Mondiali. Italia eliminata: fine di un’era e di un gruppo, Lippi come Bearzot

Pubblicato il 24 Giugno 2010 - 18:57 OLTRE 6 MESI FA

E’ finita l’era degli eroi di Berlino, è finita l’era Lippi. Ed è finita come doveva finire, cioè nel modo più inglorioso: ultimi in un girone che comprendeva Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda, il peggio (o quasi) di tre continenti. I grandi condottieri, da Cesare a Napoleone, ringraziavano i veterani assegnando loro latifondi, contee o prebende varie, ma lasciandoli a casa quando c’era da tornare in battaglia.

Lippi ha scelto la strada della riconoscenza, ha rinnovato l’Italia giusto quel pochino che serviva per non perdere la faccia, ma non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Era già successo al grande Enzo Bearzot in Messico nel 1986: si affidò ai campioni del mondo di quattro anni prima e affondò insieme a loro. Anche contro la Slovacchia si è avuta la netta sensazione che i pochi giocatori vivi erano i Quagliarella e i Di Natale, cioè i meno decorati della truppa. Gli slovacchi hanno vinto semplicemente perché correvano più di noi, e nel calcio chi arriva prima sul pallone ha già vinto mezza partita.

C’è un esempio che vale per tutti: il miglior difensore del campionato, cioè il barese Bonucci, è stato sacrificato per far posto a Cannavaro, il miglior difensore italiano… del 2006. Detto degli errori di Lippi, resta una situazione generale che da domani dovrà cominciare a preoccupare Prandelli. La squadra che ha dominato in Italia e in Europa, cioè l’Inter, ha un solo giocatore italiano, Balotelli, che per di più si porta dietro un mare di problemi caratteriali. Se andiamo a cercare giocatori italiani con esperienza internazionale, dobbiamo ricorrere alla Juve e al Milan, cioè due squadre che hanno faticato in campionato e nelle coppe. Si poteva fare una nazionale con giocatori del Genoa o del Bari? La storia ci insegna che le grandi squadre azzurre (quella campione in Spagna come quella di Berlino, ma anche quella magnifica che arrivò in semifinale in Argentina) si basavano sul blocco di una squadra leader con innesti mirati.

Questa sudafricana era un carnevale di colori ma non aveva un’anima. E allora forse sarà il caso di prendere atto che il calcio italiano questo dà e di questo ci dobbiamo accontentare. Non si può pensare che siamo inferiori alla Slovacchia o alla Nuova Zelanda, ma è chiaro che rispetto alle grandi d’Europa (non parliamo nemmeno di Brasile o Argentina) abbiamo praterie tecniche e atletiche da recuperare. Ma la prima mossa da fare sarà salutare con affetto i campioni di quattro anni fa e ricominciare da chi ha voglia di correre e fame di vittorie. Non c’è una generazione in grado di riportarci in tempi brevi sul tetto del mondo, ma – obiettivamente – l’Italia non può essere quella vista in Sudafrica.