“Renzi e quella paura di finire sedotto da Roma”, Maria Latella sul Messaggero

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Dicembre 2013 - 11:26 OLTRE 6 MESI FA
"Renzi e quella paura di finire sedotto da Roma", Maria Latella sul Messaggero

Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – Dicono tutti così: prima, seconda, e ora anche terza Repubblica. “A Roma? Ci starò il minimo indispensabile”. Poi, più prima che poi, capitolano. Matteo Renzi, per dire, ha già annunciato che conta di passare nella capitale soltanto un paio di giorni a settimana e la cosa, almeno in teoria, sembra fattibile: Firenze dista solo un’ora di treno da Roma.

Scrive Maria Latella sul Messaggero:

Ma non è solo, e non è tanto, la praticabilità della promessa. Colpisce la ripetitività della medesima. Come se, dall’inizio degli anni 90 a questo secondo decennio degli anni Duemila, dai leghisti sdegnosi e poi conquistati da Roma Ladrona, la politica potesse digerire tutto, tangenti lombarde, mutande padane messe in conto a Torino, escort baresi. Tutto. Ma non la residenza nella capitale. Nell’accezione alta, (quando va bene, insomma) Roma è vista come il set della Grande Bellezza, in uno stordimento anestetizzante di riti e personaggi esausti che il film di Paolo Sorrentino ha reso in tutta la loro magica irrilevanza, cosi da conquistare pure il presidente della Ue, Manuel Barroso che l’altra sera se ne dichiarava entusiasta (del film, non dei riti).

Nell’accezione bassa, invece, Roma è la città delle feste dei micropolitici travestiti da maiali, e le feste dei microvip in questua fotografica. Capitale dove gli ingenui si perdono, peggio che Bel Ami nell’ottocentesca Parigi di Maupassant. Perfino a Mario Monti versione politico la capitale non ha portato fortuna. A Roma, si dice, il potere offusca, al peggio ti trascina nel gorgo delle tre c, coca, call girl e case a prezzo di favore.

E poi, ci sono i salotti. Quanto può essere minaccioso un divano romano. Raccontano Gigi Bisignani e Paolo Madron nel loro ”L’uomo che sussurrava ai potenti” che accettando gli inviti a cena, il maschio (rara la femmina) di potere si ritrova «con le tasche piene di bigliettini, richieste, suppliche. Se non risponde, si fa dei nemici. Se risponde, non vive più». Messo sull’avviso, saggiamente Silvio Berlusconi si astenne dai salotti per un po’, salvo scegliere poi la via del fai da te, trasformare la sua stessa dimora romana in un gigantesco divano del produttore, una successione di cene, più o meno eleganti. Il che, per tornare a Matteo Renzi, sembrerebbe dare ragione a lui e alla sua prudente consorte Agnese, ben decisa a rimanere a Pontassieve, nel solco di una tradizione che va da Anna Craxi a Veronica Lario, dalla signora Bersani alla signora Bossi (…)