Persino i burocrati del Tesoro saltano sul carro del vincitore. Fabrizio Ravoni, Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Ottobre 2014 - 13:04 OLTRE 6 MESI FA
Persino i burocrati del Tesoro saltano sul carro del vincitore. Fabrizio Ravoni, Giornale

Persino i burocrati del Tesoro saltano sul carro del vincitore. Fabrizio Ravoni, Giornale

ROMA  – “Matteo Renzi si lamenta dei burocrati europei ed italiani – scrive Fabrizio Ravoni del Giornale – Rei, a suo dire, di rendere difficile l’attuazione del Piano dei Mille giorni. In realtà, gli equilibri sono diversi. A Bruxelles il presidente del Consiglio se la prende con due uomini in particolare: Marco Buti e Stefano Sannino. Il primo è direttore della Commissione Affari economici. Insomma, è quello che ha materialmente scritto la lettera Ue”.

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Il secondo è il Rappresentante italiano presso le istituzioni Ue; ma, finito il semestre, tornerà a fare il funzionario della Commissione. Piccola coincidenza. I due superburocrati (apprezzati per la loro preparazione) hanno simpatie prodiane.
Ben diverso il rapporto di Renzi con la tecnostruttura del ministero dell’Economia. Il 41% di voti presi alle Europee ha innescato un fenomeno a catena nelle stanze di Via Venti Settembre. La corsa a diventare renziani.
E pur di tentarlo, da quelle parti, volano colpi bassi. Chi ne sta facendo le spese è soprattutto Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministero dell’Economia. È stato regolarmente bypassato dagli uffici che hanno inviato idee e misure direttamente al ministro o allo staff di esperti economici di Renzi a Palazzo Chigi.
A costoro il premier ha dato una missione precisa: andate negli uffici del Mef e fatevi raccontare quel che succede e come si potrebbe fare la manovra. E così è stato. Sempre in coppia («come i Carabinieri», malignano al Mef) gli esperti della Presidenza del Consiglio hanno fatto visita agli uffici dell’Economia ed hanno raccolto idee e misure. I funzionari che li ricevevano erano ben lieti di farlo, proprio per accreditarsi con l’entourage di Renzi.
In questo gioco del cavallo, è rimasto fuori Garofoli. Da qui, le difficoltà del gabinetto del ministro ad assemblare la Legge di Stabilità: le carte preparatorie della manovra le avevano tutti (Palazzo Chigi e segreteria del ministro), tranne chi doveva averle. Cioè, Garofoli. Nei suoi confronti, i renziani avevano (e conservano) preconcetti. Il primo fra tutti è che Garofoli è stato segretario generale della Presidenza del Consiglio con Enrico Letta. Anche Fabrizio Pagani, oggi consigliere economico di Padoan, è stato a Palazzo Chigi con lo stesso incarico con Letta. Ma ora è proprio Pagani l’ufficiale di collegamento fra Palazzo Chigi e ministero dell’Economia.
Quindi, l’unico che è rimasto spiazzato dal renzismo dilagante al Mef è stato proprio Garofoli. Financo Daniele Franco, Ragioniere generale dello Stato, per non essere costretto alle dimissioni ha bollinato la Legge di Stabilità. L’ha tenuta ferma per qualche giorno di troppo, per fare un dispetto ad Alessandra Dal Verme (renziana ante-marcia). Ma alla fine, o si dimetteva o la bollinava. E l’ha bollinata.
I burocrati hanno una rara sensibilità al nuovo corso (qualunque esso sia). Si adattano come camaleonti all’inquilino di Palazzo Chigi di turno. E visto che l’attuale ha preso il 41% alle Europee e sembra voglia restare dalle parti di Piazza Colonna almeno per due mandati, sono molti i mandarini che stanno cercando appigli e agganci con il premier ed il suo entourage.
Che ci riescano realmente è tutto da vedere. Per il momento, i renziani fanno loro credere di avercela fatta. Pochi quelli che – citando il cantautore preferito da Renzi, Francesco Guccini – sono pronti a dire: «non mi unisco a questa schiera, morrò pecora nera».