Dj Fabo. Pm chiede processo per Marco Cappato: favorì il suicidio

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Luglio 2017 - 12:21 OLTRE 6 MESI FA
Dj Fabo. Pm chiede processo per Marco Cappato: favorì il suicidio

Dj Fabo. Pm chiede processo per Marco Cappato: favorì il suicidio

ROMA – Dj Fabo. Pm chiede processo per Marco Cappato: favorì il suicidio. I pm di Milano Tiziana Siciliano e Sara Arduini hanno inoltrato all’ufficio gip, come ordinato nei giorni scorsi dal giudice Luigi Gargiulo che ha disposto l’imputazione coatta, la richiesta di rinvio a giudizio per aiuto al suicidio per Marco Cappato, l’esponente dei radicali che lo scorso febbraio accompagnò a morire volontariamente in una clinica vicino a Zurigo Fabiano Antoniani, 40 anni, tetraplegico, noto come Dj Fabo.

Dopo la richiesta di processo verrà fissata un’udienza preliminare e il gup dovrà decidere se mandare o meno a processo Cappato.     Il gip Gargiulo ha ordinato ai pm, che avevano chiesto l’archiviazione, di formulare il capo di imputazione e chiedere il giudizio.

I pm nell’imputazione si sono dovuti attenere alle indicazioni del gip, che ha ritenuto che Cappato sia responsabile del reato per una duplice condotta in quanto, avendo prospettato a Dj Fabo la possibilità di realizzare il suo desiderio di porre fine alla sua vita senza soffrire, non solo lo avrebbe aiutato a morire ma avrebbe rafforzato “l’altrui proposito di suicidio”.

Nell’ordinamento italiano “non esiste alcun diritto assoluto al suicidio, tantomeno un diritto, esigibile dallo Stato, a ‘morire con dignità’, vuoi per mano propria, vuoi per mano altrui”, aveva scritto il gip di Milano Luigi Gargiulo.

Per il gip “non si può neppure condividere la presenza di un diritto al suicidio, ove la vita sia divenuta motivo di particolare ed esasperante tormento, psichico e fisico, per l’individuo”, perché, secondo il giudice, “una simile impostazione, infatti, porrebbe in grave crisi il diritto alla vita”. Inoltre, “legittimare il suicidio assistito (in assenza di norme che lo prevedono positivamente) soltanto per alcune categorie di malati costituisce un potenziale vulnus dell’uguaglianza”.