciare la vetrina mi troverete qui. Ho fatto la guerra in Afghanistan e non ho certo paura di voi».
La protesta è cessata mercoledì, la normalità è solo di due giorni fa. «Perché vi siete fermati? Se resistevate due giorni in più si bloccava tutta la città». A porre le domande è un uomo sulla quarantina, barba lunga e nera e due bambine al seguito. Approfitta del semaforo rosso e interroga un ambulante appoggiato a un camion di frutta. È Mario, il bananaio dell’angolo di Porta Palazzo: «Ci siamo fermati perché i camionisti ci hanno mollati. Dovevano bloccare i rifornimenti dei mercati generali e invece mercoledì hanno forzato i blocchi e hanno ripreso a lavorare». «È un vero peccato — recrimina l’uomo con la barba — gli scioperi degli operai erano più tosti e duravano più a lungo ». Scusi, perché avrebbe voluto che la protesta durasse di più? «Non rispondo alle domande dei giornalisti », dice l’uomo con la barba allontanandosi”.