Sergio Cofferati: “Art. 18 eliminato senza nominarlo”. Occupazione: effetto zero

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Settembre 2014 - 11:46 OLTRE 6 MESI FA
Sergio Cofferati: "Art. 18 eliminato senza nominarlo". Occupazione: effetto zero

Sergio Cofferati (LaPresse)

ROMA – Sergio Cofferati, che sulla difesa dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ha vissuto il momento più alto della sua esperienza da segretario generale della Cgil, constata amaro:

“Il reintegro sul luogo di lavoro non c’è più, non è previsto in nessun caso. E il guaio è che di questa sparizione non tutti sembrano essersene accorti”.

Sergio Cofferati, europarlamentare del Pd che il 25 marzo 2002, da leader della Cgil, per difendere quel principio portò in piazza due milioni di persone. Il governo, risponde a Luisa Grion di Repubblica che lo sollecita sottolineando come il Governo di Matteo Renzi, con il suo emendamento al Jobs Act, ha messo nero su bianco l’eliminazione dell’articolo 18 e è riuscito a farlo senza doverlo nemmeno nominare. Fatto fuori nel silenzio: ci spiega meglio questo passaggio?

“Basta leggere con attenzione il punto dove l’emendamento introduce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio. Non si prevede esplicitamente il mantenimento del reintegro sul posto di lavoro, anzi si usa la stessa formula che compare in alcune delle proposte che intendono sostituire il reintegro con il risarcimento monetario. Di fatto si elimina quella parte riguardante l’articolo 18 che era sopravvissuto alla riforma Fornero”.

Il ministro Poletti dice che sulla questione si deciderà al momento dei decreti attuativi.

“La formula usata è esplicita, il reintegro è escluso. Tanto più che si tratta di un diritto indipendente dall’anzianità lavorativa: il reintegro c’è o non c’è. Qui non c’è, nemmeno nei casi di licenziamento discriminatorio”.

Questo spiegherebbe la piena soddisfazione del senatore Sacconi, che da sempre chiede l’eliminazione totale dell’articolo 18.

“Diciamo che Sacconi ha letto il testo meglio di Poletti”.

Ma se è vero che ormai il reintegro riguarda pochissimi casi e la stragrande maggioranza dei lavoratori ne è esclusa, perché accanirsi nella sua difesa?

“La discriminazione non si misura con il metro della quantità. Ci deve essere una norma che garantisce dignità alla persona che lavora. Una legge che non tutela il lavoratore allontanato per motivi discriminatori è un inaccettabile passo indietro. Pensare di compensare una ingiustizia dichiarata e riconosciuta con dei soldi è indice di un impressionante arretramento culturale”.
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“Sul lavoro si tende ormai a ragionare solo in termini di giusta mercede, di compenso adatto a garantire un certo livello di vita. E anche la sinistra ha perso di vista il ruolo sociale del lavoro, il suo peso nella realizzazione dell’individuo e nella consapevolezza della sua dignità”.
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“Credere che eliminare quella norma possa sbloccare la creazione di posti di lavoro è irreale: lo dimostrano i numeri. Quando fermammo il governo Berlusconi, nonostante l’articolo 18, l’economia, fino al 2008 continuò a crescere. Quando, anni dopo, la Fornero intervenne su quelle norme snaturandole la corsa della disoccupazione non si placò”.

Lei dice che l’abolizione dell’articolo 18 non porterebbe nessun nuovo posto di lavoro.

“Al contrario, l’eliminazione del reintegro causerebbe un aumento dei licenziamenti, visto che verrebbe a cadere l’effetto deterrente che produce”.

Qual è allora, secondo lei, la formula per incentivare l’occupazione?

“Per me è sempre valida la vecchia ricetta keynesiana: investimenti pubblici in grado di smuovere investimenti privati”.

Con quali soldi?

“Cerchiamoli: ricorriamo agli Euorbond, applichiamo la tassazione sulle rendite finanziarie e utilizziamo quei capitali per investire in infrastrutture, che creano occupazione immediata, e innovazione. Ritorniamo a parlare seriamente di lotta all’evasione fiscale, come il governo di Prodi e di Visco fece. E ridistribuiamo ricchezza: è l’unico modo per far ripartire la domanda”.