Over 40 in ufficio? Discriminati. Aziende: “Un peso”. Sda Bocconi: “Pregiudizio”
Pubblicato il 29 Settembre 2013 - 07:30 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – Gli over 45, anzi ad essere precisi gli over 40, in ufficio sono un peso e non sono considerati un valore aggiunto. Per questo sono letteralmente discriminati e la discriminazione, ha rilevato uno studio della Sda Bocconi, non si basa su nessun presupposto scientifico, è frutto di puro pregiudizio.
Le vitime sono i dipendenti anagraficamente collocati nella vasta terra di mezzo che c’è fra la faticosa rincorsa all’assunzione che si fa ormai fino alle soglie dei 40 anni e la faticosa rincorsa alla pensione che scatta dopo i 60 anni.
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Giornali e televisioni si occupano di precari o esodati, ma a dimenticarsi degli over 40 non sono solo i mass media ma soprattutto le aziende, che, secondo uno studio dell’Osservatorio Diversity Management Lab dell’Università Bocconi citato da Giuliana De Vivo de Il Giornale. Le aziende
“tendono a valorizzare molto poco i loro dipendenti che hanno superato quella soglia. Anzi, spesso li discriminano. Al netto degli scatti di carriera automatici, per esempio, i balzi in avanti, a parità di inquadramento, sono molto più frequenti tra chi non supera i 38 anni. I dipendenti fino a quell’età ricevono anche, in media, valutazioni di 14 punti percentuali superiori rispetto a quelle degli over 45. Superati i 40, invece, la parabola è discendente. L’ufficio del personale li considera quasi come un peso, restare così a lungo nella stessa realtà imprenditoriale, invecchiare dentro lo stesso ufficio è una nota di demerito. È finita l’epoca in cui si raccontava orgogliosi di aver vissuto«una vita al servizio dell’azienda »: oggi, complice un mondo del lavoro sempre più flessibile e dinamico, si tende a pensare che chi resta vita natural durante nello stesso posto lo fa perché non ha ricevuto offerte migliori.
La discriminazione, fa notare lo studio della Sda Bocconi, non si fonda su dati scientifici: non che ci fosse bisogno di un test per capirlo, ma su un campione di mille lavoratori non sono state rilevate significative differenze di efficienza tra 30enni e 45enni. Non c’è nessun declino cognitivo prima dei 60 anni, e in ogni caso questo non si manifesta con forme significative prima dei 74. Tradotto: chi ha qualche capello grigio possiede energia da vendere, e un bagaglio prezioso di esperienza da impiegare – magari trasmettendola ai nuovi arrivati”.
In pratica nell’era della flessibilità non conta più la fedeltà all’azienda. Dopo un tot di anni passati nello stesso ambiente lavorativo, non si diventa delle “bandiere” ma delle zavorre. La nuova faglia della discriminazione in azienda quindi si sta spostando dalla razza e dal sesso all’età.
“lo conferma anche Giuseppe Zaffarano, presidente dell’associazione lavoro over 40: «C’è molta sfiducia nei confronti dei datori di lavoro,e delusione per prospettive di carriera non realizzate. La sensazione dominante è la paura per il futuro: in un momento in cui sono tante le aziende che vengono comprate da gruppi esteri, anche chi è assunto teme delocalizzazioni. E già dai 45 anni in poi gli uffici del personale, specie in questi tempi di magra, guardano al dipendente over 45 come a un futuro prepensionato, uno da far “scivolare“ fuori»”.