Giorgio Santerini: un anti romanzo, “Freddocuore”

Pubblicato il 6 Dicembre 2012 - 11:07 OLTRE 6 MESI FA

Giorgio Santerini, un giornalista davvero di vecchia data, ha appena pubblicato un libro, Freddocuore, (SE 19 euro), che racconta il vissuto di una persona, un ex parlamentare della politica corrotta, alle prese con gli effetti pesanti ed estremi di quella che Umberto Veronesi ha voluto definire “ La malattia” per cancellare almeno dal lessico familiare l’ altra parola innominabile.

E’ un libro che non ripete l’ usurato schema del romanzo, patrimonio immodificabile della letteratura italiana, ma esprime una scrittura diretta: il flusso di un unico linguaggio, quello di un solo soggetto che vive e si vive nella sua condizione mentre attende un ennesimo intervento chirurgico.

E il tempo del racconto è tutto quello reale che all’ex deputato è concesso prima che l’ anestesia lo cancelli. Si tratta di ore, non importa quante. Ma questo tempo è bucato da i lampi della memoria, dai rimorsi, dalla vita diversa che avrebbe potuto scegliere, dal ricorrente desiderio di fuggire e quindi anche dai sogni, dai progetti di una condizione di vita diversa. Di una solitudine “ costrittiva” lontana dalla famiglia, dai figli.

E perciò la scrittura è il percorso di questa coscienza attiva per quanto anche alterata dalla consapevolezza di un’ impossibile guarigione. E i desideri sono relativi a questo tempo che resta, ai luoghi dove potrà nascondersi ma anche a tutte le possibilità di vita che dovrà rinunciare.

E dentro questa situazione liquida il protagonista rivive anche le fasi importanti della sua esistenza: l’ odio per il padre , la rottura con la famiglia d’ origine, la scuola, l’ educazione aberrante che ha subito. Un magma non di ricordi ma di realtà. E tutto questo pellegrinaggio si mischia col suo legame di amore-odio per Roma e le fondamenta della religione cattolica rispetto alla quale il personaggio è attratto e respinto. Cerca e si perde per concludere che, la fine, non può accettare di credere.

Ecco, questo è il telaio. Lontano anni luce dalla letteratura consolidata in Italia dove il monologo interiore è considerato un oggetto ignoto, concesso a Joyce: ultimo capitolo dell’ Ulisse. In realtà il monologo interiore nella letteratura internazionale è ben altro: un fiume carsico che sparisce e ricompare.

Da quasi un secolo: basta considerare Doujardin, molti capitoli importanti di Faulkner, alcuni “ strappi” di Svevo, pagine di Buzzati e anche in parte un libro abbandonato come “ Il male oscuro” e pochissimi altri. Ma l’ Italia provinciale finge di ignorare che da un secolo ad oggi le cose importanti della cultura europea e americana sono radicalmente cambiate anche nel campo della scienza e della politica.

Sono invece in controtendenza pittori e scultori italiani che da Boccioni alla scuola napoletana attuale e Catellani hanno ben compreso la lezione che veniva dall’ estero.

Per questo uno scrittore di alto valore come Raffaele La Capria può scrivere oggi meravigliandosi che Proust non trovi riscontri nella letteratura italiana. Ma neanche imitatori. Ma ciò avviene perché nel fiume carsico italiano, che appare e scompare, numerosi sono gli ospiti sprofondati e invisibili, anche Proust, nonostante che un grande critico come De Benedetti già nel 1925 avesse scritto libri monumento sull’autore francese.

Proust come tanti altri non è uno scrittore nel ring della letteratura italiana. E’ rimasto un fantastico autore da leggere come se appartenesse alla Luna.