“Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci”, il libro di Attilio Brilli

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 6 Dicembre 2018 - 06:53 OLTRE 6 MESI FA
“Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci”, il libro di Attilio Brilli

“Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci”, il libro di Attilio Brilli

ROMA – Il libro in questione è stato pubblicato dalla casa editrice il Mulino nel 2013: “Mercanti avventurieri” è il titolo, “Storie di viaggi e di commerci” il sottotitolo, autore Attilio Brilli, docente presso l’Università di Siena, ma soprattutto esperto di letteratura di viaggio; la copertina, un collage a due tra la “Carta Catalana” del 1375 e la carovana di Niccolò e Matteo Polo – padre e zio di Marco – che attraversa l’Asia.

E vi basterà leggere l’indice per capire subito dentro quale libro siete entrati: cinque capitoli, dal XIII al XVII secolo, che raccontano le gesta di uomini verso terre sconosciute, a sfidare l’ignoto in cerca di nuovi commerci, ma anche di suggestioni, leggende, avventure e meraviglie. “Quando si dice che l’imprenditoria italiana non sempre è sollecita a inserirsi nei mercati internazionali o a cogliere con prontezza le opportunità che gli eventi planetari propongono, viene in mente lo spirito d’iniziativa di quei mercanti fiorentini, veneziani, genovesi e di altri comuni e repubbliche i quali, spinti dalla brama di arricchimento, anticiparono l’età moderna con epiche imprese, aprendo inedite rotte per terra e per mare verso le Indie Orientali e quelle Occidentali e circumnavigando per intero e in solitudine gli sterminati oceani” (pagina 7). Ed effettivamente, fin dal primo capitolo del libro – “L’orizzonte asiatico: un confronto duro e serrato con l’ignoto” – le storie che Brilli ci racconta con dovizia di particolari, fanno emergere chiaramente il dinamismo di questa vocazione italiana che trovò nell’età medievale il tempo migliore per manifestarsi.

Di legna da ardere ce n’era tanta, e le questioni più dirimenti alle quali urgeva trovare risposta erano prevalentemente di natura economica e religiosa. Non è un caso quindi che un ruolo determinante lo ebbero i frati degli ordini mendicanti ed i mercanti, che con i resoconti dei loro viaggi svelarono terre fino a quel momento nascoste sotto un velo di mistero. Ed allora, scorrendo le pagine, ci si imbatte ad esempio nel viaggio epico di Fra’ Giovanni da Pian del Carpine, che nel 1245 venne incaricato da papa Innocenzo IV di “stabilire un contatto con l’imperatore dei mongoli, al fine di indurlo a desistere dalle devastazioni dei territori dei cristiani” (pagina 29); oppure, si scorge “l’occhio mercantilistico” di Odorico da Pordenone, che nel 1318 partì da Venezia diretto a Costantinopoli per portare a termine una missione religiosa ma anche con l’obiettivo di fornire ai mercanti, importanti e dettagliate informazioni su merci, produzione e commerci di quei luoghi lontani e sperduti.

I Polo, non potevano certo mancare in questo libro: siamo nel secondo capitolo – “Negoziando a viso aperto con la morte” – nel quale il racconto della storia si fa più stringente su alcuni temi. Si, perché i mercanti avventurieri sono “i detentori di un inedito spirito del guadagno che non conosce limiti e confini, gli esploratori di insolite rotte e di potenziali piazze commerciali e i creatori di una nuova ricchezza” (pagina 69), ma anche uomini che hanno guardato in faccia la morte senza aver paura pur di ottenere profitti. Il binomio ricchezza/morte è quindi la misura di questo capitolo.

La narrazione delle avventure dei Polo, con Matteo, Niccolò e Marco, quali mercanti che diventano viaggiatori, fanno affari, e redigono importantissime relazioni di viaggio – merce pregiata per le compagnie commerciali – si affianca a quelle di molti altri che invece conobbero destini terribili: il massacro di Amboyna, dove sette mercanti inglesi vennero giustiziati dagli olandesi nell’isola dei chiodi di garofano; la circumnavigazione del globo di Francesco Carlesi, che si conclude in modo drammatico, con navi olandesi che depredarono di tutte le sue mercanzie il mercante fiorentino; le spedizioni di Lancaster, fatte di pirateria per sopravvivere, naufragi ed ammutinamenti; e poi, molti intrepidi mercanti italiani del Cinquecento che, “senza avere alle spalle la tutela di una solida potenza atlantica, o quella di influenti corporazioni commerciali, […] tentano di inserirsi nelle lotte fra le compagnie commerciali europee, […]”, a proprio rischio e pericolo. Dicevamo all’inizio di questa recensione che la copertina del libro è un collage a due dove compare una porzione della “Carta Catalana” del 1375. E leggendo il terzo capitolo – “Mappe parlanti e atlanti che narrano storie” – si comprende come il rapporto tra cartografia e viaggiatori medievali sia stato profondo e fondamentale per la produzione di importanti opere cartografiche. In questa prospettiva i racconti di Marco Polo furono fonte primaria per la raffigurazione dell’ “Atlante catalano”; e “un altro celebre esempio che s’avvale delle informazioni dei viaggiatori è il Mappamondo di fra’ Mauro, il cartografo camaldolese che lavora nell’isola di Murano, a Venezia” (pagina 149).

Il capitolo è intessuto di queste cronache, che non solo aiutano il lettore a dipingere un quadro ancor più chiaro e nitido di quel che fu quest’epoca di esplorazioni, ma anche a segnare il confine tra un mondo medievale fatto di esseri mostruosi e leggende, ed il divenire di uno inedito nel quale la realtà cominciava ad apparire per quel che era. I presupposti quindi per una nuova idea di viaggio ci sono tutti, ma sarà il Cinquecento che aprirà le porte a questo rinnovamento. Se ne parla nel quarto capitolo, “Andare per il mondo a cercare la ventura”. Il viaggiatore, seppur ancora dallo sguardo figlio della propria cultura e del mondo dal quale proviene, cambia in qualche modo pelle, e diventa espressione di una sensibilità mutata: “un genere che è tipico dell’età moderna, una sorta di secolarizzazione dell’errare inquieto del pellegrino, un viaggio in cui il viandante si imbarca non per motivi di fede, di diplomazia o di mercatura, ma soprattutto per vedere, misurare, paragonare, giudicare, se non addirittura per sfidare la ventura.” (pagina 168). Anche qui le vicende di molti mercanti avventurieri non mancano: Pietro Della Valle, Giovanni Francesco Gemelli Carreri, Jean-Baptiste Tavernier, Jean Chardin, Jean Thévenot e Ludovico de Varthema. “Nuove costellazioni pungono gli occhi” è l’ultimo capitolo, il quinto, più breve rispetto agli altri ma anch’esso essenziale per completare il mosaico, una sorta di vademecum sui pericoli che il mercante avventuriero affronta ad ogni viaggio: tempeste dei mari, piraterie, terre inospitali, rotte sconosciute, malattie, e molte altre avversità. Ma “Mercanti avventurieri” è soprattutto un saggio di storia, e come tale non abbandona nemmeno in queste parole conclusive il suo rigore; c’è però una frase, ad un passo dalla fine, che meglio di altre, svela anche un sentimento romantico e romanzesco che pervade tutto lo scritto di Brilli, e che in definitiva apparteneva anche a chi partiva, con la speranza comunque un giorno di tornare: “malgrado tutto, non c’è piacere più intenso per il mercante del dedicarsi a raccogliere in tranquillità i ricordi dei suoi viaggi e delle sue avventure”.

“Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci”, di Attilio Brilli, il Mulino, pp. 264, € 16,00.