Globalizzazione, la terza via di Dani Rodrik per una economia ragionevole

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 2 Aprile 2019 - 06:15| Aggiornato il 25 Agosto 2019 OLTRE 6 MESI FA

Globalizzazione, la terza via di Dani Rodrik per una economia ragionevole

ROMA – Cosa non funziona nell’iperglobalizzazione? A quali correzioni possiamo pensare? Se lo domanda l’economista Dani Rodrik, autore del saggio “Dirla tutta sul mercato globale”, una riflessione oltre le politiche economiche finanziarie globaliste ed i fermenti populisti.

La tesi attorno alla quale ruota il ragionamento di Rodrik è chiara: l’iperglobalizzazione è stato un processo di cambiamento non sostenibile, rivelatosi incapace di trovare un equilibrio tra governance globale e governance nazionale. “Ciò che ci serve è un’economia internazionale pluralista in cui i vari Stati mantengono un sufficiente grado di autonomia per delineare i propri contratti sociali e sviluppare le proprie strategie economiche” scrive Rodrik nel primo capitolo, accennando ad un’idea di economia che svilupperà nelle pagine successive.

È sufficiente questa prima citazione per intuire che non abbiamo tra le mani un libro adulatore delle correnti dottrinali liberiste, quelle tanto per capirci infarcite di “laisser faire”, né tantomeno un saggio che invoca la chiusura delle frontiere o il protezionismo, come ben chiarisce la quarta di copertina. “Terza via”, anche se abusata come definizione, potrebbe riassumere decorosamente lo spirito complessivo di questo lavoro, ma se vogliamo entrare nel cuore del suo contenuto, occorre essere più spigolosi e fare tesoro di una frase scritta dall’autore nella prefazione: “In questo libro provo a dire le cose come stanno”.

Si, perché è subito evidente fin da inizio lettura che l’ambizione di questo libro non si limita a prospettare nuove coordinate per l’economia. In se v’è anche lo sforzo in ugual peso di fare chiarezza sulle responsabilità, non solo politiche, di chi ha pestato troppo forte sul pedale della globalizzazione. Ad esempio nel capitolo non a caso dedicato agli economisti, si legge che “nel loro zelo di sfoggiare i gioielli della corona della professione nel loro aspetto più splendente – efficienza del mercato, mano invisibile, vantaggio comparato – gli economisti tralasciano le complicazioni e le sfumature del mondo reale”; oppure: “Gli economisti non riescono a sfuggire all’accusa di essere fortemente ideologici perché sono loro i primi a
remare contro quando è il momento di applicare le teorie al mondo reale. Invece di trasmettere l’intero ventaglio di prospettive offerte dalla loro disciplina, mostrano una fiducia eccessiva nei confronti di determinati rimedi, spesso quelli che sono più in linea con le loro posizioni ideologiche”.

Ma il piglio accademico dell’autore va ben oltre, e non si sottrae al compito di rivoltare come un calzino
anche e soprattutto le politiche economico-finanziarie che caratterizzano i tempi nei quali viviamo. Ed allora è inevitabile che un capitolo – il terzo – venga interamente dedicato alle difficoltà dell’Europa. I guanti bianchi Rodrik non se li mette, e punta l’indice contro l’austerità e le riforme strutturali volute dalla Germania e dagli Stati creditori. “La riforma strutturale genera crescita soltanto sul lungo periodo. Nella maggior parte dei casi, gli effetti a breve termine sono negativi” (pagina 54).

E l’interesse verso il ragionamento che propone cresce quando nelle pagine successive, sempre del solito capitolo, affronta il problema della responsabilità democratica che si svuota dentro le errate diagnosi economiche. Infatti, sottolineando che i costi delle politiche più dure gravano primariamente sui paesi debitori con alti tassi di disoccupazione, fa emergere con chiarezza il “dilemma europeo”, ovvero: “se i leader europei vogliono mantenere la democrazia devono compiere una scelta tra unione politica e disgregazione economica” perché per Rodrik “non possiamo avere contemporaneamente globalizzazione, democrazia e sovranità nazionale”.

Non c’è che dire, il piatto che viene servito al lettore è di quelli gustosi. Ma l’animus non è solo critico. Se è vero che gli artigli della ragione critica stringono per tutto il saggio le prede – mercati finanziari, iperglobalizzazione, politici, economisti, FMI, ecc… – è altresì giusto dire che molto spazio è speso per collaborare con dati reali le tesi espresse, e proporre al lettore anche soluzioni pratiche. Da qui le “nuove
regole per l’economia globale”, elencate e spiegate da Rodrik nel decimo capitolo.

In definitiva questi “sette criteri di buon senso”, si fanno promotori di un governo globale diverso, teso a
migliorare la democrazia e l’economia. Lo Stato-nazione non è qui sminuito ma semmai rinvigorito ed
indicato come strumento capace di guarire i mali della globalizzazione: “I Paesi hanno il diritto di proteggere le proprie regolamentazioni e istituzioni” (pagina 218).

Rodrik si immagina un modello nel quale non esiste una sola via per la prosperità ma diverse soluzioni che
ogni paese sarà libero di sviluppare in base alle proprie caratteristiche: “Un’economia globale che riconosca
il bisogno e il valore della diversità istituzionale stimolerebbe la sperimentazione e l’evoluzione, invece di
reprimerla” (pagina 218). E poi, tanto per gradire, propone di integrare profondamente i mercati in sistemi di governance: “La crisi finanziaria globale ha sferrato un colpo mortale all’idea che i mercati siano in grado di autoregolarsi, perciò bisognerebbe metterci una pietra sopra una volta per tutte” (pagina 216).

“La storia ci ha dato una lezione sui rischi di una globalizzazione sfrenata, ma ce ne ha data anche una sulla
malleabilità del capitalismo. Alla fine sono stati il New Deal, lo Stato sociale e la globalizzazione controllata
(sotto il regime di Bretton Woods) a ridare linfa alle società orientate al mercato e a portare al boom del
dopoguerra. E questi risultati non sono stati ottenuti tentennando ed apportando lievi modifiche alle politiche esistenti: hanno richiesto interventi radicali di ingegneria istituzionale. Senza idee più audaci e grandiose potremmo scoprire che tutto ciò che di buono ha prodotto l’attuale consenso – in particolare, un ordine liberale e democratico – è stato spazzato via dalla reazione ai suoi stessi eccessi. Politici di ogni bandiera, prendetene nota” (pagina 266).

“Dirla tutta sul mercato globale” si chiude così, con un monito che nel medesimo tempo è anche speranza,
perché questo saggio avvince pure per il suo slancio positivo verso il futuro, che pronostica denso di sfide
complicate ma anche apportatore di nuove opportunità. Abbiamo bisogno di un’economia mondiale a
“crescita verde”, di risolvere il dualismo innovazione tecnologia e lavoro, ripensare la democrazia e
soprattutto, affonda Rodrik, diventare cittadini nazionali con una coscienza globale. Ne saremo capaci?

“Dirla tutta sul mercato globale. Idee per un’economia mondiale assennata”, di Dani Rodrik, Einaudi,
pp. 312, € 19,00