Il pur nobile dibattito attorno all’IA, intelligenza artificiale, corre un rischio serio, annuncia Vincenzo Vita sul Manifesto: assomigliare troppo a quello che accompagnò negli anni più recenti l’avvento della Rete e di Internet.
A sua volta piuttosto vicino a ciò che avvenne con l’entrata in scena della televisione e -scorrendo a ritroso la storia- al clima che probabilmente si respirava quando la Galassia Gutenberg ruppe il predominio totalizzante di monaci e monasteri depositari della biblioteca dei saperi.
Gli studiosi spostano la discussione persino all’età della scoperta pratica della scrittura, che soppiantò l’esclusività del linguaggio orale.
Insomma, pare di essere sempre fermi alla geniale dialettica oppositiva descritta da Umberto Eco tra apocalittici e integrati. C’è del vero, ovviamente.
Ci si interroga legittimamente sui rischi connessi alle nuove tappe dell’evoluzione della cosiddetta intelligenza artificiale, dove la velocità inaudita della progressione tecnologica può portare la memoria a quanto avvenne con la fissione dell’atomo: non immaginata dagli scienziati del tempo come l’anticamera di Hiroshima e Nagasaki.
Sulle pagine de il manifesto rivista (uscirono alcuni numeri di riedizione della storica testata) nel 2000 l’allora vice-presidente di Sun Microsystems Bill Joy preconizzò una potenziale china insidiosissima per il genere umano, prossimo ad una fine di specie proprio per l’avvento di macchine robotiche dotate di qualcosa somigliante alla mente umana.
Se non c’è un governo democratico della scienza, in grado di definire limiti e confini, la situazione potrebbe degenerare.
E siamo ancora a quel punto di riflessione predittiva, senza indulgere a suggestioni distopiche o millenariste che servono solo a chiuderci gli occhi.
La classica disfida concettuale va sostanziata con la pacifica arma della critica, come hanno insegnato coloro che hanno sostenuto le virtù delle tecniche, ma con la forza del disvelamento delle aree inquietanti ed opache in grado di sfuggire a qualsiasi finalità progressiva.
Bastino nomi come Norbert Wiener, Alan Turing o Marcello Cini per rappresentare la possibilità di un’alternativa credibile e non elusiva.
Qualcosa di nuovo c’è sul piano della regolamentazione e dell’iniziativa politica. Il testo europeo ormai nella fase finale del suo iter, le scelte almeno apparentemente impegnate della presidenza degli Stati Uniti o gli indirizzi assunti da diversi governi fanno capire che il vento forse sta cambiando.
Così sperano, almeno, i poteri classici alquanto fragili rispetto ad un universo di cui manca la conoscenza dell’alfabeto. Anzi. Una prima essenziale misura sarebbe pretendere la trasparenza dei super algoritmi che fomentano gli stadi dell’intelligenza artificiale. E, poi, è cruciale individuare una sequenza di atti normativi, fondati – però- non sull’articolazione burocratica tipica dell’era analogica, bensì sul ruolo assegnato ad una indipendente Autorità mondiale inserita nell’universo delle Nazioni Unite.
Nel parlamento italiano sono stati depositati testi utili ad accendere finalmente l’attenzione su questioni neglette o considerate marginali. Ad esempio, vanno citati i disegni di legge che hanno come primi firmatari i senatori Nicita e Basso.
Tuttavia, le Linee Guida adottate nel Regno Unito e fatte proprie dall’agenzia italiana di cybersecurity segnano un positivo salto qualitativo nell’approccio al mondo post-umano.
Le culture laiche sono in difetto e arrancano, mentre l’approccio della ricerca dei cattolici è interessante e si poggia sul vincolo insuperabile dell’etica.Â
In verità , gli ultimi avvenimenti ci illuminano su quale sia davvero la posta in gioco. L’uscita apparentemente ingloriosa e il subitaneo ritorno nella postazione di comando dell’amministratore delegato di OpenAI (la società madre) Sam Altman ci forniscono indizi preziosi.
Se è serio il racconto che si è letto sull’evento, vale a dire proprio il conflitto sul futuro e sulle modalità di perseguirlo, ciò significa che siamo prossimi ad un inedito e fragoroso capitolo della lotta di egemonia nel e del capitalismo delle piattaforme.