Agricoltura in crisi, mandiamo nei campi i cassintegrati o gli immigrati?
Pubblicato il 6 Maggio 2020 - 09:49 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – Coronavirus. A mano a mano che il Coronavirus si allontana dai polmoni, sale in direzione dei cervelli. In questa specie di ring senza corde dove ognuno tira a casaccio.
I malati diminuiscono finalmente, i morti anche. Per quanto i morti non possono contarsi a mucchi come i polli in macelleria. Sono sempre troppi.
Le fasi si aprono fra timori e contestazioni. Il lavoro riprende timidamente, ma riprende. Le imprese si organizzano e si lamentano al tempo stesso.
L’Europa discute su come stampare danaro. La questione è complessa e ridurla a slogan è pura mistificazione. L’eterna campagna elettorale non è la soluzione.
A leggere i giornali si capisce che, sotto sotto, riprende la vexata questio dell’immigrazione più o meno clandestina. Nazionalisti e globalisti mettono mano alla pistola ad acqua.
L’agricoltura, dal Piemonte alla Sicilia, soffre. I prodotti della terra marciscono alla pianta. Mancano le braccia per la raccolta. La mafia del nuovo schiavismo lucra appunto sui nuovi schiavi.
Leggo simpatiche e acute analisi. I globalisti tolgono lavoro ai nostri disoccupati per procedere alla sostituzione etnica, complice anche papa Francesco. E ti pareva…
Medici, ingegneri, avvocati, commercialisti disoccupati pronti a tornare alla terra. O semplici chef, ragionieri, parrucchieri, estetisti e salumieri. Non vedono l’ora.
L’ipotesi è assai suggestiva. E infatti gli uffici di lavoro sono presi d’assalto da medici, avvocati, ingegneri e compagnia cantante.
I nazionalisti, che vogliono bene all’Italia più dei globalisti, sperano una buona volta di prendere due piccioni con una fava.
Rimettere a bagno gli immigrati e restituire all’agricoltura le famose braccia rubate.