La solitudine di Renzi trincerato al governo. Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Maggio 2014 - 09:07 OLTRE 6 MESI FA
La solitudine di Renzi trincerato al governo. Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano

La solitudine di Renzi trincerato al governo. Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano

ROMA – “Che sia affaticato è normale: gira come una trottola da settimane – scrive Marco Palombi del Fatto Quotidiano – Che questo lo renda a volte meno brillante è fatto che consegue direttamente dal primo. Che invece quella macchina da comizio e da tv che è Matteo Renzi – per di più da presidente del Consiglio – affrontasse una campagna elettorale non riuscendo a dominarla e senza dettarne l’agenda è abbastanza sorprendente”.

Gli manca, ad oggi, il colpo d’ala: il “derby tra la paura e la speranza” non funziona. Di più: questo duello a due con Beppe Grillo – stante la fine del ciclo politico e antropologico di Silvio Berlusconi – finisce per penalizzarlo, soprattutto dopo lo scandalo Expo.

IERI, PER DIRE, è stato costretto a inseguire il comico genovese sul tema della tenuta governo: “Non c’è mai stato in nessun Paese europeo un collegamento tra il risultato delle elezioni europee e il governo”. Queste elezioni, dice Renzi, “sono un derby tra chi crede che l’Italia debba contare in Europa e chi crede siano un sondaggio per la politica nazionale. Io credo che questo sondaggio lo vinciamo, ma spero che gli italiani vadano a votare per l’Europa”. Eppure aver impostato tutta la propaganda del Pd sulla sua figura di capo del governo è stata una scelta precisa di Renzi stesso. Il titanismo dell’ex sindaco, a cui piace rappresentarsi in guerra con l’invisibile nemico della conservazione, funziona assai meno se il suo bersaglio è Beppe Grillo. La rottamazione non funziona più: per la prima volta la sua campagna non può basarsi soprattutto sull’attacco ai dinosauri del suo partito, non può rifulgere sulla pochezza, la compromissione, i fallimenti altrui. Il dinosauro, per i tempi rapidissimi della politica spettacolo, è diventato lui: “Loro insultano, noi governiamo”, è stato lo slogan ripetuto nei molti appuntamenti di ieri. Una roba alla Romano Prodi. Il dato politico, alla fine, è che nonostante non ci sia il suo nome nel simbolo del Pd – come Renzi continua a ripetere – il partito è scomparso dai radar: “Con lui a Palazzo Chigi si sta appannando, si sta destrutturando. Andando in giro trovo gruppi di amici, ma il partito vero e proprio fatico a trovarlo”, come dice Massimo D’Alema. Lui e Bersani, d’altronde, sono relegati a fare campagna lontano dai riflettori, alle cene di finanziamento, coi candidati sindaco, mai insieme al premier.

MATTEO RENZI è solo in campagna elettorale. Di più: le proposte del partito e le figure dei candidati sono appannate dietro uno schema comunicativo che punta tutto su quel che il governo ha fatto, sta facendo, farà: è ovvio – anche visto che questo esecutivo è nato con un accordo di palazzo – che sia un referendum su di lui, lo stesso premier ha fatto in modo che lo fosse. Attorno a lui – a fargli da corona e a dimostrare che nessun uomo può essere un’isola, ma magari un arcipelago sì – solo la ministro Maria Elena Boschi, la vicesegretario democratica Debora Serracchiani e le cinque capo-liste donne scelte dallo stesso one man band: Alessia Mosca (Nordovest), Alessandra Moretti (Nordest), Simona Bonafè (Centro), Pina Picierno (Sud) e Caterina Chinnici (Isole). Non proprio un cast in cui la figura del premier rischi di essere appannata. Questa strategia, però, è magari l’unica possibile per non snaturare Renzi, ma di certo è assai rischiosa per il governo che dirige. La sicurezza delle prime settimane ha lasciato il passo ai dubbi. È così che si arriva al “tra Europee e governo non c’è alcun collegamento” scandito ieri in tv dal premier. E pure al “un punto sopra Grillo per noi è comunque un successo perché alle politiche eravamo pari”, messo a verbale – anonimamente – da uno dei suoi. Massimo Cacciari, ieri su Radio 24, l’ha messa in tutt’altro modo: “Se il Pd dovesse perdere con Grillo e anche se ci fosse una situazione di pareggio con il M 5 S è chiaro che Renzi scomparirebbe dalla scena”, “si aprirebbe una crisi enorme e difficilmente governabile anche da un genio della politica come Napolitano”.

ANCHE NEL PD disgregato, umiliato, cancellato dal discorso pubblico dal suo stesso capo cominciano ad essere preoccupati: lo scambio a cui molta parte della classe dirigente ha dato silenzioso assenso tra perdita di peso politico e successo elettorale rischia di non funzionare. Ora qualcuno, di certo, aspetta il cadavere di Renzi sulla riva del fiume, altri semplicemente non sanno che fare: dai sondaggi che girano sui tavoli dei vari partiti, infatti, sembra che Grillo abbia smesso di pescare nel bacino del Pd e abbia preso a farlo in quello assai più appetibile in libera uscita dal berlusconismo (il crollo di Forza Italia, peraltro, trascinerà con sé anche le raffazzonate riforme costituzionali). Non solo: al Sud i democratici continuano ad andare male. Quanto siano preoccupati al Nazareno – retto dal renzianissimo vicesegretario Lorenzo Guerini – lo testimonia l’sms inviato ieri pomeriggio a ogni singolo parlamentare Pd: “Tutti impegnati in campagna elettorale, senza eccezione alcuna”. Chiude lo stesso Renzi in serata: “Mancano quattro giorni, bisogna fare uno sforzo pazzesco”.