Renzi-Berlusconi. Legge elettorale, Corte costituzionale: prova del fuoco del Nazareno

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Novembre 2014 - 08:30 OLTRE 6 MESI FA
Renzi-Berlusconi. Legge elettorale, Corte costituzionale: prova del cuoco del Nazareno

Renzi-Berlusconi. Legge elettorale, Corte costituzionale: prova del cuoco del Nazareno

ROMA – “L’incognita della legge elettorale e la partita del Quirinale” è il titolo con cui Repubblica presenta l’avvio della collaborazione di Stefano Folli, per anni autore dello stesso “punto” quotidiano sul Sole 24 Ore. Che Repubblica assuma un giornalista di peso in mezzo a solidarietà e tagli di ogni tipo pare strano; forse è più probabile che Stefano Folli si sia messo in pensione dal Sole 24 Ore e collabori con Repubblica un tanto a pezzo, ancorché certo non gratis, consentendo così a Folli di aggirare i paletti di contratto sull’entità delle collaborazioni post pensionamento dallo stesso giornale su cui il giornalista continua a scrivere.
Quali che siano i risvolti di opportunità per Repubblica e per Folli, resta che Stefano Folli è un acuto osservatore della politica italiana e la lettura dei suoi articoli aiuta spesso a capire il vento che soffia dal Quirinale.

I tempi per l’approvazione del nuovo sistema di voto si allungano. Il sì del Senato non arriverà prima di gennaio
Un passo dopo l’altro, ci si avvicina ai passaggi cruciali che decideranno il futuro della legislatura e le prospettive del governo Renzi. Le scadenze si affollano nell’agenda di fine anno, dalla riforma del lavoro alla legge di stabilità, ma la vera incognita resta ancora la legge elettorale. Sulla quale l’incertezza è ovviamente aumentata dopo che il presidente del Consiglio ha rimescolato le carte e ha avanzato la proposta di assegnare il premio di maggioranza non più alla coalizione vincitrice, bensì alla lista, cioè al partito. Questo significa che quando il Senato l’avrà votata, nella migliore delle ipotesi non prima di gennaio inoltrato, la legge tornerà alla Camera per una seconda lettura non solo formale. I tempi insomma si allungano, anche perché gli accordi in Parlamento attendono di essere definiti. Nessuno mette in discussione il “patto del Nazareno”; ma i fatti dimostrano che l’intesa con Berlusconi, pur solida, non è una camicia di forza in grado di coprire tutte le contraddizioni. Prova ne sia l’infinita altalena sui candidati alla Corte Costituzionale.
In altri termini, Renzi va per la sua strada, ma gli ostacoli potrebbero essere più insidiosi del previsto. Il suo tallone d’Achille – egli stesso ne è ben consapevole – è l’economia, o meglio il rischio concreto che le misure già in atto o in preparazione non riescano a imprimere uno stimolo significativo al sistema produttivo. A maggior ragione il premier deve consolidare in fretta il suo “blocco sociale” e di conseguenza un sistema di potere ancora imperfetto. Anche nel discorso di ieri agli industriali di Brescia è emersa questa determinazione, nel segno del dinamismo innovatore, ma si è avvertita fra le righe l’inquietudine di chi teme che non tutti i tasselli del mosaico vadano al loro posto in tempo utile.
Sotto il profilo politico-istituzionale, le carte migliori in mano a Renzi sono due. La prima è la condizione di grave prostrazione in cui versa la minoranza del Pd, incapace di costituire una minaccia alla stabilità del governo e tanto meno di prefigurare una scissione credibile, che non sia cioè l’uscita alla spicciolata dal Pd di tre o quattro irriducibili oppositori del “renzismo”. La seconda è invece l’appoggio fermo e costante garantito al premier dal presidente della Repubblica. La capacità di Napolitano di influenzare le decisioni di Renzi si è vista ancora la settimana scorsa, in occasione della scelta di Paolo Gentiloni come ministro degli Esteri. Al tempo stesso abbiamo avuto conferma della disponibilità del presidente del Consiglio ad accettare i consigli del Quirinale, ricercando il compromesso. Questa è la falsariga che segnerà i rapporti istituzionali anche nel prossimo futuro. Fino al momento in cui Napolitano deciderà di lasciare il Quirinale.
Il presidente ha superato di recente la prova più dura, anche sotto il profilo psicologico: la testimonianza resa davanti ai magistrati di Palermo. Ne è uscito rinfrancato, avendo rintuzzato quella che poteva diventare una prova di forza contro gli equilibri costituzionali del paese. Ciò nonostante, egli non fa mistero della sua intenzione di voler mettere fine al suo secondo mandato in ragione dell’età e della salute. È ragionevole pensare che questo non accadrà prima della fine del semestre europeo dell’Italia, ma nemmeno troppo più in là. Ne deriva un intreccio molto delicato. È impensabile che quel giorno, quando sarà, il governo abbia completato il percorso delle riforme, anzi con ogni probabilità non avremo nemmeno la nuova legge elettorale. Il rischio è allora che i due piani s’intreccino e che sul cammino della legge elettorale si scarichino tutte le tensioni e gli inevitabili veleni della contesa per il Quirinale.